Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7783 del 10/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/04/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 10/04/2020), n.7783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29259-2018 proposto da:

I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati GUGLIELMO BARONE, GAETANO BARONE;

– ricorrente –

contro

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE PELLIGRA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1372/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 31/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TEDESCO

GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte d’appello di Catania riformava la sentenza del Tribunale di Ragusa, riconoscendo in favore dell’attrice B.R., soccombente in primo grado, la titolarità di una servitù di veduta esercitata dal balcone-veranda dell’appartamento di lei in Ragusa, servitù acquistata per destinazione del padre di famiglia; conseguentemente condannava il convenuto I.G. a rimuovere la copertura di una propria veranda dell’appartamento al piano terra, in quanto posta a distanza inferiore a quella stabilita dall’art. 907 rispetto alla veduta esercitata dal balcone dell’appartamento dell’attrice al primo piano.

La corte osservava che i due appartamenti, prima di essere trasferiti all’attrice e al convenuto dai rispettivi danti causa, erano appartenuti al costruttore Maredil, che li aveva edificati su terreno acquistato in forza di permuta intervenuta con M.M. e M.S., i quali, in corrispettivo, avevano avuto la proprietà di due appartamenti, l’uno sovrastante all’altro, esattamente identificati fra quelli che la società avrebbe costruito sul terreno.

Gli appartamenti vennero ad esistenza e furono poi separatamente trasferiti da M.M. all’attuale ricorrente I.G. quello al pian terreno e da M.R. alla B. l’appartamento sovrastante.

Secondo la Corte l’acquisto della proprietà dei due appartamenti in base al contratto di permuta era avvenuto in momento successivo a quelli in cui la Maredil ne aveva a sua volta acquistato la proprietà per effetto della edificazione.

Ciò posto la torte riconosceva l’esistenza dei presupposti per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, avendo la Maredil edificato le unità immobiliari del complesso residenziale mediante la costruzione di verande e balconi, idoneia costituire la servitù apparente di veduta a favore dell’appartamento al primo piano e carico dell’appartamento al pian terreno.

In riferimento a tale servitù ne accertava la lesione ad opera della innovazione realizzata dal convenuto, essendo risultata infondato l’assunto che la copertura era stata realizzata dal costruttore contestualmente alla costruzione dell’immobile.

Per la cassazione della sentenza I.G. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.

B.R. ha resistito con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso dovesse essere rigettato, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Le parti hanno depositato memorie.

2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 952 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo.

Si sostiene che la corte non ha esaminato la clausola dell’originario contratto di permuta, intercorso fra i rispettivi aventi causa e la società costruttrice Maredil, con la quale i proprietari del terreno si riservarono espressamente il diritto di superficie sul suolo destinato alla realizzazione dei due appartamento loro destinati.

Con riferimento a tale clausola si sostiene che la corte di merito avrebbe dovuto fare applicazione del principio di giurisprudenza secondo cui, in presenza della riserva, non si realizza la fattispecie della vendita di cosa futura, essendo l’acquisto del diritto di superficie immediato. Consegue, secondo questa impostazione, che i due appartamenti furono acquistati per accessione dai venditori man mano che il compratore li costruiva e la iMeredil non ne divenne mai proprietaria, venendo quindi a mancare il presupposto essenziale per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, costituito dalla originaria unica appartenenza dei fondi.

Il secondo motivo ripropone la medesima questione sotto diverso profilo.

Il motivo richiama i principi di giurisprudenza secondo cui “Il contratto di vendita di terreno edificabile con riserva, da parte dell’alienante di area superficiaria in corrispondenza di fabbrica che l’acquirente si obblighi a realizzare, racchiude normalmente due distinti negozi (vendita e costituzione del diritto di superficie) e può essere qualificato permuta di cosa presente con cosa futura solo allorquando l’obbligazione dell’acquirente di fare la costruzione si presenti come meramente strumentale e preparatoria allo scambio reciproco” (Cass. n. 14779/2011).

Ora, anche a voler ritenere che la corte abbia considerato il contratto nel suo complesso e l’abbia interpretato e qualificato come permuta, la sentenza sarebbe ugualmente censurabile, poichè la relativa interpretazione non è sorretta da alcuna motivazione.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1062,1472,1552 c.c..

Il ricorrente richiama il principio secondo cui “in ipotesi di permuta di cosa presente con cosa futura, nel contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un’area fabbricabile in cambio di parti dell’edificio da costruire, in tutto o in parte, sulla stessa superficie, a cura e con i mezzi del cessionario, l’effetto traslativo si verifica ex art. 1472 c.c. non appena la cosa viene ad esistenza, momento che si identifica, quando la cosa futura consista in una porzione dell’edificio che il permutante costruttore si è impegnato a realizzare, nella conclusione del processo edificatorio nelle sue componenti essenziali, ossia nella realizzazione delle strutture fondamentali, senza che abbiano rilevanza le rifiniture o gli accessori, così come conforta la lettera dell’art. 2645-bis c.c., u.c.” (Cass. n. 24172/2013).

Secondo il ricorrente, la corretta applicazione di tale principio avrebbe dovuto indurre la corte a riconoscere che, quando si verificò l’effetto traslativo con la venuta ad esistenza dei beni nelle loro strutture fondamentali, non sussistevano ancora i presupposti della servitù, che implicavano la pregressa realizzazione di una terrazza praticabile, accessibile e munita di idoneo parapetto, tale da consentire l’esercizio della veduta.

La corte di merito, in assenza di qualsiasi prova su quale fosse lo stato della costruzione quando i fondi cessarono di appartenere alla Maredil, ha ugualmente risolto in senso positivo la questione della costituzione della servitù, nonostante costituisca fatto di comune esperienza che la realizzazione di un solaio di copertura a rustico si può trasformare in servitù di veduta solo dopo che esso venga reso accessibile e munito di parapetto che consenta la comoda e sicura proipectio sul fondo altrui.

3. In primo luogo occorre dare atto della procedibilità del ricorso, tempestivamente depositato nel termine prescritto dall’art. 369 c.p.c..

I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, propongono una questione di cui non c’è traccia nella sentenza impugnata e della quale nel controricorso si eccepisce la novità (nello stesso senso la proposta del relatore). Nella sentenza impugnata, infatti, non si accenna minimamente all’esistenza della clausola del contratto con la quale i venditori, nel cedere la proprietà dell’intera superficie, si erano riservati il diritto di superficie sul suolo destinato alla realizzazione dei due appartamenti. Del resto il ricorrente, nell’illustrare la censura, non precisa se in che termini la esistenza della clausola, idonea in ipotesi a giustificare la diversa qualificazione del contratto, fu sottoposta all’esame della corte (Cass. n. 20694/2018; n. 15430/2018).

Nella memoria il ricorrente obietta che l’esistenza della clausola era compresa nel thema decidendum: il giudice di primo grado aveva escluso l’esistenza dei requisiti della costituzione della servitù per destinazione proprio in considerazione della separata costituzione del diritto di superficie con la permuta del 24 maggio 1996.

Fatto è, però, che l’esame della sentenza di primo grado smentisce tale assunto. Il giudice di primo grado aveva escluso la costituzione della servitù per destinazione in base al rilievo che i danti causa delle parti erano soggetti diversi, riferendosi naturalmente ai danti (i 23 i immediati, mentre nella ricostruzione della corte d’appello il requisito dell’unicità dell’appartenenza è riferito al soggetto da cui i danti causa immediati avevano a loro volta acquistato (e cioè al costruttore Maredil); in base a tale ricostruzione della corte è quindi avvenuto che i danti causa immediati delle parti in causa si sono ritrovati nella posizione, rispettivamente, del proprietario del fondo servente e del fondo dominante. Nella stessa posizione si sono ritrovati i rispettivi acquirenti, in conseguenza del principio di inerenza. Si ricorda che la servitù è inerente al fondo sia dominante che servente e lo accompagna in tutte le sue vicende giuridiche e di fatto.

I motivi in esame, pertanto, sono inammissibili, in applicazione del principio che “il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicchè sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità” (Cass. n. 15196/2018).

Il terzo motivo è infondato.

La corte ha accertato che la venditrice Maredil aveva realizzato tutte le unità immobiliari mediante la costruzione di balconi e verande, idonee a costituire servitù apparente di veduta a carico degli appartamenti al pian terreno e a vantaggio di quelli al primo piano.

Nel ricorso si assume che la valutazione della corte non poggia su una ricostruzione dei fatti idonea a giustificare siffatta conclusione. Si sostiene che occorreva al riguardo che fosse considerata la situazione dell’edificio al momento del completamento a rustico, posto che tale momento è quello che segna il verificarsi dell’effetto traslativo in favore dell’acquirente. Già in quel momento, pertanto, dovevano esistere opere tali da consentire l’esercizio della veduta.

In questi termini la censura prelude a una ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta propria dalla sentenza: ciò in cassazione non è consentito.

E’ in ogni caso infondata in diritto la tesi che ispira la stessa censura, e cioè che i presupposti della costituzione della servitù per destinazione esigerebbero la presenza di opere in tutto rifinite.

A termini dell’art. 1062 c.c. una servitù può essere acquistata per destinazione del padre di famiglia quando vi siano segni concretantisi in opere – artificiali o naturali – di natura permanente, obiettivamente destinate all’esercizio di essa e che rivelino, in maniera non equivoca, l’esistenza del peso gravante sul fondo servente (Cass. n. 1510/1980).

In altre parole è richiesta la esistenza dell’opera, non l’esercizio in atto dello stato di servizio. Non è pertanto necessaria la presenza di opere in tutto rifinite (Cass. n. 3751/1975).

Sulla scia di tali insegnamenti è stato chiarito che l’esistenza di aperture nel muro, sebbene prive della intelaiatura, ma che rivelino, in modo palese, la specifica e normale funzione di consentire l’esercizio della veduta sul fondo del vicino deve considerarsi sufficiente a creare de facto quella situazione che occorre per dar vita alla costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia e ciò in quanto a tale fine non occorre che la situazione oggettiva di subordinazione o di servizio tra i due fondi derivi da opere complete e munite di tutti gli attributi ad esse inerenti, essendo, invece, sufficiente che esistano segni visibili, precisi ed inconfondibili, che valgano a rilevare, obiettivamente ed in modo non equivoco, la destinazione dell’opera all’esercizio della servitù (Cass. n. 2213/1964).

Tali principi sono perfettamente applicabili nel caso in esame e fanno giustizia della pretesa del ricorrente, che vorrebbe, contro la lettera della norma, includere nei presupposti della fattispecie dell’art. 1062 c.c. l’esercizio di fatto dello stato di servizio già al momento della separazione, mentre la norma si accontenta della esistenza dello “stato dal quale risulta la servitù”. Deve pertanto riconoscersi la possibilità della costituzione ai sensi dell’art. 1062 c.c. cit. di una servitù di veduta da una terrazza sebbene l’opera, al momento della separazione, sia in tale stato da non potersi utilizzare. Il fatto che la corte non abbia accertato “la necessaria e indispensabile presenza di una terrazza o di balcone, praticabili, accessibili e muniti di idoneo parapetto” non evidenzia perciò alcuna lacuna nella ricostruzione giuridica fatta propria dalla corte.

Per completezza di esame si osserva che la corte di merito ha escluso che la tettoia attualmente presente nell’appartamento del convenuto fosse stata realizzata dallo stesso costruttore.

In conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato, con addebito di spese, comprensive delle spese del sub procedimento ex art. 373 c.p.c. svoltosi dinanzi alla Corte d’appello di Catania (Cass. n. 26966/2018) e concluso con ordinanza con la quale l’istanza di sospensione è stata rigettata, richieste con dalla controricorrente con la memoria, le une e la altre da distrarsi in favore del difensore della resistente, che ne ha fatto richiesta.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

riletta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi (compresi quelli del sub procedimento ex art. 373 c.p.c.), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ordina la distrazione delle spese in favore del difensore della controricorrente avv. Giuseppe Pelligra; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 31 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 10 aprile 2020

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