Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7804 del 27/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/03/2017, (ud. 22/12/2016, dep.27/03/2017),  n. 7804

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4612/2016 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso il Dott. ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAOLA FERRARA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CO.RO., R.N., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ANTONELLI 49, presso lo studio dell’avvocato SERGIO COMO,

rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI MARIA D’ANGIOLELLA,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 232/2015 del TRIBUNALE di SULMONA del

22/07/2015, depositata il 23/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE

STEFANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- C.V. ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con cui è stato rigettato il suo appello avverso il rigetto della sua domanda di condanna di R.N. e di Co.Ro. al risarcimento dei danni patiti al proprio immobile a seguito di un incendio sviluppatosi in quello dei convenuti. Gli intimati notificano controricorso.

2.- stata formulata proposta di definizione in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197; il ricorrente ha depositato memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p..

3.- I due motivi (il primo, di “violazione di legge: artt. 2727 e 2729 c.c.”; il secondo, di “omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio”) mirano con tutta evidenza a sollecitare a questa Corte una riconsiderazione della conclusione raggiunta in punto di fatto sull’assenza di prova del nesso causale tra i danni esposti – patiti dall’appartamento del C. ad un primo piano – ed il sinistro – verificatosi nell’appartamento sito al terzo piano – per i fatti analiticamente indicati nella sentenza gravata (quarto e quinto periodo della quarta facciata della qui gravata sentenza).

4.- A tanto si aggiunga che non uno dei documenti o degli eventi di cui il ricorrente invoca in questa sede una diversa considerazione -comunque possibile nei ristrettissimi limiti di cui si dirà – è riprodotto con il suo tenore testuale e l’analitica menzione della sede processuale di produzione o di allegazione, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

5.- Ma, da un lato (Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881), il sindacato sulla motivazione è ormai ristretto ai casi di inesistenza della motivazione in sè, cioè alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, alla “motivazione apparente”, al “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, alla “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; dall’altro lato, il controllo previsto dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia): l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

6.- E, d’altro lato, anche dopo la recente novella legislativa resta fermo il principio, rià del tutto consolidato (per tutte: Cass. 27 ottobre 2015, n. 21776; Cass. Sez. Un., 12 ottobre 2015, n. 20412; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. sez. un., 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 18 maggio 2006, n. 11670; Cass. 17 novembre 2005, n. 23286) dell’esclusione del potere di questa Corte di legittimità di riesaminare il merito della causa, essendo ad essa consentito, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile): sicchè sarebbe inammissibile (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, non potendo darsi corso ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello, non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata.

7.- Se è vero, come rimarca il ricorrente nella memoria, che Cass. Sez. Un. n. 8053/14 consente un certo controllo sulla motivazione fondata sulle presunzioni, la stessa fondamentale pronuncia puntualizza che con esso non può farsi mai luogo ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tener per fermo, mutatis mutandis, il rigoroso insegnamento di questa Corte secondo cui: “in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata (potendo questa essere disattesa non già quando l’in(ter)ferenza probatoria non sia da essa necessitata, ma solo quando non sia da essa neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera apparenza del discorso giustificativo) o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione”.

8.- E tale vizio complessivo proprio non è dato cogliere nella qui gravata sentenza, nella quale la plausibilità sia delle premesse, sia delle massime di esperienza applicate, sia quindi dei risultati raggiunti non supera l’ambito di normalità e quindi fonda idoneamente l’incensurabilità in questa sede di questi ultimi.

9.- Del ricorso va quindi dichiarata l’inammissibilità, perchè rivolto contro la ricostruzione in fatto dell’esclusione del nesso causale suddetto rilevante ai sensi degli articoli del codice invocati e non correttamente involgente presunte deficienze istruttorie sotto il profilo di vizi del procedimento relativi all’attività della parte onerata.

10.- La condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti – tra loro in solido per la chiara comunanza di interesse in causa – consegue alla soccombenza del primo e va infine dato atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 113, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna C.V. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, tra loro in solido, liquidate in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre maggiorazione per spese generali ed accessori nella misura di legge;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2017

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