Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7801 del 31/03/2010

Cassazione civile sez. III, 31/03/2010, (ud. 22/02/2010, dep. 31/03/2010), n.7801

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10132-2006 proposto da:

F.M. (OMISSIS), F.E.

(OMISSIS), F.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE VATICANO 46, presso lo studio

dell’avvocato NANNI FRANCESCA ROMANA, rappresentati e difesi

dall’avvocato MARCUCCIO MARCELLO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.M.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato GRASSO

ROSALBA, rappresentato e difeso dall’avvocato GABELLONE GIOVANNI

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

C.M.I., D.M.A., D.M.

G., D.M.R., R.A.R., R.F.,

R.G., R.L., RO.LO., R.M.

R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 754/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

SEZIONE AGRARIA, emessa il 19/9/2005, depositata il 01/12/2005,

R.G.N. 633/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato MARCELLO MARCUCCIO;

udito l’Avvocato ROSA ALBA GRASSO per delega dell’Avvocato GIOVANNI

GABELLONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 26 settembre 1997 F.E. e F. F., proprietari di un terreno condotto in affitto dai germani D.M.A. e D.M.N. e R.A., convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce, sezione specializzata agraria, D.M.L., D.M.G. e C.M.I. (eredi di D.M.N.), R. L., R.G., R.F., Ro.Lo., R.A.R., R.M.R. e D.M.R. (eredi di R.A.), nonchè D.M.A., chiedendo il rilascio del fondo per scadenza del contratto.

Resistevano C.M.I., D.M.L., D. M.R., R.L. e D.M.A., contestando l’avversa pretesa e proponendo, in subordine, domanda riconvenzionale volta ad ottenere l’indennità per i miglioramenti apportati al capitale fondiario.

Con sentenza non definitiva depositata il 25 novembre 1999 il Tribunale dichiarava cessato il contratto di affitto alla data indicata in ricorso e, con sentenza definitiva del 22 marzo 1994, pronunziando sulle domande riconvenzionali spiegate dai convenuti, dichiarava improponibili, per mancato, preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, quelle proposte da D.M.A., dagli eredi costituiti di R.A. nonchè da C.M. I.; accoglieva la sola domanda avanzata da D.M. L., per l’effetto condannando i ricorrenti a corrispondergli Euro 5.357,89, oltre interessi.

Proposto gravame dai germani F., la Corte d’appello di Lecce, in data 15 dicembre 2005, lo respingeva.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione F. E., F.F. e F.M., articolando un unico, complesso motivo.

Resiste con controricorso D.M.L..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Va preliminarmente affrontata e risolta l’eccezione di giudicato esterno avanzata dalla difesa di D.M.L. nelle note illustrative depositate ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Ritiene il collegio che l’eccezione non abbia fondamento per le ragioni che seguono.

Presupposto indefettibile perchè possa operare il vincolo del giudicato esterno è, oltre alla inerenza al medesimo rapporto giuridico dell’accertamento dei due giudizi – quello definito con sentenza non più soggetta a impugnazione e quello in cui dovrebbe funzionare la preclusione da questa nascente – l’identità soggettiva delle parti.

Ora, tale situazione certamente non ricorre con riferimento alla sentenza del 4 dicembre 2006, n. 74, della Corte d’appello di Lecce, pronunciata tra D.M.A. e D.M.R., R. L., R.G., R.M.R., Ro.

L., R.A.R. e R.F., da un lato; F. F., F.E. e F.M., dall’altro: parti tra le quali non figura D.M.L..

Ma, a ben vedere, l’identità soggettiva non sussiste neppure con riguardo alla sentenza in data 19 marzo 2008, n. 940 del Tribunale di Lecce. Non par dubbio infatti che D.M.L. fu parte solo in senso formale di quel giudizio, che aveva ad oggetto il pagamento di due terzi delle somme spettanti agli eredi di D. M.N. a titolo di migliorie, e cioè somme di esclusiva competenza di C.M.R. e di D.M.G., essendo stata la residua parte già riconosciuta, con la sentenza oggetto del presente ricorso, a D.M.L.. Del resto costituisce ius reception che ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l’intero credito comune, o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi, ferma la possibilità, che qui non ricorre, che il convenuto debitore chieda l’intervento di questi ultimi al fine di fare accertare, nei confronti di tutti, la sussistenza o meno del credito (confr. Cass. civ., sez. unite, 28 novembre 2007, n. 24657).

Ne deriva che l’intervento spiegato da D.M.L. nel giudizio definito dalla sentenza 19 marzo 2008, n. 940 del Tribunale di Lecce deve coerentemente qualificarsi ad adiuvandum. E la sentenza che lo ha definito non spiega effetti, neppure riflessi, nel presente giudizio.

2.1 Passando all’esame dell’unico motivo di ricorso, con esso gli impugnanti denunciano violazione e falsa applicazione della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 15 in relazione all’art. 1651 cod. civ. e art. 12 preleggi, nonchè all’art. 1592 cod. civ., ex art. 360 c.p.c., n. 3, omesso esame di un motivo di gravame e conseguente, omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rilevano che, in sede di gravame, avevano sostenuto l’inapplicabilità della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 15 in assenza di una prova certa sull’epoca in cui sarebbero stati effettuati i miglioramenti da parte di D.M.N., ovvero dei suoi eredi, nonchè in mancanza di un valido consenso della concedente a che gli stessi venissero realizzati.

Riportato il contenuto del contratto in data (OMISSIS), nella parte relativa all’esecuzione di migliorie, evidenziano gli esponenti che la previsione pattizia non conteneva, a ben vedere, alcuna autorizzazione, posto che questa presuppone la conoscenza delle opere da realizzare sul fondo, e quindi giammai potrebbe essere coeva alla stipulazione del contratto di affitto.

In tale contesto, secondo i ricorrenti, nessuna indennità poteva essere riconosciuta alla controparte, essendo il rapporto in questione sottratto alla disciplina della L. n. 11 del 1971 e soggetto invece a quella dell’art. 1952 e segg. cod. civ..

Formulano quindi, a pagina 10 del ricorso, i quesiti posti alla Corte.

2.2 Le censure prospettate nell’unico mezzo sono, per certi aspetti inammissibili, per altre infondate.

Il giudice di merito ha motivato il suo convincimento rilevando, in primis, che i miglioramenti dovevano ritenersi eseguiti prima dell’entrata in vigore della L. n. 11 del 1971, essendo ciò stato implicitamente riconosciuto dai medesimi appellanti allorchè, nel terzo motivo di gravame, avevano eccepito il loro difetto di legittimazione passiva. Ha quindi rilevato che i miglioramenti, essendo stati assentiti in contratto, erano indennizzabili in base alle disposizioni della L. 11 febbraio 1971, n. 11, posto che l’art. 1651 cod. civ., espressamente abrogato dall’art. 29 della predetta fonte, poteva trovare applicazione esclusivamente con riguardo ai miglioramenti eseguiti senza autorizzazione.

2.3 A fronte di tale apparato motivazionale, osserva anzitutto il collegio che l’affermazione del giudice di merito in ordine all’epoca in cui sarebbero state eseguite le opere oggetto della domanda di indennizzo non è stata censurata dagli impugnanti, essendosi essi limitati ad allegare quanto, in proposito, avevano dedotto in sede di gravame, senza svolgere alcuna specifica critica alle statuizioni della Corte d’appello.

Ciò di cui i ricorrenti si dolgono in questa sede è piuttosto la valutazione del giudice di merito in ordine alla validità dell’assenso dei proprietari alla esecuzione delle migliorie, confusamente prospettando ora l’inoperatività della clausola contrattuale in cui l’autorizzazione sarebbe contenuta, in quanto coeva alla conclusione del contratto, ora la sua nullità per genericità.

Sul primo punto osserva il collegio, in motivato dissenso da quanto trovasi affermato nell’arresto citato dai ricorrenti (confr. Cass. civ. 13 febbraio 1981, n. 889), che, se il consenso del concedente all’esecuzione dei miglioramenti deve certamente precedere, quale condizione legittimatrice di tipo autorizzativo, l’esecuzione delle opere (confr. Cass. civ. 5 settembre 2005, n. 17772), esso ben può essere non solo coevo alla conclusione del contratto di affitto, ma inserito nel corpo stesso delle pattuizioni.

Quanto invece all’asserita aspecificità della clausola, l’apprezzamento espresso dalla Corte territoriale – che ha invece ritenuto validamente assentite le migliorie – essendo congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità. Si ricorda in proposito che l’interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in questa sede, a un controllo limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e al riscontro di una motivazione coerente e logica (Cass. civ., 12 giugno 2007, n. 13777).

2.4 Non è peraltro superfluo aggiungere che, in realtà, i miglioramenti di cui si discute, in quanto eseguiti prima dell’entrata in vigore della L. n. 121 del 1971, secondo l’accertamento del decidente, erano comunque indennizzabili, ancorchè non autorizzati, ex art. 1651 cod. civ. (confr. Cass. civ. 15 gennaio 2003, n. 483), il che, considerato anche che nessun rilievo hanno i ricorrenti formulato in ordine al quantum della liquidazione operata dal giudice a quo, comporta che la decisione impugnata resiste in ogni caso alle critiche formulate in ricorso.

Questo deve pertanto essere integralmente rigettato.

La difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2010

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