Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7786 del 03/04/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 7786 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 4750-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA (c.f. 97103880585), domiciliata elettivamente
in Roma, Viale Mazzini n. 134, presso lo studio dell’Avvocato Luigi
Fiorillo, che la rappresenta e difende per delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro
ROSATI GIULIA, domiciliato elettivamente in Roma, Via Reno n. 21,
presso lo studio dell’Avv. Roberto Rizzo, che la rappresenta e difende
per procura a margine del controricorso;

– controricorrente avverso la sentenza n. 8254/2009 della Corte d’appello di Roma,
depositata in data 11.02.10;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
3.02.14 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone.
Ritenuto in fatto e diritto
1.- Con sentenza del Tribunale di Roma era accolta la domanda
di Rosati Giulia di dichiarare la nullità dell’apposizione del termine
all’assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., disposta in suo
favore per il periodo 19.01-20.02.98 per “esigenze eccezionali
conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi

(Ez

Data pubblicazione: 03/04/2014

6. Poste Italiane s.p.a. c. Rosati Giulia (r.g. 4750-11)

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processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle
risorse umane”, ex art. 8 del cali 26.11.94 come integrato dall’accordo
sindacale 25.9.97, con declaratoria del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato.
2.- Proposto appello da Poste Italiane s.p.a., la Corte d’appello
di Roma con sentenza 11.02.10 accoglieva parzialmente
l’impugnazione. La Corte di merito rilevava che — nell’ambito del
sistema dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, che aveva delegato le
oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la
contrattazione collettiva — il contratto era stato stipulato in forza
dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo
25.9.97, per fare fronte ad esigenze eccezionali connesse alla fase di
ristrutturazione dell’azienda. Considerato che la norma collettiva
consentiva l’assunzione a termine per detta causale solo fino al
30.4.98, riteneva che il termine fosse legittimamente apposto per il
contratto preso in considerazione dal primo giudice, e che, tuttavia, la
nullità sussistesse per un secondo contratto, stipulato per la stessa
causale con riferimento al periodo 22.10.98-31.01.99. La decorrenza
del rapporto di lavoro a tempo indeterminato era pertanto spostata al
22.10.98.
3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso
per cassazione, cui Rosati rispondeva con controricorso.
4.- Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha
depositato relazione, che è stata notificata ai difensori costituiti. Rosati
ha depositato memoria.
5.- I motivi della soc. Poste possono essere così riassunti:
5.1.- violazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, dell’art. 8
del ccn1 26.11.94 e dell’accordo integrativo 25.9.97, nonché degli
accordi successivi 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.88 e 18.1.01, in
connessione con l’art. 1362 c.c.; violazione dei canoni di ermeneutica
contrattuale (art. 1362 e segg. c.c.) in relazione all’interpretazione
accolta dal giudice di merito dell’art. 8 del =1 26.11.94 e dell’accordo
integrativo 25.9.97, nonché carenza di motivazione. In particolare, il
giudice di merito non avrebbe considerato che gli accordi successivi a
quello del 25.9.97 avevano valenza ricognitiva della sussistenza delle
condizioni legittimanti in fatto il ricorso al contratto a termine, senza
circoscrivere il ricorso a tale strumento solo al periodo temporale
indicato (primo motivo);
5.2.- omessa ed insufficiente motivazione in quanto il giudice di
merito non esposto in modo idoneo le ragioni che porrebbero in
rapporto il contratto collettivo 1994, l’accordo sindacale 25.9.97 ed i
successivi accordi attuativi in relazione al limite temporale cui
sarebbero subordinate le assunzioni a termine (secondo motivo);

6. Poste Italiane s.p.a. c. Rosati Giulia (r.g. 4750-11)

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5.3.- violazione degli artt. 1206 e segg., 2094, 2099 e 2697 c.c.,
ritenendo violati i principi in materia di messa in mora e corrispettività
delle prestazioni, in quanto dall’accertata nullità deriva la prosecuzione
del rapporto, mentre l’obbligo retributivo del datore decorre dalla data
di messa in mora. Nell’ambito dello stesso motivo, si sostiene che
sarebbero violati anche gli artt. 210 e 421 c.p.c., in punto di aliunde
percepturn, in quanto il giudice, pur richiestone, ha omesso di
provvedere circa l’esibizione di documentazione idonea a determinare i
corrispettivi percepiti dal lavoratore per attività eventualmente svolte
alle dipendenze di terzi.
5.4.- Poste Italiane conclude il ricorso richiamando l’art. 32 della
legge 4.11.10 n. 183, che fissa specifici criteri di risarcimento del danno
connesso alla conversione del contratto di lavoro a tempo determinato
per nullità del termine, con applicazione diretta ai giudizi pendenti alla
data di entrata in vigore.
6.- I primi due motivi sono infondati in forza della
giurisprudenza di questa Corte, la quale ritiene che l’art. 23 della 1.
28.2.87 n. 56, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità
di individuare — oltre le fattispecie tassativamente previste dall’art. 1
della 1. 18.4.62 n. 230 nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29.1.83 n. 17, conv.
dalla 1. 15.3.83 n. 79 — nuove ipotesi di apposizione di un termine alla
durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in
bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati
all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe
a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno
individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui
all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta
l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto
accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo
sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti
abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi
in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione
di fatto integrante le esigenze eccqionali menzionate dal detto accordo
integrativo.
Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale
situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad
assunzione di personale straordinario con contratto tempo e che
l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della
pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità
dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di
presupposto normativo. In altre parole, dato che le parti collettive
avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed
avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto

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un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a
termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98,
l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima
l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al
30.4.98 (v., exp/utimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
7.- La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di
merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato
dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il
diritto del soggetto si era già perfezionato. Ammesso che le parti
avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi
precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a
termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in
forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque
conforme alla regula iutis dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già
perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il
potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica
(previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la
disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).
8.- Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque
stipulati) al di fuori del limite temporale del 30.4.98 sono illegittimi in
quanto non rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito
dall’art. 23 della legge 28.2.87 n. 56 e dalla successiva legislazione
collettiva che consente la deroga alla legge n. 230 del 1962. Essendo
nella specie il contratto preso in considerazione dalla Corte d’appello
stipulato per “esigenze eccezionali ecc. …” per il periodo 22.10.9831.01.99, i due motivi debbono essere rigettati.
9.- E’ fondato il quarto motivo, trovando applicazione al caso di
specie lo ius superveniens contenuto nella legge 4.11.10 n. 183 (c.d.
collegato lavoro), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 9.11.10 n. 262
(suppl. ord. 243/L) ed in vigore dal 24.11.10. La disposizione dell’art.
32, c. 5, di detta legge, prevede che “nei casi di conversione del
contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro
al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva
nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai
criteri indicati nell’art. 8 della 1. 15.7.66 n. 604”. Il successivo c. 7
prevede che tale disposizione trova applicazione anche ai giudizi
pendenti alla data della vigore della legge. La disposizione è stata
ritenuta conforme al dettato costituzionale dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 303 del 2011.

Per questi motivi
La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo, accoglie il
quarto, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata nei limiti
dell’accoglimento e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa
composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma il 3 febbraio 2014
Il Presidente

La richiesta deve essere accolta in quanto tale disciplina,
applicabile a tutti i giudizi pendenti – anche in grado di legittimità (v.
Cass. 28.01.11 n. 2112 e 31.01.12 n. 1409) – può essere applicata nel
caso in esame, essendo questa Corte investita al riguardo da censura
attinente la quantificazione del risarcimento, che è oggetto del terzo
motivo (n. 5.3). Tale motivo non può essere ritenuto inammissibile per
genericità della formulazione, secondo quanto rilevato nella memoria
prodotta dalla Rosati ex art. 380 bis c.p.c. Esso, infatti, contesta il punto
specifico della pronunzia impugnata in cui si sostiene che le deduzioni
a proposito dell’ aliunde percepturn erano state genericamente formulate
(v. pag. 16 del ricorso) e, pertanto, a prescindere dalla fondatezza, è
idoneo a delimitare il tenore della censura.
E’, dunque, esistente la condizione che la giurisprudenza ritiene
necessaria per l’applicazione di detto art. 32, ovvero che sussista e sia
ammissibile un motivo di ricorso che investa, anche indirettamente, il
tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta (cfr. fra le altre Cass.
4.01.11 n. 80 e la già citata n. 1409 del 2012).
10.- In conclusione, rigettati i motivi primo e secondo, accolto il
quarto ed assorbito il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata,
nei limiti dell’accoglimento, con rinvio al giudice indicato in
dispositivo, che procederà alla liquidazione dell’indennità e provvederà
alle spese del giudizio di legittimità.

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