Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7808 del 14/04/2020

Cassazione civile sez. I, 14/04/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 14/04/2020), n.7808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5469/2019 r.g. proposto da:

M.Y., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Alessandro Praticò, presso il cui studio è elettivamente

domiciliato in Torino, Via Groscavallo.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato ex lege

dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in

data 16.8.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/1/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da M.Y., cittadino (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa in data 12.7.2017 dal Tribunale di Milano, con la quale erano state respinte le domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e la richiesta protezione sussidiaria ed umanitaria.

La corte del merito ha, in primo luogo, ricordato la vicenda personale del richiedente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo; il ricorrente ha infatti narrato: a) di essere nato e vissuto nella città di (OMISSIS); b) di essere omosessuale e di essere stato costretto a fuggire dal suo paese, perchè perseguitato per i suoi orientamenti sessuali.

La corte territoriale ha dunque ritenuto che: 1) il racconto del richiedente non fosse credibile perchè genericamente formulato e non circostanziato sui tratti qualificanti della vicenda; 2) non era riconoscibile lo status di rifugiato, per l’assenza di atti di persecuzione in danno del richiedente; 3) non era fondata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, per la mancanza di un conflitto armato nella regione di provenienza del ricorrente (Edo State); 4) non poteva essere accordata la richiesta protezione umanitaria, sia in ragione della dichiarazione di non attendibilità del ricorrente sia per la mancata dimostrazione di un serio inserimento nella realtà sociale italiana da parte del ricorrente.

2. La sentenza, pubblicata il 16.8.2018, è stata impugnata da M.Y. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 CEDU, in relazione alla mancata corretta applicazione delle norme sull’onere della prova e la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi e, comunque, vizio di motivazione sul medesimo punto.

2. Con il secondo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 2 e 10 Cost., dell’art. 8Cedu, per aver il tribunale motivato in modo generico e senza sufficiente istruttoria.

Il ricorrente sviluppa altresì altri quattro sottomotivi:

a) formazione del convincimento sulla credibilità della narrazione del ricorrente su parametri diversi da quelli normativamente previsti, venendo meno all’obbligo di cooperazione istruttoria;

b) mancato riconoscimento dello status di rifugiato, nonostante l’oggettività delle persecuzione subita a causa della dichiarata omosessualità del ricorrente;

c) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione al diniego della protezione sussidiaria riferita alla condizione interna del paese di provenienza, valutazione quest’ultima maturata sulla base di informazioni parziali;

d) erronea valutazione della fondatezza della domanda di protezione umanitaria in relazione alla quale il tribunale spiegava una motivazione meramente apparente.

3. Sotto un primo e preliminare profilo di valutazione delle doglianze proposte, occorre evidenziare come la parte ricorrente proponga due iniziali motivi, diversamente articolati, nel cui contenuto le relative censure vengono solo enunciate in relazione ai parametri normativi violati e in ordine alle criticità argomentative avanzate. Ne consegue che le censure così avanzate non superano il vaglio di ammissibilità, essendo state proposte in modo generico e senza alcun preciso riferimento al contenuto della motivazione di cui si censura l’illegittimità.

4. Venendo ora ad esaminare il primo “sottomotivo” sopra ricordato, il giudizio sullo stesso non può che essere, del pari, conformato ad una valutazione di inammissibilità delle relative censure. Sul punto, è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

4.3 Ad analoga collusione deve pervenirsi anche in relazione al secondo “sottomotivo”: qui la parte ricorrente non intercetta la ratio decidendi, e cioè la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente, circostanza quest’ultima che rende palesemente irrilevanti tutte le ulteriori riflessioni proposte dal ricorrente sulla sua condizione di soggetto perseguitato, a cagione del suo orientamento sessuale, in assenza, cioè, di una censura ammissibile proposta dal ricorrente in ordine al profilo della credibilità del racconto di quest’ultimo.

4.4 Il terzo motivo di censura – declinato in riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è anch’esso formulato in modo inammissibile perchè teso, ancora una volta, a richiedere a questa corte una rivalutazione delle fonti informative per accreditare un giudizio diverso sulle condizioni interne della Nigeria, profilo quest’ultimo sul quale il tribunale ha correttamente argomentato con motivazione che non è stata neanche censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.5 Il quarto motivo – declinato in riferimento al diniego della reclamata protezione umanitaria – è anch’esso inammissibile in ragione della sua evidente genericità, oltre che versato in fatto. Anche qui la motivazione ha evidenziato il mancato radicamento del richiedente nel contesto sociale italiano e la parte ricorrente intenderebbe ora ribaltare tale valutazione attraverso un diverso scrutinio delle fonti di prova esaminate.

Ne discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020

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