Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7787 del 03/04/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 7787 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 28354-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati
ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, EMANUELE
DE ROSE, VINCENZO STUMPO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente contro
NARRACCI ROSA, NARACCI GIOVANNI, MUOLO NICOLO’,
MUOLO GESUMINO, MASTROROSA MARIA, MARASCIULO
VINCENZA, MARASCIULO ANTONIA, MAGGI ROTOLO
ROSANNA, LONGO MARIA, LACITIGNOLA VITTORIA;

Data pubblicazione: 03/04/2014

- intimati avverso la sentenza n. 5763/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 15.11.2010, depositata il 2V11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

FATTO E DIRITTO
La Corte d’appello di Bari ha respinto l’appello proposto dall’Inps e
confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato l’Istituto
a liquidare l’indennità di disoccupazione per l’anno 2000 a Longo
Maria, 2001 a Muolo Gesumino, Mastrorosa Maria, Marasciulo
Vincenza e Lacitignola Vittoria e sia per il 2000 che per il 2001 a
Narracci Rosa, Narracci Giovanni, Muoio Nicolò, Maggi Rotolo
Rosanna e Marasciulo Antonia ponendo a base del calcolo il salario
fissato pro tempore dalla contrattazione collettiva nella provincia di
Bari, comprensivo della quota di TFR, in relazione alla qualifica di
operaio agricolo a tempo determinato / oltre agli accessori dovuti per
legge.
Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione l’Inps affidato a
tre motivi.
Gli assicurati sono rimasti intimati.
Tanto premesso sui motivi di ricorso si osserva quanto segue:
Quanto alla eccepita decadenza ex art. 47 comma 3 d.p.r. 639/1970 e
s.m. va rammentato che l’originario testo dell’art. 47 citato stabiliva
che: ‘Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi
all’autorità giudkiaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod. proc. civ.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni dalla data di
comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai competenti
organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia

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03/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.

della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di trattamenti
pensionistici.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date
di cui al precedente comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a
carico dell’assicurazione contro la tubercolosi e dell’assicurazione contro la

Come è noto, i termini stabiliti dall’articolo di legge citato erano stati
ritenuti dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. S.U. 21 giugno 1990
n. 6245) di decadenza, di tipo peraltro procedimentale, vale a dire
finalizzata unicamente a delimitare l’efficacia temporale della
condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, rappresentata
dall’attivazione e dall’esaurimento del procedimento amministrativo.
Col successivo art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103, convertito con
modificazioni nella legge 1° giugno 1991 n. 166, ritenuto da Corte
Cost., con la sent. n. 246 del 1992, di interpretazione autentica dell’art.
47 D.P.R. n.639/70, venne poi stabilito:
“1 — I termini previsti dall’art. 47, commi secondo e teqo del D.P.R. 30 aprile
1970 n. 639 sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del diritto alla
prestazione previdenziale . la decadenza determina l’estinzione del diritto ai ratei
pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della relativa domanda
giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini
decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2— Le dzIsposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva, ma non
si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore de/presente
decreto”.
Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi secondo e
terzo del citato art. 47 sono stati successivamente sostituiti dai
seguenti: ‘Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione
giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro i l termine di tre anni
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disoccupazione involontaria”.

dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti
nani dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia
della predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per
l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di
presentazione della richiesta di prestazione.

legge 9 marzo 1989 n. 88, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di
decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma”.
L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le disposizioni indicate
“non si applicano ai procedimenti istaurati anteriormente alla data di entrata in
vigore de/presente decreto ancora in corso alla medesima data”.
Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d) del D.L. 6 luglio
2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha aggiunto
al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: ‘Le decadenze
previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi
ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di
accessoti del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento
parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, precisando al
quarto comma che “Le disposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d) si applicano
anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente
decreto”.
Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la giurisprudenza
consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da ultimo,
sulla base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce le tesi
della precedente Cass. S.U. 18 luglio 1996 n. 6491-, fr. , ad es., Cass. 20
gennaio 2010 n. 948 e 26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto qui
interessa e fino alla citata recente novella del 2011, nel senso della
inapplicabilità della decadenza alle domande di adeguamento di

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Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’art. 24 della

prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente
dall’ente previdenziale.
Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del 29
maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto
nell’ambito della sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza

marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella I- 1 giugno
1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda
giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla
prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta
prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene
nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate
interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei
quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria
prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa da
un collegio della sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria
depositata il 18 gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa
Corte, sulla base del rilievo che l’interpretazione prevalente non
apparirebbe giustificata dal tenore letterale e dalla considerazione delle
finalità della norma, la quale riguarderebbe viceversa ogni tipo di
azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle sezioni
unite della Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la citata
novella di cui all’art. 38, primo comma, lett. d) del recente D.L. 6 luglio
2011 n. 98, convertito in legge n. 111/’11, è stata quindi disposta la
restituzione degli atti alla sezione lavoro, sulla base della
considerazione della necessità di valutare la persistenza del proposito
di investire della questione le sezioni unite, alla luce della valutazione
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di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47- come interpretato dal D.L. 29

della eventuale incidenza delle norme di legge citate sulla
interpretazione del l’art. 47, vigente prima di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina,
esprimendo il proposito del legislatore di modificare in materia, con
una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale

2009, conferma indirettamente la corrispondenza di quest’ultima
all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella
del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della
Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo
stesso legislatore convincono il collegio della inapplicabilità dell’art. 47
del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima delle integrazioni apportate
dell’art. 38 del D.L. n. 98 del 2011, al caso di richiesta di riliquidazione
di prestazioni previdenziali solo parzialmente riconosciute e liquidate
dall’ente previdenziale.
Per tale aspetto, quindi, il ricorso appare manifestamente infondato.
Al contrario il ricorso è fondato con riguardo all’inclusione nella base
di calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola della quota di tfr.
Si osserva al riguardo, così confermando quanto già ritenuto con la
sentenza 9.5.2007 n. 10546, che “ai fini della liquidazione delle
prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a confronto
con il salario medio convenzionale ex art. 4 d.lgs. 16.4.97 n. 146 – non
è comprensiva del trattamento di fine rapporto”.
Inoltre questa Corte ha ulteriormente affermato che “sulla base del
suddetto principio, la voce denominata quota di t.f.r. dai contratti
collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa dal
computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della
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consolidatasi per effetto delle recente pronuncia delle sezioni unite del

volontà espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in
forza della disposizione di cui al d.l. 14.6.1996 n. 318, art. 3, conv. dalla
1. 29.7.1996, n. 402, a norma del quale, agli effetti previdenziali, la
retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi, non può essere
individuata in difformità rispetto a quanto definito negli accordi stessi.

quella indicata dalle parti stipulanti, non è ravvisabile alcuna illegittima
alterazione degli istituti legali da parte dell’autonomia collettiva” (v.
Cass. 5.1.2011 n. 202 e numerose altre conformi).
Peraltro, tale orientamento giurisprudenziale è stato confermato dal
legislatore il quale con norma interpretativa contenuta nel d.l. 6.7.2011
n. 98 (convertito in legge n. 111/2011 prevede che “l’art. 4 del decreto
legislativo 16 aprile 1997 n. 146, e l’articolo 1, comma 5, del decreto legge 10 gennaio 2006 n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge
11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso che la retribuzione, utile
per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai
agricoli a tempo determinato, non è comprensiva della voce del
trattamento di fine rapporto comunque denominato dalla
contrattazione collettiva”.
In tali limiti va dunque accolto il ricorso dell’Inps e, non essendo
necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere sul
punto decisa nel merito e conseguentemente deve essere respinta la
domanda di inclusione della quota di tfr nella base di calcolo
dell’indennità di disoccupazione agricola chiesta.
Quanto alle spese dell’intero processo la complessità della vicenda
esaminata che ha visto anche recenti interventi legislativi ne
giustificano l’integrale compensazione per tutti i gradi di giudizio.
PQM
LA CORTE
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Dovendo escludersi che detta voce abbia natura diversa rispetto a

Respinge il primo motivo di ricorso. Accoglie nel resto. Cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel
merito rigetta la domanda di inclusione della quota di t.f.r. nella base di
calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola chiesta. Compensa tra
le parti le spese dell’intero processo.

Il Presidente

Così deciso in Roma il 3 febbraio 2014

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