Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7781 del 10/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/04/2020, (ud. 24/09/2019, dep. 10/04/2020), n.7781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9462-2018 proposto da:

M.A.M., nella qualità di titolare della Ditta

Individuale M. IMMOBILIARE, elettivamente domiciliato in ROMA,

VICOLO ORBITELLI 31, presso lo studio dell’avvocato MARIA ELENA

RIBALDONE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PILADE LANERO;

– ricorrente –

contro

V.F., M.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE LIEGI 7, presso lo studio dell’avvocato MARINA CARDONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI SCARPA;

– controricorrenti –

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIEMONTE 39,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GRIECO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1394/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 06/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO

COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. M.A.M., in qualità di titolare della ditta individuale M. Immobiliare, ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Genova, confermando integralmente la decisione del tribunale della stessa città, ha rigettato la domanda di pagamento della provvigione dal medesimo avanzata in relazione all’incarico conferitogli dai sigg.ri M.S. e V.F. per la vendita di un appartamento di loro proprietà.

La corte territoriale, disattendendo la tesi dell’odierno ricorrente, ha escluso che fosse sorto il diritto dell’agente alla provvigione, ritenendo che la proposta irrevocabile di acquisto formulata dall’acquirente reperito dal sig. M. – il prof. F.A. – non integrasse quella “conclusione dell’affare” cui l’art. 1755 c.c. ricollega la nascita del diritto del mediatore alla provvigione.

Al riguardo, nell’impugnata sentenza si sottolinea che le parti non avevano sottoscritto alcun contratto preliminare di compravendita.

Per quanto in particolare concerne la proposta di acquisto del prof. F. del 9.11.2007, accettata dai coniugi M. e V., la corte distrettuale ha escluso espressamente la possibilità di qualificarla come contratto preliminare, argomentando che tale atto aveva l’unico scopo di fissare gli accordi di massima già raggiunti, nella prospettiva della sottoscrizione di un contratto preliminare in un momento successivo.

La corte ligure, in particolare, ha escluso che tra le parti sia sorto un impegno giuridicamente vincolante sulla base delle seguenti argomentazioni:

– i proprietari dell’immobile avevano accompagnato la restituzione della proposta del 9/11/2007 con fax in cui chiedevano al proponente un incontro al fine di “addivenire ad un accordo tra loro leggermente più gradito”;

– tra le parti era intercorsa una copiosa corrispondenza dalla quale poteva desumersi che queste non avevano “trovato un accordo sulla conclusione dell’affare”;

– le parti avevano fissato una data proprio per la stipula del contratto preliminare.

La negazione del diritto del ricorrente alla provvigione viene poi supportata dalla corte d’appello sul rilievo che nell’atto di conferimento dell’incarico era contenuta una clausola che collegava espressamente tale diritto alla stipula del contratto preliminare (“tale somma vi sarà integralmente pagata contestualmente alla sottoscrizione del contratto preliminare”). I due motivi di ricorso, rispettivamente riferiti all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sono sviluppati in un tessuto argomentativo unitario, così da risultare, in sostanza, un unico motivo, promiscuamente riferito tanto al vizio di violazione di legge (in relazione agli artt. 1754 – 1755 c.c. e 1326 c.c. e 1362 e segg. c.c.) quanto al vizio di omesso esame di fatto decisivo che abbia formato oggetto di discussione tra le parti.

In sostanza il ricorrente – premesso che la proposta formulata dal prof. F. conteneva tutti gli elementi essenziali, e quasi tutti gli elementi accessori, del futuro negozio giuridico traslativo – sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nel qualificare la stessa come una minuta o accordo di massima costituendo essa, per contro, un accordo già vincolante fra le parti stipulanti, secondo lo schema proposta-accettazione.

Quanto alla clausola con la quale si prevede la contestualità tra versamento della provvigione e sottoscrizione del preliminare, il ricorrente argomenta che, alla stregua dei canoni ermeneutici di buona fede nell’esecuzione del contratto e di conservazione degli effetti del negozio giuridico, il riferimento ivi contenuto alla “sottoscrizione del contratto preliminare” andrebbe inteso come genericamente riferito alla “conclusione dell’affare”, perfezionatasi, nella specie, con l’accettazione da parte dei convenuti della proposta di acquisto del prof. F..

I coniugi M. e V. hanno presentato controricorso. Parimenti, si è costituito in giudizio e ha depositato controricorso il prof. F. (presente in causa fin dal primo grado, per esservi stato chiamato in maniera dai convenuti). La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 24 settembre 2019, per la quale il sig. M. ha presentato una memoria.

Il ricorso non può trovare accoglimento.

I due motivi in cui esso si articola si risolvono, in sostanza, in una critica di merito all’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dalla Corte territoriale, con particolare riguardo all’interpretazione della proposta di acquisto del prof. F. del 9.11.2007 e dell’atto di conferimento dell’incarico all’agenzia immobiliare del ricorrente.

L’ermeneusi negoziale della corte territoriale, tuttavia, non è stata censurata adeguatamente.

Va qui ribadito, infatti, che il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/15).

Nella specie, quanto alla proposta del 9.11.2007, il ricorrente non ha chiarito perchè la corte territoriale avrebbe violato le regole legali di ermeneutica negoziale valorizzando l’affermazione – svolta nel fax di accompagnamento della restituzione della proposta accettata – con cui i sigg.ri M. e V. dichiaravano di confidare nella “possibilità di addivenire insieme ad un accordo tra loro leggermente più gradito”.

Quanto all’atto di conferimento dell’incarico, deve giudicarsi del tutto apodittica l’affermazione che si legge alla pag. 17 del ricorso, secondo cui l’applicazione dei criteri ermeneutici della buona fede e della conservazione degli effetti del negozio avrebbe dovuto indurre la corte territoriale ad attribuire alla clausola che ancorava il pagamento della provvigione alla sottoscrizione del contratto preliminare il significato, palesemente disallineato rispetto al tenore letterale della clausola stessa, secondo cui il diritto del sig. M. alla provvigione sarebbe sorto anche in mancanza della stipula del preliminare.

L’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non risulta poi sviluppata con l’indicazione di alcuno specifico fatto, decisivo e controverso, di cui la corte territoriale avrebbe omesso l’esame.

Va da ultimo precisato che l’orientamento giurisprudenziale richiamato dal ricorrente, che collega alla conclusione di un contratto preliminare di preliminare l’insorgenza del diritto del mediatore alla provvigione (Cass. n. 24397/15, Cass. n. 923/17) è stato superato dalla più recedente giurisprudenza di questa Corte.

In particolare, con la sentenza n. 30083/19, la Seconda Sezione civile ha avuto modo di chiarire che, poichè il diritto del mediatore alla provvigione deriva dalla conclusione dell’affare, ai fini della relativa insorgenza non è sufficiente un accordo preparatorio, destinato a regolamentare il successivo svolgimento del procedimento formativo del programmato contratto definitivo. In detta sentenza è stato quindi enunciato il seguente principio di diritto, al quale il Collegio ritiene doversi dare conferma e seguito: “Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Va invece escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. “preliminare di preliminare”, costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento che, pur essendo di per sè stesso valido ed efficace e non nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4628 del 06/03/2015), non legittima tuttavia la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio”.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000, oltre Euro 200 per esborsi e accessori di legge, tanto per i coniugi M. V. quanto per il prof. F..

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2020

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