Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7791 del 27/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/03/2017, (ud. 15/12/2016, dep.27/03/2017),  n. 7791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6525/2011 proposto da:

S.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

FIORELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIAN

PIERO FOGLIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONINO SGROI, LUIGI CALIULO, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO,

ENRICO MITTONI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 721/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO

depositata il 26/08/2010 R.G.N. 1390/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza pubblicata in data 26 agosto 2010, per quel che qui ancora di interesse, ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano che aveva rigettato la domanda proposta da S.L., avente ad oggetto il riconoscimento a fini pensionistici di alcuni periodi contributivi inerenti a rapporti di lavoro intercorsi con la società Kemira Coatings Ltd, e in particolare quelli compresi tra l’1/1/1987 e l’10/9/1990 e tra il 1/10/1993 e il 15/5/1995, ritenendo prescritti i contributi fino al 15/7/1987 e non provato il rapporto per i periodi successivi. Il Tribunale aveva inoltre ritenuto inammissibile la domanda di rendita L. n. 1338 del 1962, ex art. 13.

2. A fondamento della sua decisione la Corte ha ritenuto non costituito il rapporto processuale con la società datrice di lavoro, a causa dell’omessa notificazione del ricorso introduttivo del giudizio. Ha invece rigettato la domanda proposta nei confronti dell’Inps, perchè, dopo aver esaminato la documentazione prodotta in giudizio, ha ritenuto sussistente la prova del rapporto di lavoro solo a far tempo dall’agosto-settembre 1990, mentre per quanto riguarda il periodo successivo (ottobre 1993-maggio 1995) le annotazioni contenute sul libretto di lavoro in quanto effettuate da persone che non avevano i poteri di rappresentanza della datrice di lavoro non potevano valere come prova del rapporto e lo stesso valeva per le buste paga, prive di qualsiasi annotazione circa la loro provenienza dal datore di lavoro.

3. Contro la sentenza S. propone ricorso per cassazione fondato su cinque motivi, cui resiste con controricorso l’Inps.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità della produzione in questo giudizio dei documenti (estratto conto previdenziale Inps del 9/12/2010) da cui risulterebbe l’accredito della contribuzione relativa al periodo 1/10/1993-31/1/1994 ed in base al quale la parte ha chiesto che si dichiari cessata la materia del contendere relativamente al suddetto periodo. L’art. 372 c.p.c., consente infatti la produzione in cassazione dei soli documenti che attengono alla nullità della sentenza e/o alla ammissibilità del ricorso e del controricorso, laddove il documento in esame attiene evidentemente al merito della domanda, come si evince peraltro dalla difesa dell’Inps che ha contestato la provenienza del documento dai suoi uffici.

2. I primi tre motivi del ricorso (numerati sub 2, 3 e 4) sono incentrati sul vizio di motivazione della sentenza, assumendosi che il giudice di merito non avrebbe valutato le prove documentali (in particolare il contratto di lavoro e l’estratto conto contributivo) alla luce della “molta altra documentazione ritualmente prodotta e mai ex adverso contestata”, non avrebbe ammesso la prova testimoniale articolata già in primo grado, nonostante la specificità dei capitoli e la loro rilevanza, non avrebbe valutato che per il periodo precedente alla sua formale assunzione non risultava dall’estratto contributivo il versamento dei contributi, nonostante la stessa sentenza avesse ritenuto che per quel periodo vi era stato il pagamento delle retribuzioni e, verosimilmente, anche dei contributi.

3. Il quarto motivo (n. 5) è dedotto sotto la specie della violazione di legge, “con riferimento alla sottoscrizione apposta sul libretto di lavoro prodotto in copia conforme” dal ricorrente: secondo lo S., tale sottoscrizione era stata apposta dal Dottor C.P., procuratore della società datrice di lavoro, e il fatto che egli avesse cessato l’incarico di procuratore non poteva essergli opposto, non essendo state portate a sua conoscenza la revoca o le modificazioni della procura, secondo quanto dispone l’art. 1396 c.c., con la conseguenza che l’annotazione sul libretto di lavoro della cessazione del rapporto in data 15/5/1995 doveva ritenersi valida e rispondente al vero. La sentenza sul punto era in contrasto anche con la L. n. 112 del 1935, art. 6, secondo cui il libretto di lavoro deve rimanere depositato presso il datore di lavoro e consegnato al lavoratore solo dopo la cessazione del servizio.

4. Il quinto motivo (contrassegnato anch’esso con il n. 5) riguarda la violazione di legge con riferimento alla documentazione prodotta, la quale provenendo dalla datrice di lavoro doveva fare prova in favore del ricorrente e la valutazione contraria della Corte territoriale si poneva in violazione degli artt. 2730 c.c. e segg. e art. 2697 c.c., ovvero dell’art. 2729 c.c., costituendo gli stessi documenti presunzioni gravi precisi e concordanti.

5. Tutti i motivi, che si esaminano congiuntamente per la connessione che li lega, devono essere rigettati, presentando evidenti profili di inammissibilità.

La parte non trascrive, se non per brevi e incomprensibili stralci e solo di alcuni, i documenti che secondo il suo assunto non sarebbero stati adeguatamente valutati dai giudici di merito. I documenti, peraltro, non risultano depositati con il ricorso per cassazione, nè la parte fornisce precise indicazioni per una loro facile reperibilità nella presente fase del giudizio, apparendo del tutto generico e come tale inidoneo allo scopo il riferimento ad una numerazione del documento, senz’alcun riferimento alla collocazione.

6. Il mancato assolvimento di questi oneri rende il ricorso non rispettoso del principio di autosufficienza, in forza del quale qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di atti o documenti da parte del giudice del merito per rispettare il suddetto principio – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante dei documenti stessi, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali e assolvendo, così, il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; v. pure Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966).

7. Ulteriore profilo di inammissibilità sta nella parte della censura relativa alla mancata ammissione delle prove testimoniali, dal momento che la parte non trascrive i capitoli di prova (Sez. Un. 22 dicembre 2011, n. 28336; Ord. 30 luglio 2010, n. 17915), e tale omissione impedisce a questa Corte il controllo sulla decisività dei fatti da provare e delle prove stesse, in quanto, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte di Cassazione deve essere in grado di compiere tale verifica in base alle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 29 settembre 2005, n. 19051). La specifica indicazione delle prove richieste non ammesse appare ancor più necessaria a fronte della espressa motivazione della Corte che ha rigettato la richiesta di prova orale, ritenendo generiche e comunque irrilevanti le circostanze capitolate.

8. I motivi di ricorso incentrati sulla violazione di legge sono inammissibili. La doglianza relativa alla violazione della norma di cui all’art. 2697 c.c., è configurabile, integrando motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma (Cass., 19 giugno 2014, n. 13960). Inoltre, il vizio di violazione di legge deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 16 gennaio 2007, n. 828, e, da ultimo, Cass., ord., 15 gennaio 2015, n. 635).

Diversamente, laddove la censura investe la valutazione delle risultanze istruttorie (attività regolata dagli artt. 115 e 116 c.p.c.) il relativo vizio può essere fatto valere ai sensi del n. 5 del medesimo art. 360 (Cass., 17 giugno 2013, n. 15107; Cass., 4 aprile 2013, n. 8315) ed esso deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass., 20 giugno 2006, n. 14267; Cass., 26 marzo 2010, n. 7394).

9. Ora, deve osservarsi che nella sentenza impugnata non si rinvengono affermazioni in contrasto con le norme invocate, così come non risulta dalla sentenza che la Corte abbia attribuito agli elementi emersi in giudizio un significato fuori dal senso comune. Quanto alla deduzione della violazione degli artt. 1396, 2730, e L. n. 112 del 1935, art. 6, in disparte la genericità della censura, non può non rilevarsi che, nell’illustrazione dei motivi, il ricorrente non individua le specifiche affermazioni della Corte in contrasto con le norme asseritamente violate. Il vizio di violazione di legge, pertanto, non è dedotto con le modalità richieste dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass., ord., 15 gennaio 2015, n. 635, cit.; Cass., 26 giugno 2013, n. 16038; Cass., 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., 16 gennaio 2007, n. 828; Cass., 19 gennaio 2005, n. 1063; Cass., 6 aprile 2006, n. 8106).

10. Quanto alla violazione degli artt. 2729 c.c. e segg., si è evidentemente è in presenza di una censura che attiene alla valutazione da parte del giudice di merito degli elementi probatori emersi in giudizio sì che deve escludersi la riconducibilità della censura all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

11. Solo per completezza va ricordato che spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 10 giugno 2014, n. 13054; Cass., ord., 6 aprile 2011, n. 7921; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499; Cass., 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 15 aprile 2004 n. 7201; Cass. 7 agosto 2003 n. 11933).

12. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2017

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