Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7780 del 27/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/03/2017, (ud. 06/12/2016, dep.27/03/2017),  n. 7780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21292-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

FIORILLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A., C.F. (OMISSIS);

– Intimata –

Nonchè da:

C.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 4785/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/09/2010 R.G.N. 6116/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega orale Avvocato

FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

Con sentenza 17 settembre 2010, la Corte d’appello di Roma dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato stipulato da Poste Italiane s.p.a. con C.A. con decorrenza dal 3 giugno 2004 (e fino al 30 settembre 2004) e la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, condannando la società datrice al pagamento, in favore della lavoratrice a titolo risarcitorio, di un importo pari alle retribuzioni maturate dal 3 aprile 2005, data di costituzione in mora, nei limiti del triennio dalla cessazione del rapporto: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande di C.A.. A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva, in applicazione ratione temporis del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, la nullità del termine apposto al contratto di lavoro, in quanto stipulato per “ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’Area operativa e addetto al servizio recapito presso la Filiale di (OMISSIS) assente nel periodo dall'(OMISSIS)”: in difetto di allegazione e prova (offerta solo genericamente e quindi inammissibilmente) del numero dei lavoratori assenti e della ragione della loro assenza e pertanto di specificità della causale.

Dall’accertata nullità essa derivava la conversione del rapporto da tempo determinato a indeterminato e la spettanza alla lavoratrice, a titolo risarcitorio in mancanza di prestazione lavorativa, delle retribuzioni maturate nei tre anni immediatamente successivi alla cessazione del rapporto, tenuto conto della rilevanza delle conseguenze immediatamente e direttamente riconducibili alla società datrice, secondo un criterio di prevedibilità e tenuto conto della mancata prova di una fattiva cooperazione della parte creditrice nella ricerca di una nuova occupazione: con decorrenza dall’offerta della prestazione, individuabile nella richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., ricevuta dalla società datrice il 3 aprile 2005.

Con atto notificato il 2 settembre 2011, Poste Italiane s.p.a. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste Annarita C. con controricorso, contenente ricorso incidentale articolato su otto motivi e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, art. 1362 c.c. e ss., nonchè contraddittoria e omessa pronuncia su punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per erronea pretesa di specificazione delle ragioni, insindacabili nel merito, di assenza dei lavoratori da sostituire, nella sufficienza dell’enunciazione delle ragioni con elementi ulteriori idonei, diversi dalla indicazione nominativa dei lavoratori da sostituire (inesigibile da Poste Italiane, per l’entità e la complessità della sua organizzazione su tutto il territorio nazionale): nel caso di specie consistenti nell’assenza del personale, nelle mansioni assegnate al lavoratore, nella durata del contratto, nel luogo di impiego.

Con il secondo, la ricorrente deduce omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine al fatto controverso e decisivo della prova del nesso causale tra l’assunzione della lavoratrice per effettiva sostituzione di personale assente per ferie. Con il terzo, la ricorrente deduce insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia e violazione e falsa applicazione degli artt. 12 preleggi, art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3, per erronea condanna alla riassunzione della lavoratrice a termine in difetto di previsione di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, esistente soltanto per la prosecuzione del rapporto oltre il termine di legge o la sua riassunzione entro termine più breve di quello stabilito per legge (D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, commi 2 e 3): conseguenza invece non applicabile nel caso nullità del termine, per la nullità dell’intero contratto, che diversamente non sarebbe stato sottoscritto dalle parti per l’essenzialità dell’apposizione del termine.

Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 1453, 1460, 2094, 2099 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per inesistenza di un obbligo retributivo, erroneamente ritenuto, a carico datoriale dalla data di messa in mora, in difetto di prestazione lavorativa, per la natura sinallagmatica del rapporto e di esclusione di un diritto risarcitorio della lavoratrice, in assenza di prova di carenza di altri rapporti lavorativi.

Infine, la ricorrente deduce l’applicazione della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5 di condanna del datori di lavoro, in caso di conversione del rapporto, ad un’indennità omnicomprensiva tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, secondo i criteri previsti dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 quale ius superveniens applicabile a tutti i giudizi in corso, ai sensi dell’art. 32, comma 7 L. cit.

Con il primo motivo, a propria volta la lavoratrice deduce, in via di ricorso incidentale, motivazione insufficiente e contraddittoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla limitazione del risarcimento del danno al triennio successivo alla cessazione di fatto del rapporto.

Con il secondo, ella deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erroneo ricorso al criterio equitativo nella liquidazione del danno.

Con il terzo, ella deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erroneo ricorso al criterio presuntivo (di reperimento di nuova occupazione in un triennio) nella liquidazione del danno, ad essa limitata.

Con il quarto, ella deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1225 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erroneo ricorso al criterio di prevedibilità nella liquidazione del danno.

Con il quinto, ella deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inesistenza di un fatto proprio colposo nella determinazione del danno.

Con il sesto, ella deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inesistenza di un onere probatorio a proprio carico di cooperazione alla limitazione del danno.

Con il settimo, ella deduce nullità parziale della sentenza per violazione dell’art. 432 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nell’assenza di presupposti per una pronuncia in via equitativa sulla liquidazione del danno, di entità ben accertabile. Con l’ottavo, ella deduce nullità parziale della sentenza per violazione dell’art. 114 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per erronea decisione in via di equità in assenza di controversia su diritti disponibili e di richiesta concorde delle parti.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, artt. 1362 c.c. e ss., nonchè contraddittoria e omessa pronuncia su punto decisivo della controversia, è fondato.

Ed infatti, secondo indirizzo assolutamente consolidato di questa Corte, cui si intende dare continuità, in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (Cass. 1 agosto 2016, n. 15983; Cass. 10 maggio 2016, n. 9483; Cass. 25 gennaio 2016, n. 1246; Cass. 7 gennaio 2016, n. 113; Cass. 26 novembre 2015, n. 24196; Cass. 12 gennaio 2015, n. 208; Cass. 26 gennaio 2010, n. 1577).

E tali elementi nel caso di specie la Corte territoriale non ha adeguatamente valutato, in favore di una incongrua valorizzazione della mancata specificazione del numero dei lavoratori assenti e della ragione della loro assenza (ai primi due capoversi di pg. 7 della sentenza).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’accoglimento del mezzo, con assorbimento di tutti gli altri e del ricorso incidentale: ciò che comporta la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

PQM

LA CORTE

accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbiti gli altri e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2017

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