Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7800 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. I, 05/04/2011, (ud. 05/10/2010, dep. 05/04/2011), n.7800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.G.P., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso

la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. MARRA Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli in data 7 maggio

2008, nella causa iscritta al n. 4024/2007 R.G.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 5 ottobre 2010 dal relatore, cons. Dott. Stefano Schiro’;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. PATRONE Ignazio, che nulla ha osservato.

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE:

A) rilevato che e’ stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. L.G.P. ha proposto ricorso per cassazione con sette motivi avverso il decreto della Corte di appello di Napoli in data 7 maggio 2008 in materia di equa riparazione L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 2;

1.1. il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso;

OSSERVA:

2. il primo motivo relativo al rapporto tra normativa nazionale e sopranazionale appare inammissibile, in quanto il quesito formulato e’ del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

3. il secondo e il terzo motivo appaiono manifestamente fondati nella parte in cui si censura la liquidazione dell’indennizzo stabilita dalla Corte di appello nella misura di Euro 600,00 per ogni anno di durata non ragionevole, inferiore a quella applicata in casi simili da questa Corte, sulla scorta dei principi fissati dalla giurisprudenza della CEDU, per un ammontare di Euro 750,00 ad anno per i primi tre anni di durata non ragionevole e di Euro 1.000,00 per ogni ulteriore anno successivo; i due motivi appaiono invece manifestamente infondati nella parte in cui si invoca la liquidazione dell’indennizzo per ogni anno di durata del processo, in quanto e’ vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a) ai sensi del quale e’ influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14);

4. il quarto e il quinto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non puo’ ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

5. appaiono assorbite le censure di cui al sesto e settimo motivo in ordine alla compensazione per la meta’ delle spese processuali, dovendosi comunque procedere ad una nuova liquidazione delle medesime in conseguenza del prospettato accoglimento parziale del ricorso;

6. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione;

ritenuto pertanto, in base alle considerazioni che precedono, che, dichiarato inammissibile il primo motivo, devono essere accolti, nei termini di cui in motivazione, i motivi da due a quattro, con rigetto del quinto e del sesto, dichiarato assorbito il settimo, con conseguente annullamento del decreto impugnato in ordine alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che in particolare, determinato in sei anni e quattro mesi il periodo di durata non ragionevole del giudizio presupposto, protrattosi complessivamente per nove anni e quattro mesi dal 23 febbraio 1998 al 27 giugno 2007 – previa detrazione da tale durata complessiva del periodo di durata ragionevole di tre anni -, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito in detto giudizio va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purche’ detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversita’ di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di sei anni e quattro mesi, l’indennizzo di Euro 5.583,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze; ritenuto che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352), compensate per la meta’ quelle del giudizio di cassazione in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso, con distrazione delle stesse in favore del difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie, nei termini di cui in motivazione, i motivi da due a quattro, rigetta il quinto e il sesto motivo, assorbito il settimo. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 5.583,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda. Condanna inoltre il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonche’ di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la meta’, che si liquidano per l’intero in Euro 595,00 di cui Euro 495,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 5 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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