Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7806 del 20/04/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 7806 Anno 2016
Presidente: ARMANO ULIANA
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA
sul ricorso 29872-2011 proposto da:
BALBI GIUSEPPE BLBG PP29B21E791D, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 11, presso lo studio
dell’avvocato ANGELA FIORENTINO, rappresentato e difeso
dall’avvocato FRANCESCO PASQUARIELLO, giusta mandato a
margine del ricorso;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DFI

Data pubblicazione: 20/04/2016

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– resistente nonché contro

MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato avverso la sentenza n. 3585/2010 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI, depositata il 29/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
11/12/2015 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;
udito l’Avvocato Francesco PASQUARIELLO, che ha chiesto
l’inammissibilità della costituzione dell’Agenzia delle Entrate e nel
merito si riporta al ricorso e alla memoria;
udito l’Avvocato Fabrizio URBANI NERI, per il Ministero, il quale
dichiara che l’Avvocato Palmieri dell’Agenzia delle Entrate ha revocato
la costituzione; nel merito insiste per la conferma della sentenza
impugnata.

L
Ric, 2011 n. 29872 sez. M3 – ud. 11-12-2015
-2-

R.g.n. 29872-11 (ud. 11.12.2015)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Giuseppe Balbi ha proposto ricorso per cassazione contro il
Ministero dell’Interno avverso la sentenza del 29 ottobre 2010, con la quale la
Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza resa in primo
grado dal Tribunale di Napoli nel giugno del 2003, ha rideterminato –

riducendolo alla misura di € 20.000,00 oltre interessi legali dalla data della
sentenza, rispetto a quello di € 82.844,00 riconosciuto dal Tribunale l’ammontare del danno dovuto dal Ministero in relazione alle condizioni in
cui era stato rilasciato un immobile che era stato condotto in locazione dal
Ministero.
§2. Al ricorso ha resistito con deposito di atto di costituzione tardivo
l’Agenzia delle Entrate, tramite l’Avvocatura Generale dello Stato.
§3. Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
§1. La costituzione dell’Agenzia delle Entrate è inammissibile, in quanto
non è dato comprenderne la ragione giustificativa: nessun fenomeno
normativo o di altra natura in forza del quale essa sarebbe subentrata al
Ministro dell’Interno è stato allegato.
Peraltro, l’Avvocatura dello Stato è comparsa all’udienza ed ha allegato
di voler intervenire per conto del Ministero. Per tale ragione è stata ammessa
alla discussione.
§2. Con il primo motivo si denuncia “violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 294 e 345 c.p.c. (art 360 n. 3 c.p.c.)”, nonché “omessa,
insufficiente, contraddittoria motivazione circa punti decisivi della
controversia” (art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.)”.
Il motivo — in disparte che per quanto attiene al paradigma del n. 5
dell’art. 360 c.p.c. invoca quello anteriore alla versione introdotta dal d.lgs. n.
40 del 2006, mentre, per quanto riguarda la denuncia di violazione delle
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Est. Con k. Raffaele Frasca

R.g.n. 29872-11 (ud. 11.12.2015)

norme degli artt. 294 e 345 c.p.c. invoca il n. 3 anziché il n. 4 dell’art. 360
c.p.c., come avrebbe dovuto, essendo quelle asseritamente violate norme del
procedimento — è inammissibile per inosservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c.
§2.1. Vi si censura, infatti, la motivazione con cui la Corte territoriale si
è così espressa. <>, ma poi si disinteressa
completamente di esse, che sono quelle che si è tentato di criticato male con il
motivo precedente.
Poiché la liquidazione equitativa si appoggia proprio su quelle
considerazioni che fanno riferimento alla c.t.u. ed alla sua inidoneità viene in
rilievo il principio di diritto secondo cui: «In tema di risarcimento del danno,
ove sia stata svolta una consulenza tecnica di ufficio per una precisa
quantificazione dello stesso (nella specie, relativo al pregiudizio patrimoniale
subito da fabbricati ed aree edificabili per effetto di immissioni di polveri di
cemento), il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa, ai sensi dell’art.
1226 cod. civ., solo quando ritenga, con congrua e logica motivazione, il relativo
accertamento peritale inidoneo allo scopo, sussistendo, pertanto, il presupposto
normativo del ricorso all’equità, costituito dalla situazione di impossibilità – o di
estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno; incorre,
invece, in evidente contraddizione, rendendo impossibile l’individuazione dei
criteri e del percorso logico seguito per pervenire alla liquidazione, il giudice
che, dopo aver ritenuto inattendibile la consulenza tecnica, utilizzi i valori in essa
accertati per operare la valutazione equitativa del danno.» (Cass. n. 4017 del
2013).

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Est. Cons. Raffaele Frasca

Rg.n. 29872-11 (ud. 11.12.2015)

La liquidazione equitativa si è allora sostanzialmente risolta in un
vantaggio per lo stesso ricorrente, ché altrimenti la prova del danno sarebbe
mancata in senso rigoroso.
La Corte ha, del resto, ampiamente spiegato perché la c.t.u. non era
condivisibile.
Quanto al vizio ai sensi del n. 5 dell’art. 360 ancora una volta si coglie lo

stesso errore di identificazione del paradigma deducibile ratione temporis, già
segnalato a proposito dei due precedenti motivi.
§5. Il quarto motivo — che deduce “omessa, insufficiente, contraddittoria
motivazione circa punti decisivi della controversia (in relazione al n. 5
dell’art. 360 c.p.c.)” — non solo reitera l’evocazione del paradigma erroneo,
ma comunque, se anche se ne scrutinasse l’illustrazione alla stregua del
paradigma giusto, risulterebbe privo della dignità di censura ai sensi dell’art.
360 n. 5 incentrato sulla nozione di fatto controverso, perché si risolve solo
nella postulazione che sarebbe stato preferibile fare affidamento sulla c.t.u..
Inoltre, l’illustrazione non individua nemmeno le parti di essa che
sarebbero state più affidabili ai fini della soluzione della lite.
§6. Il quinto motivo fa valere “violazione e/o falsa applicazione degli
arti. 1218, 1223, 1224 e 2056 [c.c.] in relazione all’art. 112 c.p.c. (art. 360 n.
3 c.p.c.).”, nonché “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa
punti decisivi della controversia (in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.)”.
Vi si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha fatto decorrere
gli interessi legali, sull’importo liquidato a titolo di risarcimento dei danni da
responsabilità contrattuale per come riconosciuti, dalla data della decisione
fino al saldo e non da quella della presentazione della domanda giudiziale o
da altro atto idoneo a costituire in mora il debitore, come sarebbe stato nella
specie la redazione del verbale di riconsegna dell’immobile con la
constatazione dei danni.

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Est. Con Raffaele Frasca

R.g.n. 29872-11 (ud. 11.12.2015)

La Corte territoriale nel procedere in tali termini avrebbe richiamato
erroneamente il principio di diritto di cui a Cass. n. 14975 del 2006, perché
esso sarebbe relativo al debito di valuta, mentre nella specie il debito era di
valore e gli interessi assumevano valore c.d. compensativo.
Con una seconda censura si lamenta che gli interessi siano stati fatti

qualificazione.
La motivazione impugnata, dopo avere enunciato che il danno risarcibile
per i danni presenti nell’immobile locato al momento della riconsegna (danno
che ha qualificato come emergente) e per la mancata disponibilità
dell’immobile per il tempo necessario per la loro eliminazione (danno che ha
qualificato da lucro cessante) andava liquidato nella somma di € 20.000,00
complessive “ai valori attuali”, ha osservato che «detta somma, poi, solo
dalla data del presente provvedimento va maggiorata degli interessi legali di
mora sino al saldo» ed ha, quindi, evocato a sostegno il principio di diritto di
cui a Cass. n. 14975 del 2006, che ha riprodotto.
§6.1. Il motivo non è fondato.
Effettivamente la Corte napoletana, nel giustificare la decorrenza degli
interessi legali dalla data della pronuncia, ha evocato un principio di diritto,
quello di cui a Cass. n. 14975 del 2006, il quale non è idoneo a giustificare la
conseguenza applicativa che nella fattispecie Essa ne ha tratto.
Il principio di diritto è il seguente: «Qualora, in relazione alla domanda
del creditore di riconoscimento del “maggior danno” ai sensi del secondo
comma dell’art. 1224 cod. civ., si provveda all’integrale rivalutazione del
credito, tale rivalutazione si sostituisce al danno presunto costituito dagli
interessi legali, ed è idonea, quale espressione del totale danno sofferto in
concreto, a coprire l’intera area dei danni subiti dal creditore stesso, con la
conseguenza che solo da tale data spettano, sulla somma rivalutata, gli
interessi, verificandosi altrimenti l’effetto che il creditore riceverebbe due
Est. Con s. Raffaele Frasca

L.–\

decorrere dalla sentenza erroneamente proprio sulla base di quella

R.g.n. 29872-11 (ud. 11.122015)

volte la liquidazione dello stesso danno e conseguirebbe più di quanto
avrebbe ottenuto se l’obbligazione fosse stata tempestivamente adempiuta.».
Si tratta di un principio di diritto che concerne le obbligazioni pecuniarie
(art. 1277 c.c.) e, quindi, obbligazioni che di norma sono di valuta.
Nella specie, invece, l’obbligazione risarcitoria oggetto di giudizio sotto
i due aspetti indicati non aveva ad oggetto diretto una somma di danaro ma il

ripristino della posizione del ricorrente nei termini che avrebbe avuto se
l’immobile fosse stato riconsegnato senza danni e, dunque, aveva natura di
obbligazione di valore.
Ne discende che erroneamente la decorrenza degli interessi dalla
pronuncia della sentenza è stata indicata evocando il ricordato principio di
diritto, evocativo dell’ipotesi di deduzione come oggetto del giudizio di
un’obbligazione di valuta.
Avuto riguardo alla natura di valore dell’obbligazione risarcitoria, che
imponeva alla Corte territoriale di individuarne il valore, occorre, tuttavia,
considerare che Essa lo ha fatto dichiarando di attualizzare l’importo
necessario e, dunque, individuandolo, appunto con riferimento all’attualità,
cioè al momento della pronuncia (punto ormai consolidatosi, per effetto della
sorte dei precedenti motivi).
La Corte, data la natura originaria del debito, una volta individuatone il
valore all’attualità e, quindi, al momento della sua pronuncia, e, dunque, una
volta stimato il danno subito dall’attore non con riferimento al momento
dell’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria ma a quel diverso momento
(come imponeva il principio di diritto secondo cui: <>: così
già Cass. n. 5570 del 1988, seguita da numerosissime conformi), avrebbe
dovuto considerare che

l’aestimatio

così intervenuta trasformava

l’obbligazione in un’obbligazione monetaria e, dunque, di valuta, ma solo da
quel momento.
Sicché essa era soggetta alla norma dell’art. 1224, secondo comma, ma

naturalmente proprio e soltanto da quel momento.
Ne segue che per è per tale ragione che si sarebbero dovuti riconoscere
gli interessi dalla data della pronuncia come sono stati riconosciuti.
Né nella specie è necessario soffermarsi sulla questione che, in relazione
a qualsiasi obbligazione di valore, sia essa contrattuale o da illecito e, dunque,
extracontrattuale, si pone sul se, ponendosi al momento in cui l’obbligazione
sarebbe stata esigibile e, dunque, si sarebbe verificato il ritardo (e, in
particolare, nelle prima ipotesi esigendosi la messa in mora ex persona, salvo
diverse previsioni anche convenzionali, nella seconda — fra cui rientra il caso
in esame – essendo la mora invece ex re) nel suo adempimento, la mancata
percezione fin da quel momento della somma di danaro equivalente al valore
del danno stimato in allora debba e possa comprendere, sebbene con
riferimento al valore allora stimato (o secondo gli altri criteri a suo tempo
fissati da Cass. sez. un. n. 1726 del 1995), anche il c.d. danno da ritardo per
non avere il creditore potuto disporre della somma equivalente al danno
considerato come valore e stimato a quel momento.
Invero, indipendentemente dal rilievo che in tal caso non si tratta — come
in genere si dice – di danno da ritardo ai sensi dell’art. 1224 c.c. per
l’assorbente ragione che nella specie l’obbligazione è di valore e non di valuta
e, dunque, è un’operazione non corretta trattarla come di valuta sebbene
all’esito della aestimatio (che rappresenta solo un modo di ripristino
dell’integrità della sfera del danneggiato, potendo immaginarsi anche un
ripristino in forma specifica in taluni casi), trattandosi semmai di un danno 12
Est. Cons. Raffael

sca

R.g.n. 29872-11 (ud. 11.12.2015)

quello ipoteticamente derivante dal non aver avuto disponibilità della somma
rappresentante il valore al momento della mora nell’obbligazione appunto di
valore ed in ipotesi dal non averla potuto impiegare altrimenti che per il
ripristino del danno, cioè farla fruttare – si deve considerare che, se è vero che
anche a voler concedere che un siffatto danno potrebbe essere liquidato dal
giudice che deve individuare il risarcimento del danno derivante da

inadempimento di obbligazione di valore, tuttavia ciò accadrebbe nel senso
che il giudice liquida tale danno sempre nell’operazione di aestimatio inerente
il ripristino del valore danneggiato. Dunque, parrebbe, ma non è questa la
sede per approfondire, che tale voce di danno sia nient’ altro che una
componente dell’operazione di attualizzazione del valore da risarcire.
Ne segue — ed è questa la ragione per cui non occorre approfondire la
problematica – che nella specie tale danno dovrebbe comunque reputarsi
compreso nella dichiarata attualizzazione del credito risarcitorio fatta dalla
sentenza impugnata.
Poiché il dispositivo della sentenza quanto al profilo in discussione
appare corretto, la sentenza non può essere cassata, giusta l’ultimo comma
dell’art. 384 c.p.c. ed è sufficiente far luogo solo alla correzione della
motivazione nei sensi indicati.
§7. 11 ricorso è conclusivamente rigettato.
Nel rapporto processuale fra ricorrente e resistente Ministero dell’Interno
le spese del giudizio di cassazione, atteso che su un motivo si è disposta la
correzione della motivazione, possono compensarsi per giusti motivi, avuto
riguardo al regime dell’art. 92 c.p.c. applicabile al giudizio.
Nulla nel rapporto fra ricorrente ed Agenzia delle Entrate stante
l’inammissibilità della costituzione della medesima.
P. Q. M.

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Est. ConRaffaele Frasca

R.g.n. 29872-11 (ud. 11.12.2015)

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione
fra ricorrente e resistente Ministero dell’Interno. Nulla nel rapporto
processuale fra ricorrente e Agenzia delle Entrate
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione

Civile-3 l’11 dicembre 2015.

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