Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7805 del 20/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 7805 Anno 2016
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CIGNA MARIO

ORDINANZA
sul ricorso 9902-2015 proposto da:
PAPETTI FERNANDA, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA D’ARA COELI 1, presso lo studio dell’avvocato ANGELO
MOLINARO, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO N1ORONI
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 20/04/2016

avverso la sentenza n. 5209/2014 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO del 23/09/2014,
depositata 1’08/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO CIGNA.

della sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale
Lombardia, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, ha
riformato la sentenza con cui la CTP di Varese aveva accolto i ricorsi
riuniti proposti dalla contribuente avverso due avvisi di accertamento
notificati il 15-12-2011 relativi rispettivamente ad IRPEF 2003 e 2006;
la CTR, in particolare, ha evidenziato: che l’accertamento relativo al
2003 non era tardivo per effetto del raddoppio dei termini a seguito di
comunicazione di reato e che l’Ufficio aveva esibito in udienza copia
della comunicazione di reato nei confronti della contribuente
indirizzata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Busto
Arsizio; che, in ordine all’accertamento relativo al 2006, la
contribuente, sulla quale incombeva l’onere, non aveva giustificato i
versamenti bancari contestati.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
In seguito al deposito della relazione, la contribuente ha depositato
memoria.
Con il primo motivo di ricorso la contribuente, denunziando
violazione e falsa applicazione dell’art. 43 dpr 600/73, come
modificato dall’art. 37, commi 24 e 25, d.l. 223/06, sostiene che
l’Ufficio non ha mai prodotto in giudizio copia di denuncia a carico di
essa contribuente inviata alla competente Procura della Repubblica,
sicchè la semplice enunciazione nell’atto di accertamento nel pvc
dell’inoltro della notizia di reato alla Procura della Repubblica, senza
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Papetti Fernanda ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione

ulteriori elementi, non legittimava l’Ufficio a beneficiare del raddoppio
dei termini ordinari per l’accertamento (entro il 31 dicembre del quarto
anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione) di
cui agli artt. 43 dpr 600/73 e 57 dpr 633/1972; al riguardo precisa che
a carico di essa contribuente non era stato contestato alcun reato né

notizia di reato che l’Ufficio affermava essere stata trasmessa alla
Procura concerneva la fattispecie di cui all’art. 8 d.lgs 74/2000
(emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), alla
quale essa contribuente (pensionata di 70 anni che non aveva mai
emesso fatture) era del tutto estranea; di conseguenza, doveva ritenersi
che l’Ufficio aveva notificato l’accertamento impugnato a termini già
ampiamente scaduti (sette anni dopo la scadenza del termine per la
presentazione dei reddito 2003), senza possibilità di riapertura dei detti
termini (atteso che per potere usufruire del raddoppio dei termini
l’ordinario termine di decadenza doveva essere ancora in corso).
Il motivo è infondato.
Ai fini del raddoppio dei termini in questione non è necessaria
l’effettiva presentazione della denuncia; ed invero, come chiaramente
affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza 247/2011, concernente
l’analoga norma in tema di IVA prevista dall’art. 57 d.pr. 633/1972),
l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla
sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal
momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo
adempimento, sicchè “il raddoppio dei termini consegue dal mero
riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale,
indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia”.
Al riguardo, in particolare la Corte ha precisato che “il raddoppio non
consegue da una valutazione discrezionale e meramente soggettiva
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incardinato alcun procedimento penale e che la comunicazione di

degli uffici tributari, ma opera soltanto nel caso in cui siano
obiettivamente riscontrabili, da parte di un pubblico ufficiale, gli
elementi richiesti dall’art. 331 cod. proc. pen. per l’insorgenza
dell’obbligo di denuncia penale… tale obbligo sussiste quando il
pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi

punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria),
non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività
illecita …il sistema processuale tributario consente il controllo
giudiziario della legittimità di tale apprezzamento …il giudice
tributario, infatti, dovrà controllare, se richiesto con i motivi di
impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia,
compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta

prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se

l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia,
invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni
denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine
di accertamento”; controllo quest’ultimo che, nella specie, non appare
specificamente richiesto con i motivi di impugnazione svolti nei gradi
di merito.
In ordine all’altro profilo di illegittimità evidenziato nel motivo di
ricorso (impossibilità della riapertura dei termini una volta che gli stessi
siano scaduti), la Corte Costituzionale, nella su menzionata sentenza,
ha precisato che “i termini raddoppiati di accertamento non
costituiscono una “proroga” di quelli ordinari, da disporsi a discrezione
dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza di “eventi
peculiari ed eccezionali”. Al contrario, i termini raddoppiati sono
anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti
automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva
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del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione o di non

(allorché, cioè, sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari
previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione
finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro
applicazione. In altre parole, i termini raddoppiati non si innestano su
quelli “brevi” di cui ai primi due commi dell’art. 57 del d.P.R. n. 633

autonomamente allorché sussistano elementi obiettivi tali da rendere
obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del
2000. Sotto questo aspetto non può parlarsi di <> ne’ di <>, perché i termini “brevi” e quelli raddoppiati si
riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra
loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento. Più
precisamente, i termini “brevi” di cui ai primi due commi dell’art. 57
del d.P.R. n. 633 del 1972 operano in presenza di violazioni tributarie
per le quali non sorge l’obbligo di denuncia penale di reati previsti dal
d.lgs. n. 74 del 2000; i termini raddoppiati di cui al terzo comma dello
stesso art. 57 operano, invece, in presenza di violazioni tributarie per le
quali v’è l’obbligo di denuncia”.
L’accoglimento del detto motivo (e, in particolare, l’insussistenza —ai
fini del beneficio del raddoppio dei termini- dell’obbligo di
presentazione effettiva della denuncia), comporta l’assorbimento del
secondo, concernente la dedotta violazione dell’art. 58 cligs 546/92
per l’avvenuta esibizione solo all’udienza della comunicazione di
notizia di reato alla Procura della Repubblica.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza.

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del 1972 in base ad una scelta degli uffici tributari, ma operano

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, dpr115/2002, si dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del cit. art.
13.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in
complessivi euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito ed accessori
di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a uello dovuto per il ricorso principale.
Così de

ma il 17-3-2016
presidente

Dott. Marce

Iacobellis

P. Q. M.

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