Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7786 del 10/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/04/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 10/04/2020), n.7786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. Fortunato Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14327-2019 proposto da:

S.W., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIO MENGHINI

21, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE PORFILIO, rappresentato

e difeso dall’avvocato CHIARA COSTAGLIOLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 97591110586, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il

23/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO

COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. S.W., provvisoriamente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, impugnò davanti al tribunale di Campobasso il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Salerno – Sezione di Campobasso aveva disatteso la sua domanda di protezione internazionale e/o umanitaria.

Il tribunale di Campobasso rigettò il suo ricorso, giudicandolo manifestamente infondato, e contestualmente revocò l’ammissione del medesimo ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

S.W. propose opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 (Testo unico in materia di spese di giustizia, di seguito TUSG) al provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e il tribunale, con ordinanza depositata il 23 marzo 2019, ha rigettato l’opposizione.

Avverso detta pronuncia S.W. ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di quattro motivi.

Con il primo motivo, riferito alla violazione dell’art. 74 TUSG, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28 bis, si denuncia l’errore in cui il tribunale sarebbe incorso giudicando manifestamente infondata la domanda del ricorrente, ancorchè tale valutazione di infondatezza manifesta della sua richiesta di protezione internazionale e/o umanitaria non fosse stata operata dalla Commissione territoriale alla stregua del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28 bis (nel testo ratione temporis vigente, il cui comma 2 recitava, alla lettera “a”: “la domanda è manifestamente infondata in quanto il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251”).

Con il secondo motivo, riferito alla violazione dell’art. 136 TUSG e degli artt. 3,4,10,24,35 e 113 Cost., il ricorrente deduce che la manifesta infondatezza della domanda sarebbe predicabile solo quando il richiedente abbia sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e lamenta che il tribunale abbia ritenuto la sua domanda manifestamente infondata nonostante “la documentazione prodotta, i report allegati, la copiosa giurisprudenza positiva”.

Con il terzo motivo, riferito alla violazione dell’art. 337 c.p.c., si denuncia l’errore in cui il tribunale, quale giudice dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sarebbe incorso omettendo di operare una propria valutazione in ordine alla “manifesta” infondatezza della domanda azionata dalla parte ammessa a tale patrocinio.

Il quarto motivo è riferito alla violazione del D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 17, (recte: D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 17, come modificato dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6), in combinato disposto con l’art. 74, comma 2, e art. 82 TUSG; secondo il ricorrente, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 17, andrebbe letto “nel senso che il giudice non deve essere esonerato dalla necessità di distinguere la infondatezza dalla manifesta infondatezza” (pag. 22, primo capoverso, del ricorso).

Il Ministero della Giustizia non si è difeso con controricorso, ma si è limitato a depositare un “atto di costituzione”, ove conclude per il rigetto del ricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 12 novembre 2019, per la quale non sono state depositate memorie.

Il motivi terzo e quarto, da esaminare congiuntamente per la loro intima connessione, sono fondati e assorbono i primi due. L’impugnata ordinanza prende le mosse dal disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 17, come modificato dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, lett. g), (convertito, con modificazioni, con la L. n. 46/17); detto comma recita: “Quando il ricorrente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato e l’impugnazione ha ad oggetto una decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi dell’art. 29 e art. 32, comma 1, lett. b-bis), il giudice, quando rigetta integralmente il ricorso, indica nel decreto di pagamento adottato a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 82, le ragioni per cui non ritiene le pretese del ricorrente manifestamente infondate ai fini di cui all’art. 74, comma 2, del decreto cit.”).

Da tale disposizione il tribunale trae la regula juris che “nella specifica materia l’integrale rigetto del ricorso implica (equivale al)la manifesta infondatezza dello stesso, che, a sua volta, determina la revoca dell’ammissione al patrocinio”; cosicchè “le ragioni del rigetto nel merito (insindacabili nel caso in cui il provvedimento sia definitivo) sono sufficienti a determinare, automaticamente, la revoca dell’ammissione” (pag. 2, ultimo capoverso, dell’ordinanza).

La suddetta regula juris è erronea.

Questa Corte ha infatti più volte affermato che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in sè, non comporta alcuna statuizione nel merito, ma postula la verifica della sussistenza della colpa grave (Cass. 20270/17, 21610/18); la colpa grave, d’altra parte, si risolve nella infondatezza manifesta delle ragioni della pretesa (Cass. 26060/18).

E’ opportuno, per massima chiarezza, trascrivere alcuni stralci della motivazione dell’ordinanza di questa Sezione n. 20270/17, pronunciata in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio (ma risalente ad epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2017).

In detta ordinanza, dopo la sottolineatura della “distinzione fra la decisione sul merito della vicenda – il cui esame è effettivamente precluso al giudice dell’opposizione – e l’accertamento della sussistenza del presupposto per la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che in sè non comporta alcuna statuizione nel merito, ma impone di verificare se vi fosse la colpa grave che giustifica la revoca” (pag. 4, ultimo capoverso), si evidenzia come l’assunto secondo cui l’opposizione ex art. 170 TUSG alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, adottata per la manifesta infondatezza della domanda, dovrebbe giudicarsi inammissibile perchè al giudice del patrocinio sarebbe preclusa qualunque possibilità di cognizione circa il merito della decisione, comporterebbe “la mancata applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, oltrechè – in assenza del richiesto sindacato sul presupposto – la sostanziale privazione del mezzo di impugnazione consentito al destinatario della revoca ed il mancato esame dell’unico fatto controverso dedotto in giudizio” (pag. 5, secondo capoverso). L’ordinanza conclude, quindi, che il giudice del patrocinio ha l’onere di “verificare la fondatezza del decreto di revoca ai soli fini della colpa grave e non in relazione al merito dell’azione giudiziaria proposta. Il rifiuto di esperire il controllo sollecitatogli con il ricorso finisce con il sovrapporre la problematica relativa al gratuito patrocinio con quella relativa alla domanda di protezione internazionale” (pag. 5, terzo capoverso).

Tali principi, a cui il Collegio intende dare conferma e seguito, non possono ritenersi messi in dubbio dall’ordinanza di questa Sezione n. 29144/17, che il tribunale di Campobasso richiama senza, tuttavia, metterne esattamente a fuoco la portata.

Detta ordinanza, infatti, afferma – valorizzando l’autorità attribuita alla sentenza di primo grado dall’art. 337 c.p.c. – che la revoca dell’ammissione al beneficio per la temerarietà della lite può essere disposta indipendentemente dal passaggio in giudicato della decisione di merito che tale temerarietà abbia accertato. Ma questa affermazione, sulla quale si poggia l’assunto del tribunale di Campobasso di essere “vincolato dalla decisione di merito” (pag. 2, terzultimo capoverso, del provvedimento impugnato) presuppone che il giudice del patrocinio condivida, all’esito di una propria autonoma valutazione, l’apprezzamento di temerarietà operato dal giudice della causa, come appunto era accaduto nel caso allora al giudizio della Corte (cfr. pag. 4, penultimo capoverso, di Cass. 29144/17: “In primo luogo giova rilevare che la valutazione della mala fede è stata effettuata dal giudice della cognizione ai fini dell’applicazione dell’art. 96 c.p.c., essendo invece frutto di un’autonoma valutazione quella compiuta in occasione del provvedimento di revoca”); ma proprio Cass. 29144/17 fa espressamente salva la possibilità che, ai fini della revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il giudice del patrocinio giudichi erroneo l’apprezzamento del giudice della causa in ordine alla manifesta infondatezza della pretesa della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (vedi pag. 5, ultimo capoverso: “Deve quindi ritenersi che l’autorità della sentenza di primo grado, laddove il giudice deputato a provvedere sulla revoca e sulla successiva opposizione, non ravvisi la sua erroneità, giustifica l’adozione di un provvedimento che si fondi sull’accertamento dei fatti come operato nella stessa”).

I suddetti principi non vengono in alcun modo incisi dalla disposizione dettata dal D.Lgs. n. 25 del 2008 cit., art. 35 bis, comma 17, giacchè tale disposizione, sopra trascritta, ha natura meramente processuale; essa, infatti, ha ad oggetto il contenuto della motivazione dei decreti di pagamento adottati a norma dell’art. 82 TUSG, in relazione al patrocinio prestato nei giudizi di impugnativa delle decisioni delle Commissioni territoriali. Si tratta, dunque, di una norma che è rivolta al giudice, gravandolo di uno specifico dovere motivazionale, e che non riguarda la disciplina sostanziale del diritto soggettivo al gratuito patrocinio, il cui perimetro, anche nella specifica materia dei giudizi di impugnativa delle decisioni adottate dalle Commissioni territoriali sulle richieste di protezione internazionale e/o umanitaria, resta definito dalla disciplina generale dettata dal TUSG.

L’ordinanza impugnata va quindi cassata, con rinvio al tribunale di Campobasso, in persona di altro magistrato, che si atterrà agli enunciati principi di diritto e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il terzo e quarto mezzo di ricorso, assorbiti i primi due, cassa l’impugnata ordinanza e rinvia al tribunale di Campobasso, in persona di altro magistrato, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2020

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