Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7794 del 31/03/2010

Cassazione civile sez. III, 31/03/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 31/03/2010), n.7794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21793-2006 proposto da:

C.C.E. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA SAN LORENZO IN LUCINA 5, presso lo studio

dell’avvocato GORI GIOVANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato

LEONE FRANCO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

N.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 94, presso lo studio dell’avvocato DI

PASTENA BIANCA MARIA CATERINA, rappresentato e difeso dall’avvocato

SCIUBBA PIETRO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2627/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, 4^

SEZIONE CIVILE, emessa il 7/6/2005, depositata il 13/07/2005, R.G.N.

10488/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato PIETRO SCIUBBA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 12 novembre 2002 il Tribunale di Roma condannava E.C.C. a restituire a N.V., conduttore di un immobile di proprietà della C.C. i canoni corrispettivi corrisposti in eccedenza.

A seguito dell’appello della convenuta in primo grado, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 13 luglio 2005, accoglieva per quanto di ragione l’appello e dichiarava di spettanza del N. i soli interessi legali dalla domanda; riduceva le spese della fase di primo grado e compensava per la metà le spese del gravame.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la C. C., affidandosi a cinque motivi.

Resiste con controricorso il N..

Le parti hanno depositato rispettive memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va premesso che il ricorso non è inammissibile, come eccepisce il resistente, in quanto dal suo esame complessivo è possibile conoscere i fatti che sono alla base della vicenda processuale.

1.-Con il primo motivo (violazione dell’art. 39 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente si duole del fatto che non sia stata ravvisata la litispendenza tra le domande proposte nel presente giudizio e quella che ha dato vita all’opposizione al decreto ingiuntivo avanti al Giudice di pace di Roma e sospesa ex art. 295 c.p.c. con ordinanza del 14 marzo 2002, che ritiene, peraltro, “iniziativa del tutto illegittima” (p. 2 ricorso).

Il motivo è infondato.

Di vero, come si evince dalla sentenza impugnata (p. 3) nonchè dagli atti difensivi delle parti (ricorso e controricorso), il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è volto ad accertare se i canoni ingiunti e relativi al periodo febbraio-giugno 1987, non compresi nella domanda dispiegata nel presente giudizio, che è limitato al periodo anteriore al febbraio 1987, siano o meno dovuti, nonchè a dichiarare la nullità parziale del contratto di locazione e ad ottenere da parte dell’opponente. N. la condanna della locatrice al risarcimento dei danni, asseritamente subiti per le modalità di notifica del decreto ingiuntivo ed, inoltre, ad esaminare la domanda, subordinata a quella di nullità del decreto ingiuntivo, di compensazione non legale nè giudiziale, ma di mero calcolo tra posta creditoria e posta debitoria tra i due soggetti del rapporto.

Ciò posto, appare evidente che, nella specie, non può farsi applicazione delle statuizioni di cui alle S.U. n. 20600/07, indicate dalla ricorrente nella memoria, ritualmente depositata, in quanto, come ritiene la sentenza impugnata “è palese non solo la differenza (e non la parziale differenza, rectius la parziale coincidenza di cui alla sopra indicata decisione delle Sezioni Unite – n.d.r.) tra il petitum delle due cause, ma anche il periodo inerente alle somme reclamate” (p. 3 sentenza impugnata).

2.-Con il secondo motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente lamenta che il giudice dell’appello, una volta ritenuto di non poter operare la compensazione relativa ai suoi pretesi crediti di cui al decreto ingiuntivo opposto, l’ha, comunque, condannata alla restituzione delle somme versate in eccesso, invece di limitarsi alla determinazione dell’equo canone.

La censura è infondata per la semplice ragione che il giudice si è attenuto pienamente alla domanda attorea e su questa circostanza nulla dice in proposito e di più rispetto a quanto dedotto nella fase di appello la ricorrente che, peraltro, definisce “correttamente individuata” la domanda stessa (p. 6 ricorso).

3.-Con il terzo motivo (violazione dell’art. 1224 c.c., comma 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente pone in rilievo una pretesa illegittimità del riconoscimento del danno da svalutazione monetaria a favore del creditore (p. 7 ricorso).

La doglianza è stata già esaminata dal giudice dell’appello (p. 4 sentenza impugnata) e respinta.

Ma, osserva il Collegio che dalla stessa sentenza impugnata risulta che non vi è alcun elemento idoneo a dimostrare la sussistenza del maggior danno, tanto è che il giudice dell’appello si è limitato ad affermare la esistenza del danno in re ipsa.

Di vero, se la rivalutazione è un fatto notorio, non lo è il danno da svalutazione monetaria.

Pertanto, il motivo va accolto ed, entrando nel merito ex art. 384 c.p.c. – la sentenza va cassata senza rinvio nel punto in cui ha concesso la rivalutazione monetaria.

4.-Con il quarto motivo (violazione dell’art. 90 disp. att. c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5) la ricorrente si duole che il rigetto della eccepita nullità della CTU sia sorretto da argomentazioni “superficiali, disattente, lacunose e del tutto incongrue sul piano logico”.

Osserva il Collegio che il motivo. in parte è infondato, in parte è inammissibile.

4.1.-E’ infondato, allorchè la ricorrente deduce che, in realtà, non è stata informata dell’inizio delle operazioni peritali.

Infatti, va precisato che, come si legge nella sentenza impugnata (p. 4), l’inizio delle operazioni peritali fu fissato dal CTU al momento del conferimento dell’incarico.

Peraltro, “due giorni prima della data stabilita la locatrice comunicava” che aveva venduto l’immobile e, dunque, “non era più possibile accedervi”.

“In tempi strettissimi il consulente comunicava per fax il nuovo luogo ove dar inizio alle operazioni dando atto di pregresso avviso telefonico”; il giorno convenuto, il consulente constavate l’assenza della attuale ricorrente e rinviava le operazioni, dandone avviso alla stessa (p. 5 sentenza impugnata).

4.2.-E’ inammissibile, laddove accusa la sentenza impugnata di argomentazioni superficiali, disattente, lacunose e del tutto incongrue sul piano logico, senza indicarne il come e perchè esse siano tali, ma limitandosi solo a ripercorrere la cadenza temporale in una prospettiva diversa da quella adottata con congruità logica e attenzione peculiare dal giudice del gravame(v. p. 9-10 ricorso).

Si evince ictu oculi che in nessuno dei vizi denunciati è incorso il giudice a quo, senza omettere di considerare, per completezza, che la ricorrente non deduce quali siano i concreti pregiudizi subiti in conseguenza di quello che asserisce omessa comunicazione del rinvio delle operazioni peritali, anche per questa censura solamente enunciati (v. p. 10 ricorso).

5-Con il quinto motivo(violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, L. n. 392 del 1978, art. 46, art. 2719 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 2 (ma forse n. 5 n.d.r.) – omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia) la ricorrente censura la sentenza impugnata, affermando che il giudice dell’appello abbia compiuto “un’analisi complessiva” degli elementi probatori, nel senso che avrebbe operato uno stretto collegamento logico di reciproco e vicendevole sostegno, ovvero, “mutuando una espressione propria del diritto societario” si potrebbe dire “che i vari elementi di prova sono stati sistemati in maniera tale che simul stabunt simul cadent” (v. p. 10-11 ricorso).

Il motivo è infondato, se non inammissibile, in quanto censura il potere discrezionale del giudice del merito in ordine all’apprezzamento delle prove.

Come era suo obbligo, il giudice dell’appello non ha parcellizzato le prove; le ha collegate logicamente tra loro e, con argomenti, che non sono scalfiti dal contenuto della censura, ha pure evidenziato che, trattandosi di questione soggetta al rito del lavoro, le circostanze proposte in appello erano inammissibili, stante l’espresso richiamo nell’art. 447 bis c.p.c., così come introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 70 e poi modificato successivamente (p. 5-6 sentenza impugnata), tra l’altro, dell’art. 437 c.p.c. “in quanto compatibile” e ciò contrariamente a quanto si legge nel ricorso (p. 12).

Conclusivamente, il ricorso va respinto in ordine al primo, secondo, quarto e quinto motivo; va, invece, accolto in merito al terzo motivo e la sentenza va confermata nel resto.

In riferimento al presente giudizio si rinvengono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese, data la parziale soccombenza del resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo, il quarto e il quinto motivo del ricorso; accoglie il terzo motivo e, in relazione al motivo accolto, giudicando nel merito, esclusa la concessa rivalutazione, cassa senza rinvio; conferma nel resto l’impugnata sentenza e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2010

 

 

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