Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7792 del 27/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/03/2017, (ud. 22/12/2016, dep.27/03/2017),  n. 7792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19156/2015 proposto da:

C.F., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dagli Avvocati GIUSEPPE MARZIALE, PATRIZIA TOTARO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

VODAFONE OMNITEL B.V., C.F. (OMISSIS), già VODAFONE OMNITEL N.V., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio dell’avvocato

ENRICO CICCOTTI, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati FRANCO TOFACCHI, ANDREA MUSTI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3949/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/05/2015 R.G.N. 252/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

udito l’Avvocato MARZIALE GIUSEPPE;

udito l’Avvocato TOFACCHI FRANCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza dell’11.5.2015 la Corte di appello di Napoli rigettava l’appello proposto da C.F. avverso la sentenza del 30.5.2014 del Tribunale di Napoli che aveva confermato il rigetto in sede di opposizione della domanda ex L. n. 92 del 2012, del C., dipendente della Vodafone con mansioni di addetto al contratto con i clienti che chiedevano la portabilità del proprio numero telefonico, diretta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato dalla datrice di lavoro per giusta causa con i consequenziali provvedimenti reintegratori e risarcitori.

2. A fondamento della propria decisione la Corte territoriale osservava che nella contestazione disciplinare del (OMISSIS) si era addebitato al lavoratore quale dipendente della società appellata di aver proceduto unitamente ad altri dipendenti all’attivazione di indebite promozioni di (OMISSIS) su utenze mobili Vodafone. La contestazione non era tardiva in quanto dopo una denuncia della stessa società era iniziata una indagine penale su 2.379 promozioni con l’utilizzazione di 12 account della società i cui esiti erano stati conosciuti nel novembre del 2012 con l’ordinanza del GIP di rigetto della misura cautelare. La società aveva a questo punto compiuto le verifiche necessarie e il (OMISSIS) aveva contestato i fatti al dipendente ed il (OMISSIS) era stata irrogata la sanzione: pertanto il principio di immediatezza risultava rispettato. Circa il principio di specificità della contestazione per la Corte di appello risultava rispettato risultando chiara la condotta addebitata, le fonti di conoscenza, le circostanze di tempo e di luogo, i concorrenti nelle operazioni truffaldine. Insieme ai colleghi E. e B. il lavoratore si era introdotto nel sistema Vodafone attivando indebite promozioni commerciali ed erano state percepite somme di denaro. Il lavoratore era stato visto in alcuni giorni insieme agli altri due dipendenti mentre costoro stavano attivando le indebite promozioni, il (OMISSIS) era stato visto anche operare materialmente su una postazione non propria (cfr. pagg. 7 ed 8 della sentenza impugnata). Al C. ed agli altri due colleghi era stata formulata l’imputazione di cui all’art. 416 c.p., in relazione ai detti accessi abusivi ed alle correlate promozioni abusive; erano state prodotte le riprese effettuate nel corso delle indagini penali e la Vodafone aveva prodotto le dichiarazioni rese in analogo giudizio dai marescialli della Guardia di Finanza S. e Co.; quest’ultimo aveva dichiarato che gli orari delle videoregistrazioni corrispondevano al minuto con quelli della verifica da parte di Vodafone della presenza dei dipendenti e delle relative attività informatiche. Era stata quindi accertata la veridicità dei dati di provenienza aziendale quanto all’orario in cui erano state eseguite le operazioni illecite. La Corte di appello riassumeva il contenuto delle riprese video dei giorni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); nei primi due giorni si vedeva il C. seguire le operazioni degli altri due colleghi imputati da postazioni non loro ed il (OMISSIS) lo si vedeva anche operare invece direttamente su postazione di altro dipendente. La Corte di appello indicava i comportamenti circospetti dei tre dipendenti ed altri elementi che rendevano non credibile la tesi difensiva dell’appellante. Inoltre venivano depositati stralci di intercettazioni telefoniche nelle quali coimputati per la stessa vicenda parlavano di somme da corrispondersi al C. con un linguaggio cifrato. Pertanto per la Corte di appello questa serie di elementi comprovava la partecipazione del C. “ad un’attività illecita, organizzata in forma associativa di ampie proporzioni..consumata con l’uso di strumenti aziendali, nell’orario di lavoro e cessata in relazione all’introduzione del sistema di riconoscimento tramite impronta digitale dell’operatore”. Quanto meno il C. aveva violato platealmente l’obbligo di fedeltà non avendo avvisato il datore di lavoro di illeciti commessi ai suoi danni avendo personalmente assistito alla commissione di questi. La massima sanzione risultava quindi giustificata per la lesione irrimediabile del vincolo fiduciario.

3. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il C. con tre motivi corredati da memoria ex art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso corredato da memoria la controporte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e artt. 115 e 116 c.p.c.. Nonchè l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia. La contestazione non era immediata ed era generica.

2. Il motivo appare inammissibile nella seconda parte e nella prima infondato. Non sussiste alcun vizio di motivazione prospettabile alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, posto che la Corte di appello ha specificamente esaminato le eccezioni di non immediatezza della contestazione e di non specificità della stessa con una complessa, articolata e non illogica motivazione: pertanto il “fatto” (cfr. per la nozione di “fatto” Cass. 7 aprile 2014, sez. un. civ. n. 8053) di cui si parla è stato compiutamente esaminato. Circa, invece, la dedotta violazione dell’art. 7 la Corte di appello ha osservato che la società ha ritenuto opportuno, dopo la denuncia sporta all’A.G., attendere i primi esiti dell’indagine giudiziaria comunicati nel (OMISSIS) e dopo una celere verifica di questi già nel (OMISSIS) vi è stata la contestazione e il (OMISSIS) l’applicazione della sanzione. Pertanto non sussiste alcuna tardività: vista la connotazione penalistica dei fatti emersi appare del tutto razionale e condivisibile il comportamento tenuto dal datore di lavoro che, una volta conosciuto l’esito delle indagini, ha con prontezza tratto le conseguenze sul piano disciplinare. Circa la genericità della contestazione che è stata riportata per stralci a pag. 6-7 della sentenza impugnata va condivisa l’opinione dei Giudici di merito che l’hanno giudicata chiara in ordine alla condotta addebitata, alle fonti di conoscenza, alle circostanze di tempo e di luogo, ai concorrenti nelle operazioni truffaldine. Peraltro le censure sul punto sono del tutto generiche richiamando il ricorrente precedenti difese secondo un metodo inammissibile nel processo di cassazione nel quale il ricorso ed in specifico il motivo deve riassumere le doglianze sviluppate nei precedenti gradi ed indicare le ragioni per le quali si ritengono erronee le soluzioni adottate nella sentenza impugnata.

3. Con il secondo motivo si allega la violazione degli artt. 1218, 1453, 1455, 2106, 2119, 2697, 2927, 2729, 2699, 2701, 2708, 2711, 2713, 2714, 2719, 2720, 2721, 2729, 2730, 2735 e 2736 c.c., artt. 115, 116, 416, 420 e 421 c.p.c.; L. n. 300 del 1970, art. 18 e della L. n. 92 del 2012, comma 49, nonchè l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione. Si era proceduto alla prova per presunzioni ma gli elementi acquisiti al processo non erano idonei a trarre le conseguenze raggiunte dal Giudice di appello. Si era proceduto secondo un metodo di presunzioni tratte a loro volta da presunzioni del tutto arbitrario e vietato dalla legge. Nulla era emerso che indicasse la conoscenza del ricorrente del carattere illecito dell’attività svolta dai suoi colleghi. Era stato mal ricostruito quanto emergeva dalle videoregistrazioni.

4. Il motivo va dichiarato inammissibile in quanto, sebbene sviluppato come plurima violazione di norme di diritto, in realtà è diretto ad una “rivalutazione del fatto” come tale inammissibile in questa sede, soprattutto dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che non consente più di dedurre vizi motivazionali se non concernenti l’omessa valutazione di un fatto decisivo. Nel caso in esame il “fatto” e cioè la veridicità degli addebiti mossi al ricorrente è stata ampiamente e dettagliatamente valutata dai Giudici di appello che hanno analiticamente indicato gli elementi da cui hanno tratto il convincimento della fondatezza degli addebiti, in primis l’esame delle videoregistrazioni che attestano i comportamenti tenuti dal ricorrente, nonchè le prove testimoniali raccolte ed anche alcune registrazioni telefoniche dalle quali emergeva, attraverso un linguaggio cifrato, la volontà di dazione da parte di coimputati di somma di denaro al ricorrente. Pertanto le inferenze della sentenza impugnata appaiono razionalmente e logicamente motivate sulla base di obiettivi, gravi ed univoci elementi e non sussistono le violazioni contestate dalla difesa del ricorrente che in realtà mirano alla sostituzione della propria valutazione con quella (concorde) dei Giudici di merito. Peraltro certamente questo Collegio non può sindacare quanto i Giudici di merito hanno positivamente accertato e verificare se in ipotesi il C. durante una registrazione fosse in piedi o accucciato e cosa stesse in concreto facendo essendo tale compito del tutto eccentrico rispetto alla funzione di controllo di legalità che è affidata alla Corte di cassazione ed avendo il Legislatore riportato il vizio di motivazione entro precisi limiti (confronta, per tutte, la sentenza Cass. a sez. un. prima citata 8053/2014) certamente non ricorrenti nella presente controversia nella quale il “fatto” è stato dettagliatamente ed analiticamente valutato con una congrua ed articolata motivazione che eccede di molto il cosiddetto “minimo costituzionale”.

5. Con l’ultimo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. La convenuta non aveva mai invocato come strumento probatorio gli artt. 2727 e 2729 c.c..

6. Il motivo è infondato essendo le citate norme dirette a disciplinare l’attività del Giudice nel valutare le prove e non costituiscono, pertanto, norme sostanziali di carattere regolativo che la parte debba indicare ed invocare a pena di nullità o di decadenza.

7. Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese del giudizio di legittimità – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi, nonchè in Euro 4.500,00 per compensi nonchè spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2017

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