Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7779 del 10/04/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/04/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 10/04/2020), n.7779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8804-2018 proposto da:

C.L.I.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PONTEFICI 3, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE BIA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.R.C.F., V.M.,

V.M.G., V.G., nella qualità di eredi del sig.

V.M.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI

82, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONELLA IANNOTTA,

ELISABETTA MARIA CATERINA CONSOLE;

– controricorrenti –

e contro

P.A.M., G.M.C., G.L.M.,

G.R.G., G.G., G.M.M.,

D.G.G., P.V.M., B.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1511/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 09/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’1 1/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott.

COSENTINO ANTONELLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La sig.ra C.L. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 1511/17 della corte di appello di Bari che ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione per errore di fatto dalla stessa proposto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 avverso la sentenza n. 1773/14 pronunciata della stessa corte d’appello in sede di rinvio dalla Cassazione.

La sentenza n. 1773/14 aveva, tra l’altro, rigettato la domanda della signora C. tendente ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto preliminare del 15/11/84 con cui P.P. (dante causa della signora C.) aveva promesso a V.M.S. (dante causa di D.R.C.F. e di V.M.G., V.G. e V.M., convenuti con il ricorso per revocazione) la vendita di un immobile, da pagarsi parte in denaro e parte mediante compensazione integrale dei crediti vantati dal V. nei confronti del P.. La domanda di nullità della signora C. si fondava sull’assunto che l’impugnato contratto preliminare fosse in contrasto con norme imperative e, in particolare con il disposto della L. Fall., art. 233 in quanto preordinato a procurare il voto favorevole del V. al concordato preventivo chiesto dal P.. La sentenza n. 1773/14 aveva ritenuto insussistente la dedotta nullità del contratto preliminare del 15/11/84, escludendo che il promissario acquirente V. si fosse obbligato a dare un determinato voto ai fini dell’approvazione del concordato preventivo del P. in cambio di un corrispettivo particolare; in proposito, nella sentenza n. 1773/14 si leggeva che “il creditore, anche attraverso la cessione di crediti altrui, ha corrisposto una somma rilevante di denaro servita al debitore per soddisfare gli altri creditori” (pag. 2 della sentenza qui impugnata per cassazione, n. 1511/17).

Il ricorso per revocazione di C.L. ascriveva alla corte d’appello l’errore consistente nell’aver supposto il fatto pacificamente insussistente – che il creditore V. avesse corrisposto al debitore P. denaro impiegato per soddisfare altri creditori.

La sentenza n. 1511/17 ha giudicato inammissibile il ricorso per revocazione sul rilievo che la sentenza n. 1773/14 aveva “preso specifica posizione” sulla circostanza che il V. aveva versato denaro al P. per soddisfare gli altri creditori, cosicchè argomenta la corte barese – difetterebbe il requisito dell’errore revocatorio consistente, a mente dell’art. 395 n. 4 c.p.c., nel cadere su un fatto che non “costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

Il ricorso per cassazione proposto dalla signora C. avverso la sentenza n. 1511/17 si articola in tre motivi.

Con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, si denuncia la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto della motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4. La ricorrente lamenta che nella sentenza impugnata non risulterebbero in alcun modo illustrate le ragioni in forza delle quali la corte territoriale ha ritenuto che la sentenza n. 1773/14 avesse preso posizione sulla circostanza del versamento di denaro dal V. al P..

Con il secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, si denuncia la completa assenza dell’esplicitazione del procedimento logico, ovvero delle promesse giuridico-fattuali a partire dalle quali la corte territoriale è giunta alla conclusione per cui “la sentenza impugnata prese specifica posizione sul fatto in esame e sul correlato profilo di nullità” (pag. 19, rigo 7, del ricorso).

Con il terzo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si lamenta la violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e si qualifica la motivazione dell’impugnata sentenza come perplessa e obiettivamente incomprensibile. La ricorrente deduce che il fatto che il V. avesse versato denaro al P. per soddisfare gli altri creditori di costui “non aveva costituito oggetto di alcun dibattito tra le parti in quanto non allegato da nessuna delle parti, men che meno dalla difesa del V.” (pag. 23, penultimo capoverso, del ricorso). Secondo la ricorrente, inoltre, la sentenza qui impugnata desterebbe “perplessità nella parte in cui afferma in maniera apodittica che la sentenza resa nel giudizio di rinvio prese “specifica posizione sul fatto in esame e sul correlato profilo della nullità”” (pag. 23, ultimo capoverso, del ricorso).

Gli intimati D.R.C.F., V.M.G., V.G. e V.M. hanno resistito controricorso; gli altri intimati nominati in epigrafe non hanno spiegato attività difensiva in questa sede.

La causa è stata discussa nell’adunanza di camera di consiglio del 11.7.19, per la quale tanto i ricorrenti quanto i contro ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Il primo ed il secondo motivo vanno trattati congiuntamente, perchè presentano, sotto le diverse prospettive dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, la medesima doglianza di inesistenza, o apparenza, o inadeguatezza rispetto al “minimo costituzionale”, della motivazione.

Essi sono infondati. La motivazione della sentenza impugnata, seppur sintetica, è idonea ad individuare la ratio decidendi, che consiste nell’affermazione che l’errore denunciato dalla sig.ra C. non aveva natura revocatoria, in quanto incideva su un punto controverso – l’avere il V. versato somme di denaro a P.P. – su cui la sentenza n. 1773/14 conteneva una specifica presa di posizione.

Nella memoria illustrativa depositata in prossimità

dell’adunanza la ricorrente – manifestando il proprio dissenso rispetto alla proposta di manifesta infondatezza del ricorso formulata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, – torna a criticare l’affermazione della sentenza gravata secondo cui il fatto del versamento di una somma di denaro dal V. al P. costituiva punto controverso sul quale la sentenza n. 1773/14 si era pronunciata; in detta memoria si afferma che sarebbe stato onere della corte territoriale offrire una qualche “indicazione in ordine i riferimenti, ritraibili dell’incarto processuale, donde evincere come l’esame del fatto, la cui erronea supposizione concretava il denunciato errore revocatorio, avesse costituito oggetto di dibattito nel corso del processo” (pag. 6, ultimo capoverso).

Il rilievo non può essere condiviso. Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa corte nella sentenza n. 8053/14 l’anomalia della motivazione che impone di giudicare la stessa al di sotto del “minimo costituzionale” si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. La corte barese ha enunciato la ragione per cui ha ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione della sig.ra C., indicandola nella considerazione che l’errore denunciato come revocatorio non presentava tutte le caratteristiche normativamente fissate dall’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto cadeva su un punto controverso su cui la sentenza impugnata per revocazione si era pronunciata. Tale motivazione dà conto del ragionamento seguito dalla corte territoriale per giungere alla propria decisione e, pertanto, non può considerarsi nè apparente o inesistente, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nè al di sotto del “minimo costituzionale”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 Donde l’infondatezza dei primi due mezzi di ricorso.

Parimenti infondato va giudicato il terzo motivo di ricorso. Quanto alla denuncia di violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, riferita al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, è sufficiente considerare che l’impugnata statuizione, avendo accertato che la sentenza 1773/14 “aveva preso specifica posizione” sulla circostanza del versamento di denaro dal V. al P. e “sul correlato profilo di nullità” (per violazione del disposto dell’art. 233 L. Fall.), ha correttamente tratto dal fatto processuale accertato (l’intervenuta “presa di posizione” della sentenza 1773/14 sulla suddetta circostanza) la conseguenza dell’inammissibilità del ricorso per revocazione; tale statuizione risulta infatti allineata al principio che, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; con la conseguenza che non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (così Cass. 9527/19).

Quanto alla denuncia di perplessità e apoditticità della motivazione della sentenza impugnata, riferita al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, devono qui ribadirsi le considerazioni già sopra svolte in ordine al rispetto, da parte dell’impugnata sentenza, del “minimo costituzionale” della motivazione.

Quanto, infine, alla considerazione svolta a pag. 7 della memoria illustrativa della ricorrente, alla cui stregua “l’errore revocatorio denunciato dalla deducente non si fonda sulla “portata”, ovverosia sull'”interpretazione” della scrittura 15/11/84, bensì su un fatto oggettivamente emergente dalla medesima scrittura, vale dire la mancata dazione di denaro da V. a P.”, il Collegio osserva che l’affermazione della sentenza n. 1773/14 su cui si poggia la decisione della sentenza n. 1511/17 è che “nel caso di specie il creditore, anche attraverso la cessione di crediti altrui, ha corrisposto una somma rilevante di denaro” La sentenza n. 1773/14 ha cioè escluso la ricorrenza del delitto di cui all’art. 233 L. Fall. equiparando la cessione di crediti altrui (“anche attraverso la cessione di crediti altrui”) alla corresponsione di una somma di denaro e quindi, in definitiva, operando una valutazione degli accordi conclusi tra V. ed il P. con la scrittura 15/11/84; il che impedisce di collocare l’errore (eventualmente) commesso in tale valutazione nell’area dell’errore revocatorio.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.000, oltre Euro 200 per esborsi e altri accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 10 aprile 2020

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