Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7785 del 20/04/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 7785 Anno 2016
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso 12442-2013 proposto da:
IMMOBILIARE PALON S.P.A. 00861350106 in persona del
legale rappresentante PIUMA LAURA ROSA, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI

5,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che la
h

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESARE
2016
180

FEDERICO GLENDI giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente contro

MARSANO GIUSEPPINA, MARSANO ANDREA, MARSANO ANDREINA,

1

Data pubblicazione: 20/04/2016

MONTELEONE FEDERICA, OLIVA CORRADO GIUSEPPE DECEDUTO
E PER ESSO I SUOI EREDI OLIVA SAULI CARLO AMBROGIO E
OLIVA SAULI MARIA GIOVANNA, OLIVA SAULI CARLO
AMBROGIO, CORRADO OLIVA ANDREA;
– intimati –

CORRADO OLIVA ANDREA CRRNDR46B220969K, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18,
presso lo STUDIO GREZ & ASSOCIATI, rappresentato e
difeso dagli avvocati VICTOR UCKMAR, FILIPPO DA
PASSANO giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente contro

MARSANO ANDREINA,

MONTELEONE FEDERICA,

MARSANO

GIUSEPPINA, MARSANO ANDREA FRANCESCO, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso
lo studio dell’avvocato FILIPPO SCIUTO, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO
GARIBALDI giusta procura speciale in calce al
controricorso;
– controrícorrentinonché contro

OLIVA SAULI MARIA GIOVANNA, OLIVA SAULI CARLO
AMBROGIO, IMMOBILIARE PALON SPA;
– intimati –

2

sul ricorso 12478-2013 proposto da:

avverso la sentenza n.

1264/2012 della CORTE

D’APPELLO di GENOVA, depositata il 12/12/2012, R.G.N.
1025/2008, 1026/2008, 1028/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/01/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO

udito l’Avvocato EMANUELE COGLITORE per delega;
udito l’Avvocato CATERINA CORRADO per delega;
udito l’Avvocato ANTONIO GARIBALDI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi;

3

DI MARZIO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il tribunale di Genova, con sentenza in data 28.3.2008, dichiarò la nullità della
compravendita immobiliare con cui Giuseppe Oliva Corrado, quale procuratore
generale di Teresa Guelfo, aveva alienato la nuda proprietà di quattro
immobili alla società Immobiliare Palon s.p.a., la cui compagine era costituita
da Giuseppe Oliva Corrado e il di lui fratello Andrea Corrado Oliva.
Per l’effetto aveva disposto la restituzione degli immobili agli eredi di Teresa

Monteleone, condannando i convenuti alle spese.
Proposero appello, con separati atti, Giuseppe Oliva Corrado e Andrea Corrado
Oliva, nonché Immobiliare Palon s.p.a.
La corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado e in
parziale accoglimento dell’appello di Andrea Corrado Oliva, condannò
Giuseppe Oliva Corrado al rimborso ad Andrea Corrado Oliva delle spese di
primo grado relative al rapporto processuale tra tali parti; in accoglimento
dell’appello incidentale di Giuseppina Marsano, Andrea Marsano, Andreina
Marsano e Federica Monteleone, dispose che la condanna al risarcimento dei
danno patrimoniali di cui al capo b) del dispositivo della sentenza di primo
grado fosse estesa in solido con i convenuti fratelli Oliva alla Immobiliare
Palo n.
Ricorrono in cassazione, con separati atti, Andrea Corrado Oliva e Immobiliare
Palon: il prima articolando sette motivi e la seconda sei.
Giuseppina Marsano, Andrea Marsano, Andreina Marsano e Federica
Monteleone propongono controricorso.
Ricorrenti e controricorrenti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Poiché gli odierni ricorrenti hanno impugnato separatamente la stessa
sentenza, i ricorsi debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.
Disposta pertanto la riunione del ricorso n. 12478/2013 al ricorso n.
12442/2013, gli stessi possono così riassumersi accorpando i motivi in essi
comuni.
2. Con il primo motivo di ricorso nell’interesse di Andrea Corrado Oliva si
censura, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. cod. proc. civ. la sentenza
impugnata per violazione degli artt. 275, secondo comma, 352, secondo
comma, e 121 cod. proc. civ, rilevando che, pur avendo detto ricorrente
richiesto nel giudizio di appello – sia in sede di precisazione delle conclusioni
che in calce alla comparsa conclusionale e alla memoria di replica – la

p3b,,

Guelfo: Giuseppina Marsano, Andrea Marsano, Andreina Marsano e Federica

discussione orale della causa, la corte territoriale, richiamando erroneamente
il disposto dell’art. 275 cod. proc. civ., relativo al procedimento in primo
grado, ha assunto la decisione senza consentire la discussione.
L’infondatezza del motivo discende dal fatto che, come sottolineato nel
controricorso, la parte interessata alla discussione orale deve reiterare detta
richiesta , ai sensi dell’art. 352, secondo comma, cod. proc. civ., al presidente
della corte alla scadenza del termine per il deposito della memoria di replica.

inutilmente rispetto all’effetto avuto di mira, la richiesta nel corpo della
memoria conclusionale senza depositare autonoma istanza al presidente della
corte.
3. Il secondo motivo di ricorso di Oliva, e il primo motivo di ricorso di
Immobiliare Palon, hanno ad oggetto, in relazione all’articolo 360, primo
comma n. 3 cod. proc. civ., violazione degli articoli 2697 cod. civ. e 184 cod.
proc. civ. Si ribadiscono le critiche, già svolte in appello, sulla mancata o
tardiva prova della qualità di eredi degli odierni controricorrenti i quali, in
assenza di tale prova, sarebbero sforniti di legittimazione ad agire.
L’infondatezza dei motivi discende dalla mancata correlazione tra rubrica e
contenuto delle doglianze. Pur affermandosi la ricorrenza di violazioni di legge,
le stesse non sono in alcun modo argomentate. Del tutto diversamente, si
sottopone alla corte di legittimità una critica circa il merito della controversia,
stigmatizzando il giudizio di fatto reso dalla corte di appello sui documenti
depositati in prova dello stato di eredi dei controricorrenti.
4. Il terzo motivo di ricorso di Oliva, e il secondo motivo di ricorso di
Immobiliare Palon, hanno ad oggetto, in relazione all’articolo 360, primo
comma n. 4 cod. proc. civ., violazione degli articoli 354, primo comma cod.
pen.c e 102 cod, proc. civ. laddove, nella sentenza impugnata, è respinta la
eccezione sulla sussistenza di un difetto di litisconsorzio necessario
determinato dalla sussistenza di eventuali eredi ulteriori a quelli coinvolti nel
presente giudizio.
L’infondatezza del motivi discende dalla giurisprudenza di questa corte
affermata nella decisione a sezioni unite 28.11.2007 n. 24657, la quale sulla
premessa che i crediti del “de cuius” non si dividono automaticamente tra i
coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della
comunione ereditaria, ha statuito che ciascuno dei partecipanti alla comunione
ereditaria può agire singolarmente per far valere l’intero credito ereditario
comune o anche la sola parte di credito proporzionale alla quota ereditaria,

L’odierno ricorrente non ha assolto a tale onere, limitandosi a reiterare,

senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri
coeredi. La partecipazione al giudizio di costoro può essere richiesta dal
convenuto debitore in relazione ad un concreto interesse all’accertamento nei
confronti di tutti della sussistenza o meno del credito (nella giurisprudenza
che è seguita cfr. Cass. 4 gennaio 2012 n. 995).
Di tal che, l’azione esperibile da taluni dei coeredi, riverberando a vantaggio
dell’intera comunione, realizza automaticamente l’interesse della stessa.

un loro concreto interesse, fondato sulla situazione sostanziale, relativo alla
estensione del contraddittorio ad eventuali coeredi non chiamati in causa (e
nemmeno identificati come tali), le censure risultano infondate.
5. Il quarto motivo di ricorso di Oliva, e il terzo motivo di ricorso di
Immobiliare Palon, riguardano, in relazione all’articolo 360, primo comma n. 4
cod. proc. civ., violazione degli articoli 521, 651, 652, 654 cod. proc. pen.,
nonché articolo 2909 cod. civ. Si lamenta che la corte territoriale abbia, in
violazione delle disposizioni citate, valutato il contenuto delle sentenze penali
emesse nei confronti dei fratelli Oliva, nessuna delle quali conclusasi con
sentenza definitiva di condanna.
In realtà, nella sentenza impugnata la corte ha svolto una articolata
ricostruzione del fatto, linearmente esposta in motivazione, dando atto della
sussistenza delle sentenze penali ma autonomamente giungendo ad un
proprio convincimento come tale insindacabile in sede di legittimità, non
essendo nemmeno stata avanzata critica alcuna sulla motivazione resa, nei
limiti ammessi dal novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. circa
l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso.
Deve solo aggiungersi che la facoltà di ricostruire il fatto penalmente rilevante
ai fini civilistici non incontra nel caso di specie nessun limite benché nel
giudizio penale, anche provvedendo all’applicazione della amnistia, sia stato
svolto, come nel caso di specie, una valutazione nel merito. Vale in tal senso il
precedente a sezioni unite del 26 gennaio 2011, n. 1768, secondo cui in tema
di giudicato, la disposizione di cui all’art. 652 cod. proc. pen., cosi come quelle
degli art. 651, 653 e 654 dello stesso codice costituisce un’eccezione al
principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è,
pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Ne
consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per
essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha
commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o

Poiché, nel caso di specie, i ricorrenti non hanno evidenziato la sussistenza di

nell’esercizio di una facoltà legittima), pronunciata in seguito a dibattimento,
ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni
ed il risarcimento del danno, mentre le sentenze di non doversi procedere
perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna
efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare
la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli
giuridicamente consegue, altresì, che, nel caso da ultimo indicato il giudice
civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve

interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione.
6. Il quinto motivo di ricorso di Oliva riguarda, in relazione all’articolo 360,
primo comma n. 3 cod. proc.civ., violazione degli articoli 643 e 110 cod. pen.
nonché, in relazione all’articolo 360, primo comma n. 4 cod. proc. civ.
violazione dell’articolo 132 cod. proc. civ. La doglianza ha ad oggetto
l’accertamento, svolto nella sentenza impugnata, sulla corresponsabilità del
ricorrente nella fattispecie di circonvenzione realizzata per cui è causa.
Anche in tal caso, non è rinvenibile correlazione tra rubrica e contenuto della
doglianza sollevata posto che parte ricorrente si limita a svolgere una critica,
peraltro non ammissibile in seguito alla novellazione dell’articolo 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ. sulla tenuta logica della motivazione resa nella
sentenza impugnata.
Anche tale doglianza risulta pertanto infondata.
7. Il sesto motivo di ricorso di Oliva, e il sesto motivo di ricorso di Immobiliare
Palon, riguardano, in relazione all’articolo 360, primo comma n. 3 cod. proc.
civ., violazione degli articoli 2947 cod. civ., nonché, in relazione all’articolo
360, primo comma n. 4 cod. proc. civ., violazione degli artt.112, 132 e 156
cod. proc. civ. , nonché, in relazione all’articolo 360, primo comma n. 5 cod.
proc, civ., omesso esame di un fatto decisivo.
I ricorrenti affermano che la motivazione sulla non maturata prescrizione delle
pretese risarcitorie avanzate nei loro confronti sia apparente, omessa, o
comunque contraddittoria.
Sul punto, deve rilevarsi l’inammissibilità di tali censure non più consentite dal
novellato disposto dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., avendo la
corte di appello preso in esame l’aspetto della prescrizione ed avendo
esaurientemente motivato sulla non intervenuta prescrizione dei diritti
svolgendo rilievi ed argomentazioni di fatto come tali non suscettibili di
sindacato ulteriore in sede di legittimità.
I ricorrenti sollevano, inoltre, plurime critiche circa l’efficacia interruttiva della

/

6

prescrizione di diversi atti, tuttavia, non rendendo il ricorso autosufficiente.
È bastevole osservare che gli atti sui quali si fonda l’argomentazione svolta
nei ricorsi non sono trascritti negli stessi né sono indicati come presenti nel
fascicolo (essendo per conseguenza omessa ogni notizia su tale eventuale
ubicazione). Secondo la consolidata giurisprudenza di questa corte, l’art. 366,
primo comma, n. 6, cod. pen.c., novellato dal d.Ig. n. 40 del 2006, oltre a
richiedere l’ indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi
collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale

sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata
all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369, comma 2, n. 4 cod.
pen.c., per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il
documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si
trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purché nel
ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il
documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi
di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è
prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se
cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi
dell’art. 369, comma 2, n. 4, cod. pen.c., per il caso in cui la controparte non
si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o
lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto
nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del
ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del
ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della
possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa
individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso.
Poiché nessuna delle condizioni ora descritte è risultata soddisfatta nel caso
di specie, deve rilevarsi il difetto di autosufficienza dei ricorsi.
Infine, deve osservarsi che, essendo i ricorrenti condebitori solidali rispetto
alla condanna al risarcimento dei danni, sono soggetti all’art. 1310 cod. civ.
sull’efficacia degli atti interruttivi della prescrizione nei confronti di uno dei
condebitori anche rispetto agli altri. Di modo che, nessun rilievo può assumere
l’eventuale omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione formulata dalla
società sussistendone, come nel caso, esauriente motivazione, sulla non
maturata prescrizione nei confronti dei condebitori fratelli Oliva.
8. Il settimo motivo di ricorso nell’interesse di Oliva è svolto in relazione
all’articolo 360, primo comma n. 4 cod proc. civ., con riferimento all’art. 132

/

.

n.4, cod. proc. civ. lamentandosi il mancato esame sul motivo di appello
concernente l’eccessività dell’ammontare del danno liquidato.
In realtà, come anche emerge dal ricorso (cfr. pag. 109 del ricorso) la corte
ha risposto all’eccezione richiamando la decisione del tribunale ed
espressamente condividendo i criteri adottati dal ctu e le conclusioni che ne
sono conseguite.
8. Vi é, infine, da dire del quarto e del quinto motivo sollevati dalla società

compravendita immobiliare e della procura rilasciata al rappresentante di
Teresa Guerfo, trattandosi di atti contrari alla norma imperativa di cui all’art.
643 cod. pen., o privi di causa,
In tal senso si lamenta ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 e 4 cod. proc.
civ., violazione dell’art. 1418 primo comma cod. civ., in combinato disposto
con l’art. 643 cod. pen., nonché degli artt.651, 652, 654 cod. proc. pen., 2697
primo comma coriciv., 132 secondo comma n. 4 e 156 secondo comma cod.
proc. civ., osservando come erroneamente i giudici di merito avrebbero
ritenuto che la violazione dell’art. 643 cod. pen. possa determinare la nullità,
anziché la mera annullabilità, del contratto che integra la condotta delittuosa.
Si considera criticamente l’opposto orientamento di questa corte e se ne
sollecita sinteticamente la revisione.
Con l’ulteriore motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 e 4
cod. proc. civ., violazione dell’art. 1418 secondo comma cod. civ., in
combinato disposto con l’art. 1325 n. 2, 1470 e 2697 primo comma cod. civ.,
nonché degli artt. 651, 652, 654 cod. proc. pen., 132 secondo comma n. 4 e
156 secondo comma, 115 cod. proc. civ., osservando che erroneamente i
giudici di merito avrebbero ritenuto la nullità del contratto di compravendita
immobiliare per mancanza di causa non risultando avvenuto il pagamento del
prezzo, attenendo tale profilo all’ambito dell’esecuzione e rilevando non in
termini di invalidità ma in termini di inadempimento.
In realtà sia la procura a vendere rilasciata dal soggetto circonvenuto sia il
contratto di compravendita, come anche presupposto nella motivazione della
sentenza impugnata, integrano la complessa fattispecie circonvenzionale
essendo il risultato di condotte fornite di rilievo penale, per come accertato
nella sentenza impugnata.
Parte ricorrente ripropone una critica a soluzioni giurisprudenziali ormai
consolidate e non di meno oggetto di diffusa critica in dottrina.
Se si analizza l’evoluzione giurisprudenziale nella soluzione dei problemi di ,/`

Immobiliare Palon con riguardo alla decisione sulla nullità dell’atto di

nullità virtuale posti dalla violazione di norme penali può infatti notarsi come
le corti nel motivare le decisioni sulla nullità virtuale in tema di violazione di
norme penali apparentemente si avvalgano sia del criterio, che potrebbe dirsi
di natura sostanziale, della verifica sul contrasto tra contratto e norma
imperativa di ordine pubblico (così interrogandosi sulla natura della norma
penale violata), sia del criterio formale che, privilegiando l’autonomia
dell’indagine sul piano civilistico, si rivolge alla verifica della rilevanza
civilistica del ‘vizio’ introdotto nel contratto dalla condotta di reato (cosicché,

se si tratta di un vizio del consenso, come nel caso della circonvenzione,
dovrebbe concludersi per la annullabilità, e non per la nullità del contratto).
Deve tuttavia osservarsi che in realtà le corti seguono sempre il criterio
sostanziale, così valorizzando il rilievo della condotta contrattuale tenuta dal
reo da un lato e dalla vittima del reato dall’altro.
a tal fine sufficiente, considerare brevemente i casi emblematici della truffa
e della circonvenzione. Si tratta di fattispecie in cui viene in questione non
semplicemente la riprovazione penale della condotta di uno soltanto dei
contraenti, ma l’abuso della libertà contrattuale compiuto da quel contraente
ai danni dell’altro.
Entrambi i delitti, di cooperazione artificiosa della vittima, possono realizzarsi
spingendo quest’ultima alla conclusione di un contratto, vantaggioso per il reo
e dannoso per l’altro contraente o per terzi. Nella truffa sta in primo piano
l’elemento del dolo, inteso non come volontà delittuosa ma, specificamente,
come comportamento ingannatore, artificioso e raggirante: la stessa condotta
che nel diritto dei contratti cagiona nell’altra parte l’errore (art. 1439 cod.
civ.). Nella circonvenzione di persone incapaci spicca l’elemento costitutivo
dell’incapacità (naturale o legale) del soggetto passivo, perciò vittima
dell’altrui condotta delittuosa di approfittamento: incapacità che nel diritto dei
contratti rileva, a volte in concorso con altri elementi, come causa di
annullabilità (artt. 428 e 1425 cod. civ.).
La giurisprudenza sostiene l’annullabilità del contratto derivato da truffa,
atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non appare diverso da quello
che vizia il consenso negoziale. Cfr., di recente, Cass. 31.3.2011, n. 7468,
secondo cui il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in
danno dell’altro non è radicalmente nullo (art. 1418 cod. civ., in correlazione
con l’art. 640 cod. pen.), ma solo annullabile ex art. 1439 cod. civ., in quanto
il dolo costitutivo del delitto di truffa non è antologicamente diverso da quello
che vizia il consenso negoziale, nemmeno dal punto di vista dell’intensità,

9

risolvendosi entrambi in artifici e raggiri adoperati dall’agente e diretti ad
indurre in errore l’altra parte e quindi a viziare il consenso allo scopo di
ottenere l’ingiusto profitto mediante il trasferimento della cosa contrattata.
Pertanto, una truffa non è causa né di nullità né, tantomeno, di inesistenza
del contratto, ma, trattandosi di un mero vizio di volontà, può portare al solo
annullamento del contratto, che resta in vita sino a che non intervenga una
sentenza costitutiva (art. 1427 cod. civ.).

giurisprudenza da un iato – applicando il metodo raccomandato dalla dottrina
prevalente – verifica ed esclude l’assimilabilità dell’incapacità di cui all’art. 643
cod. pen. a quella di cui all’art. 428 cod. civ.; dall’altro rilevando l’imperatività
della norma penale conclude per la comminatoria

di nullità (cfr. Cass.

23,4.2008, n. 27412: il giudice penale, nel condannare l’imputato alla
restituzione in favore della parte civile del bene immobile il cui trasferimento
ha costituto l’oggetto della condotta criminosa, può dichiarare la nullità del

contratto

di compravendita che lo riguarda, salvo che tale declaratoria

comprometta anche gli interessi di terzi rimasti estranei al processo. Fattispecie relativa all’acquisizione da parte dell’imputato della proprietà di un
immobile a seguito della consumazione del reato di circonvenzione di
incapace).
Queste conclusioni, conformi a quelle della dottrina prevalente con riguardo
alla truffa ma rispetto a esse assolutamente difformi con riferimento alla
circonvenzione sono sovente criticate in dottrina come contraddittorie, giacché
mentre nel primo caso le decisioni si orientano ricercando le regole civilistiche
autonomamente applicabili al contratto, invece nel secondo caso sembra che
per i giudici l’incapacità rilevi non come causa di annullabilità (secondo quanto
imporrebbero le regole civilistiche) ma come causa di nullità.
Tuttavia, applicando il criterio della verifica della natura di ordine pubblico
della norma imperativa violata, si giunge in tutti e due i casi (truffa e

circonvenzione) alla conclusione fatta propria, con motivazioni varie, dalla
giurisprudenza maggioritaria.

Il

bene protetto nel delitto di truffa è, secondo l’opinione comune, il

patrimonio. La tutela si rivolge a un interesse (del soggetto passivo alla
integrità del suo patrimonio) di portata non pubblicistica ma schiettamente
privatistica. Coerentemente, se non ricorrono circostanze aggravanti, il delitto
è perseguibile a querela (art. 640, terzo comma, cod. pen.). Alla stregua della
lettura giurisprudenziale dell’art. 1418, primo comma, cod. civ., il contratto

Diversamente, per il contratto con cui si realizza il delitto di circonvenzione, la

derivato dal delitto non offendendo l’interesse pubblico (ma è meglio dire: di
ordine pubblico) viola una norma imperativa non suscettibile di determinare
nullità, ma eventualmente una diversa conseguenza: ponendosi in evidenza
un vizio del volere (errore determinato dal dolo altrui) con l’annullabilità.
Tradizionalmente, anche nel delitto di circonvenzione si stimava che il bene
protetto fosse il patrimonio dell’incapace. Tuttavia, secondo l’opinione della
moderna giurisprudenza, qui la legge penale tutela (piuttosto che il
patrimonio) la libertà di autodeterminazione dell’incapace in ordine agli

interessi patrimoniali: l’interesse alla libertà negoziale dei soggetti deboli e
svantaggiati. La tutela si fonda pertanto su ragioni di ordine pubblico. Alla
stregua della lettura giurisprudenziale dell’art. 1418, primo comma, cod, civ.,
il contratto derivato dal delitto, offendendo l’interesse di ordine pubblico, viola
una norma imperativa da ottemperarsi a pena di nullità nullità.
La peculiarità della fattispecie penale non è nello stato di incapacità (o
deficienza) in cui versa la vittima, ma è nella induzione e nell’abuso che si
materializzano nell’approfittamento che il reo consuma ai danni della vittima
incapace; questo approfittamento si traduce in una forma particolarmente
grave di abuso contrattuale, lesiva dell’altrui libertà negoziale quale valore
fondamentale riconosciuto dall’ordinamento. Nella previsione dell’art. 428 cod.
civ. rileva, invece, la semplice malafede (v. il secondo comma): la conoscenza
dell’altrui stato di incapacità; si prende in considerazione la possibilità che ha
il contraente di formarsi una volontà propria e non, come nella legge penale,
la concreta possibilità di resistere alla volontà altrui.
Nel contratto concluso tra circonveniente e circonvenuto l’illiceità si manifesta
nella forma dell’abuso nel contratto: non come risultato concordemente
perseguito dalle parti ma come prevaricazione della parte forte ai danni della
parte debole. Non ponendosi alcun problema di affidamento dell’altro
contraente ed evidenziandosi l’esigenza di reprimerne l’abuso, anche le forme
più lievi di incapacità assumono importanza; si prescinde inoltre dalla gravità
del pregiudizio arrecato alla parte debole: è sufficiente che essa subisca
(genericamente) un danno, secondo alcuni non necessariamente di carattere
patrimoniale.
Dal che discende la fondatezza del consolidato orientamento di questa corte
sulla nullità del contratto con cui si realizza la fattispecie sanzionata dall’art.
643 cod. pen.,e dunque la correttezza della decisione impugnata sulla nullità
degli atti di autonomia privata – procura a vendere e vendita – ricostruiti
come in violazione di detta norma.

11

Ne consegue l’assorbimento dell’ulteriore motivo sollevato sulla insussistenza
della nullità del contratto di compravendita.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte, riunito il ricorso n. 12478/13 al ricorso n. 12442/13, lì rigetta.
Condanna i ricorrenti in solido a rifondere a controparte le spese del giudizio
di cassazione, che liquida in complessivi euro 13.300,00 di cui euro 200,00

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principati
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, 25 gennaio 2016.

per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

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