Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7776 del 03/04/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 7776 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA
sul ricorso 28388-2010 proposto da:
LUBRANO DI RICCO LUCA LBRLCU60P30F839P, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo
studio dell’avvocato ANTONUCCI ARTURO,
rappresenta

e

difende

che lo

all’avvocato

unitamente

VASSALLE ROBERTO giusta delega a margine;
– ricorrente –

2014
357

contro

MONTE PASCHI SIENA SPA 00884060526, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DI SAN VALENTINO 21, presso

1

Data pubblicazione: 03/04/2014

lo studio dell’avvocato CARBONETTI FRANCESCO, che la
rappresenta e difende giusta delega a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 920/2010 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 04/11/2010 R.G.N. 1499/06;

udienza del 11/02/2014 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato ARTURO ANTONUCCI;
udito l’Avvocato FABRIZIO CARBONETTI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
il rinvio pregiudiziale alla C.G.U.E. e in subordine
l’accoglimento del l ° motivo, assorbiti gli altri.

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

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Udienza del 11 febbraio 2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2000 il sig. Luca Lubrano di Ricco accettò nel proprio studio privato
una proposta contrattuale sottopostagli da un funzionario della Banca Monte
dei Paschi di Siena s.p.a. (d’ora innanzi, per brevità, “MPS”).

operazione finanziaria, denominata “Visione Europa”, costituita dalla
giustapposizione di tre diverse operazioni:
(a)

la formale concessione da parte della banca di un finanziamento al

cliente, per l’importo di £ 100.000.000;
(b) il contestuale acquisto da parte della MPS e per conto del cliente, con
parte della provvista derivante da tale finanziamento, di titoli obbligazionari
c.d. zero coupon (ovvero titoli il cui rendimento è pari alla differenza tra la
somma che il sottoscrittore riceve alla scadenza e la somma che versa al
momento della sottoscrizione) emessi dalla MPS e non quotati;
(c) il contestuale acquisto, con la parte restante della provvista derivante
dal finanziamento, sempre da parte della MPS e per conto del cliente, di
quote di un fondo d’investimento a carattere azionario denominato “Ducato
Azionario Europa”; tale fondo fu istituito dalla Ducato Gestioni s.p.a.,
società controllata dalla MPS, e le quote di esso erano collocate presso il
pubblico dalla stessa MPS.
L’operazione era completata dalla previsione che i titoli sub (b) e (c) fossero
costituiti in pegno in favore della banca a garanzia della restituzione del
finanziamento, e dall’assunzione dell’obbligo da parte del risparmiatore di
restituire il capitale in rate trimestrali per il periodo di 15 anni ed al saggio
di poco meno dell’8°/0.

3. Dopo che il contratto ebbe esecuzione per circa due anni, nel 2003
l’investitore convenne la MPS dinanzi il Tribunale di Mantova, allegando che:
(a) aveva manifestato alla MPS la volontà di recedere dal contratto;
(b) solo in seguito a tale manifestazione di volontà aveva appreso che il
valore delle quote dei fondi comuni d’investimento acquistate in esecuzione
del suddetto contratto era diminuito notevolmente; che le obbligazioni “zero

2. Il contratto in tal modo concluso aveva ad oggetto una articolata

r

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coupon” acquistate sempre in esecuzione del suddetto contratto non erano
quotate e potevano essere vendute solo alla stessa MPS, la quale ne
determinava unilateralmente il prezzo.
Sulla base principalmente di tali allegazioni l’attore formulò una serie di
domande tra loro subordinate, ma tutte comunque volte a privare il

(a)

la dichiarazione di nullità ai sensi dell’art. 30, comma 7, del d. Igs.

24.2.1998 n. 51, per non avere ricevuto l’avviso della facoltà di recesso
entro i sette giorni successivi alla stipula;
(b) la dichiarazione di nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., sul presupposto che
il contratto integrasse gli estremi d’una truffa penalmente rilevante;
(c) la dichiarazione di annullamento del contratto per dolo determinante;
(d)

la dichiarazione di annullamento o di risoluzione del contratto per la

violazione da parte della MPS degli obblighi precontrattuali di informazione
del cliente e di offerta di prodotti adeguati, ai sensi degli artt. 21, 27, 28 e
29 del Regolamento Consob 1° luglio 1998, n. 11522.

3. Il Tribunale di Mantova, con sentenza 13.7.2005 n. 886, ritenne il
contratto stipulato tra il sig. Luca Lubrano di Ricco e la MPS nullo per
violazione dell’art. 30, comma 7, d. Igs. 24.2.1998 n. 58, ovvero per non
essere stato il risparmiatore informato dell’esistenza della facoltà di recesso
entro sette giorni dalla stipula.
Condannò, di conseguenza, la MPS a restituire all’attore la somma di euro
13.635,03.

4. La sentenza venne impugnata dalla MPS dinanzi la Corte d’appello di
Brescia.
Il giudice d’appello accolse l’appello con la sentenza 4.11.2010 n. 920.
La Corte d’appello di Brescia escluse che il contratto stipulato tra il sig. Luca
Lubrano di Ricco e la MPS potesse ritenersi nullo per mancanza dell’avviso
sul diritto di recesso.
La sentenza di secondo grado fu motivata con un ragionamento così
riassumibile:

contratto della sua efficacia, e cioè:

e

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(a)

l’operazione finanziaria oggetto del giudizio era rappresentata dalla

giustapposizione di tre diversi contratti: un contratto di mutuo, un contratto
di acquisto di obbligazioni ed un contratto di acquisto di quote di un fondo
d’investimento;
(b) l’obbligo di informare il risparmiatore del diritto di ripensamento, di cui

sede dei contratti di collocamento di strumenti finanziari. Nel caso di specie,
dunque, quell’obbligo informativo doveva essere osservato solo per la
vendita delle quote del fondo di investimento “Ducato”, e non per la vendita
di obbligazioni, e tanto meno per l’erogazione del mutuo;
(c)

nel caso di specie, la MPS prima della stipula del contratto di

collocamento delle quote del fondo d’investimento aveva fornito al cliente il
prospetto informativo, nel quale era contenuta l’informazione sul diritto di
ripensamento.
La Corte d’appello soggiunse che l’informazione sul diritto di ripensamento,
pur se contenuta nel solo prospetto informativo concernente l’operazione di
acquisto di quote di fondo d’investimento, era idonea a salvaguardare
l’interesse del risparmiatore: se, infatti, egli avesse scelto di recedere dal
contratto di collocamento di strumenti finanziari, l’intera operazione sarebbe
venuta meno, a causa della intima connessione dei tre contratti che la
componevano.

5. La sentenza della Corte d’appello di Brescia è stata impugnata per
cassazione dal sig. Luca Lubrano di Ricco, sulla base di otto motivi.
La MPS ha resistito con controricorso; ambo le parti hanno depositato
memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., e partecipato alla discussione in
pubblica udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all’art. 360,
n. 3, c.p.c.).

all’art. 30, comma 6, d. Igs. 58/98, sussiste soltanto nel caso di stipula fuori

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Si assume in particolare che essa avrebbe violato l’art. 30, comma 6, d. Igs.
24.2.1998 n. 58, là dove ha ritenuto che la MPS abbia assolto l’onere previsto dalla legge a pena di nullità – di informare il cliente del diritto di
ripensa mento.

Europa” costituiva uno strumento contrattuale essenzialmente unitario,
sebbene composto dalle tre distinte operazioni di finanziamento, acquisto di
obbligazioni e sottoscrizione di quote del fondo “Ducato”.
Dalla natura unitaria dell’operazione discenderebbe la necessità che
l’informazione sull’esistenza del diritto di ripensamento da un lato doveva
essere contenuta non già nel prospetto informativo concernente l’acquisto
delle quote del fondo “Ducato”, ma nel modulo contrattuale relativo
all’intero piano finanziario; e dall’altro tale informazione avrebbe dovuto
prevedere espressamente che l’esercizio del diritto di ripensamento avrebbe
avuto per effetto lo scioglimento dell’intero rapporto contrattuale, e non solo
del contratto di acquisto delle quote del fondo d’investimento “Ducato”.
Soggiunge, infine, il ricorrente che in ogni caso l’obbligo di informare il
risparmiatore del diritto di ripensamento sussiste non solo nell’ipotesi di
stipula fuori sede di operazioni di collocamento di strumenti finanziari, ma
anche nell’ipotesi di vendita fuori sede di obbligazioni, pur essa rientrante
nelle operazioni di “collocamento” di cui all’art. 30 d. Igs. 58/98.

1.3. Il motivo è fondato.
La sentenza della Corte d’appello è incorsa infatti in tre errori di diritto:
(a) avere ritenuto inapplicabile l’art. 30, comma 7, d. Igs. 58/98 ai contratti
di negoziazione di strumenti finanziari conclusi al di fuori di un servizio di
collocamento per conto terzi;
(b) avere escluso che il contratto denominato “Visione Europa” costituisse di
per sé e nel suo complesso un servizio di investimento, consistente nella
vendita di strumenti finanziari;
(c)

avere ritenuto che nell’ambito del contratto denominato “Visione

Europa” la banca potesse assolvere il proprio obbligo di informare il cliente

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1.2. Espone, al riguardo, il ricorrente che il piano finanziario “Visione

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del diritto di recesso limitandosi ad inserire la relativa clausola non già nel
testo del contratto, ma nel prospetto informativo concernente la sola
operazione di vendita di quote del fondo d’investimento.

1.4. Il primo errore commesso dalla Corte d’appello è consistito nella

Il giudice di secondo grado ha infatti affermato che “la clausola relativa al
diritto di ripensamento doveva essere prevista unicamente quanto alla
sottoscrizione delle quote del fondo comune di investimento”. E poiché il
prospetto informativo concernente la suddetta sottoscrizione prevedeva
l’informazione sul diritto di recesso, nessuna nullità si era verificata nel caso
di specie.
Questa decisione tuttavia non è conforme all’interpretazione che dell’art. 30,
comma 7, d. Igs. 58/98 hanno dato le Sezioni Unite della Corte di
cassazione, sia pure in epoca successiva alla pronuncia della Corte
bresciana.

1.4.1. L’art. 30, comma 7, d. Igs. 58/98 nel testo applicabile

ratione

temporis prevedeva che nel caso di stipula di contratti di “collocamento di
strumenti finanziari” al di fuori della sede del proponente o
dell’intermediario, “l’omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o
formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta
valere solo dal cliente”.
Le Sezioni Unite di questa Corte, componendo il contrasto sorto in seno alla
Prima sezione, con sentenza n. 13905 del 03/06/2013 hanno chiarito il
senso da attribuire alla norma sopra trascritta.
Essa deve trovare applicazione, attesa la evidente identità di

ratio, sia ai

contratti stipulati in esecuzione di un contratto di collocamento in senso
stretto, stipulato tra l’emittente del titolo e l’intermediario che in tal modo si
obbliga alla rivendita di esso al pubblico; sia a tutti gli altri contratti di
vendita di strumenti finanziari conclusi nell’ambito di un “servizio di
investimento” come definito dall’art. 1, comma 5, d. Igs. 58/98.

violazione dell’art. 30, comma 7, d. Igs. 58/98.

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Tra i “servizi di investimento” di cui al citato art. 1, comma 5, d. Igs. 58/98
rientra anche la vendita per conto proprio o per conto di terzi di obbligazioni
[art. 1, comma 3, lettera (b), d. Igs. 58/981; di quote di fondi comuni
d’investimento [art. 1, comma 3, lettera (c), d. Igs. 58/98], e le
combinazioni dei contratti appena ricordati [art. 1, comma 3, lettera (j), d.

pena di nullità anche nel caso di vendita per conto proprio o di terzi di
obbligazioni o quote di fondi comuni.

1.4.2. Le Sezioni Unite sono pervenute a tale conclusione sulla base di due
argomenti:
(a) l’interpretazione finalistica;
(b) l’interpretazione comunitariamente orientata.
Sotto il primo aspetto, le Sezioni Unite hanno ritenuto che lo scopo della
norma sul diritto di recesso dell’investitore nel caso di contratti stipulati
fuori sede è evitare che esso possa trovarsi vincolato da contratti sui quali
non abbia potuto adeguatamente riflettere; adeguata riflessione che deve
per contro presumersi già avvenuta quando sia il risparmiatore a recarsi di
propria iniziativa nei locali dell’intermediario o della banca (ovvero, come si
esprime oggi il d. Igs. 58/98, d’un “soggetto abilitato” a svolgere servizi di
investimento).
Questo essendo lo scopo della norma, l’esigenza di tutela da essa sottesa
sussiste tanto nell’ipotesi in cui il risparmiatore sia raggiunto, fuori sede, da
una proposta contrattuale avente ad oggetto titoli che l’intermediario
possiede od acquista da terzi (c.d. “negoziazione”); quanto nella diversa
ipotesi in cui siano offerti in vendita al risparmiatore strumenti finanziari che
l’intermediario si sia previamente obbligato nei confronti dell’emittente a
“collocare” (ovvero rivendere a terzi, ove si volesse prescindere dal lessema
linguisticamente inappropriato coniato dalla prassi e prescelto dal legislatore,
il quale etimologicamente deriva da /ocus, e non esprime un concetto di
trasferimento, ma il ben diverso concetto di “assegnare”, “attribuire”,
“sistemare”).

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Igs. 58/98]. Ergo, l’informazione sul diritto di recesso deve essere fornita a

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Sotto il secondo aspetto (l’interpretazione “comunitariamente orientata”) le
Sezioni Unite di questa Corte hanno osservato come anche a prescindere
dalla ratio dell’art. 30, comma 7, d. Igs. 58/98, comunque non vi può essere
dubbio che la lettera di essa sia ambigua. Infatti, se si aderisse alla tesi
restrittiva (secondo cui l’obbligo di informazione varrebbe solo per i contratti

inaccettabile conclusione che il legislatore avrebbe usato il lemma
“collocamento” con significati diversi nel primo e nel settimo comma della
norma in esame.
Di fronte a questa ambiguità, ed al cospetto di interpretazioni divergenti ma
tutte teoricamente consentite dal testo della norma, l’interprete proseguono le SS.UU. – ha l’obbligo di adottare l’interpretazione
maggiormente coerente con i precetti del diritto comunitario. E poiché l’art.
38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce il
principio per cui è compiuto dell’Unione garantire

“un livello elevato di

protezione dei consumatori”, tra due interpretazioni alternative ed ambedue
plausibili sul piano letterale, l’interprete ha il dovere di preferire quella in
grado di apprestare un più elevato livello di protezione al risparmiatore.

1.4.3. Questa Sezione condivide e ribadisce la lettura dell’art. 30, comma 7,
d. Igs. 58/98 compiuta dalle Sezioni Unite, e ritiene che anche ulteriori
ragioni ostino all’accoglimento dell’interpretazione adottata dalla sentenza
qui impugnata.
Se, infatti, si interpretasse l’art. 30, comma 6, d. Igs. 58/98 nel restrittivo
senso fatto proprio dalla Corte d’appello, esso sarebbe di fatto inapplicabile.
La norma, infatti, accorda al risparmiatore il diritto di recesso dai “contratti
di collocamento”. Ma contratti di collocamento in senso tecnico sono
soltanto gli accordi tra intermediario ed emittente, e nei rapporti tra
investitori professionali il diritto di recesso è espressamente escluso dal
secondo comma dell’art. 30 d. Igs. 58/98.
Da ciò discendono due conseguenze sul piano della logica formale.
La prima è che l’adesione alla lettura restrittiva dell’art. 30, comma 6, d. Igs.
58/98 renderebbe la norma inutile, perché non potrebbe darsi alcun caso in

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stipulati nell’ambito di servizi di collocamento), dovrebbe pervenirsi alla

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cui un “contratto di collocamento” sia stipulato tra l’emittente ed un
risparmiatore. Ed il canone interpretativo dell’interpretazione utile vieta
all’interprete di adottare soluzioni ermeneutiche che annullino la portata
precettiva della norma.
La seconda conseguenza è che l’interpretazione qui contestata pretende di

fine cui è preordinata l’interpretazione.
Quando si tratta di escludere che il diritto di recesso si applichi ai contratti
di negoziazione di titoli, si assume che il legislatore abbia usato un lessico
rigoroso e tecnico, e che pertanto il recesso non spetti nel caso di
negoziazione perché quest’ultima è contratto ben diverso da quello di
collocamento.
Quando, invece, si tratta di replicare all’obiezione secondo cui il contratto di
“collocamento di strumenti finanziari” è quello stipulato tra emittente e
intermediario (sicché la norma non potrebbe essere interpretata in senso
stretto a pena di inapplicabilità), l’orientamento qui in contestazione
ammette che l’espressione “collocamento di strumenti finanziari” sia stata
usata nell’art. 30, comma 6, d. Igs. 58/98 in senso atecnico.
La tesi qui in contestazione, in definitiva, perviene all’inaccettabile risultato
di usare due pesi e due misure nell’interpretare il medesimo lemma,
ritenendo a certi fini che sia stato usato in modo calzante, e ad altri fini che
sia stato usato in modo atecnico e generico.

1.5. Il secondo errore in iure commesso dalla Corte d’appello è stato il
ritenere che il contratto denominato “Visione Europa” non costituisse di per
sé e nel suo complesso un servizio di investimento, consistente nella
vendita di strumenti finanziari, e che pertanto l’informazione sul recesso
potesse legittimamente essere contenuta nel solo prospetto informativo
concernente l’operazione di acquisto di quote del fondo d’investimento
“Ducato”.

cbm)

interpretare la medesima norma con diverso rigore sintattico a seconda del

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1.5.1. Si sono già descritte supra, al § 2 dello “Svolgimento del processo”,
le caratteristiche del contratto in esame, che non sono in contestazione tra
le parti.
A parte varie ipotesi di nullità di singole clausole che non rilevano in questa
sede (si veda, a mero titolo d’esempio, l’art. 6 della Sezione II, il quale

solidarietà ed indivisibilità” verso la banca contiene un palese patto
successorio, nullo ai sensi dell’art. 458 c.c.), ai fini che in questa sede
rilevano, le caratteristiche essenziali dell’operazione consistevano in una
stretta ed indissolubile connessione tra le tre operazioni nelle quali il
contratto formalmente si scomponeva. Ed infatti:
(a) il finanziamento formalmente concesso dalla banca al risparmiatore non
poteva essere utilizzato per altro scopo che l’acquisto dei titoli (e solo di
quei titoli) già predeterminati dalla banca;
(b)

il risparmiatore non aveva alcuna possibilità di scelta dei titoli da

acquistare;
(c) nessun effettivo passaggio di denaro avveniva di fatto dalla banca verso
il risparmiatore, posto che la prima si obbligava formalmente ad usare
proprio denaro per acquistare per conto del cliente proprie obbligazioni e
quote di un fondo istituito da una propria controllata;
(d) il cliente non acquisiva nemmeno il possesso dei titoli sub (c), i quali
venivano immediatamente costituiti in pegno a favore della banca ed a
garanzia della restituzione del finanziamento.

1.5.2. Un contratto che presenti le caratteristiche appena descritte è un
contratto unitario, perché unitaria ne fu la causa. E ciò tanto nell’ipotesi in
cui si volesse intendere tale nozione in senso astratto come “funzione
economico-sociale del contratto”; quanto nell’ipotesi in cui la si volesse
intendere in senso concreto quale scopo avuto di mira dai contraenti
(questione sulla quale non mette conto in questa sede intervenire), come
già ritenuto da questa Corte in fattispecie identica (Sez. 1, Sentenza n.
1584 del 03/02/2012, Rv. 622621).

prevedendo che gli eredi del risparmiatore siano obbligati “con vincolo di

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Ed infatti ove si intendesse la causa negoziale nel senso tradizionale di
“funzione economico-sociale” del contratto, è agevole rilevare che il
contratto “Visione Europa” si fonda su un do ut facias,

in virtù del quale il

risparmiatore si obbligava a pagare 61 rate in 15 anni, e la banca ad
acquistare titoli remunerativi i cui frutti sarebbero andati a pro del cliente.

non è che fittizia ed apparente, e come tale giuridicamente irrilevante, alla
luce del secolare principio plus valet quod agitur, quam quod simulate
con cipitur.
Ove, per contro, si intendesse la causa quale scopo concreto avuto di mira
dalle parti, secondo il più recente orientamento di questa Corte

(ex aliis,

Sez. 3, Sentenza n. 23941 del 12/11/2009, Rv. 610016; Sez. 3, Sentenza
n. 10490 del 08/05/2006, Rv. 592154), il contratto “Visione Europa” non
cesserebbe per ciò solo di costituire un negozio unitario. Scopo concreto
delle parti fu infatti quello, con ogni evidenza, di garantire una
remunerazione ai risparmi dell’investitore, e quindi uno scopo di
investimento.
Scopo di investimento che, è bene ricordare, non può mai sottrarre il
contratto che lo persegue alla disciplina dettata dal d. Igs. 58/98 sol perché
le parti lo abbiano qualificato in altre e talora fantasiose guise, atteso che
la nozione di contratto di investimento costituisce uno schema atipico, la
quale comprende “ogni forma di investimento finanziario, ai sensi dell’art. 1,
comma 1, lett. u), del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, riflettendo la natura
aperta ed atecnica di “prodotto finanziario”, la quale rappresenta la risposta
legislativa alla creatività del mercato ed alla molteplicità degli strumenti
offerti al pubblico, nonché all’esigenza di tutela degli investitori”

(sono

parole, qui pienamente condivise, di Sez. 2, Sentenza n. 2736 del
05/02/2013, Rv. 625071).
Nel caso di specie non ci troviamo dunque al cospetto di un collegamento
negoziale (genetico o funzionale che fosse), perché le singole operazioni
previste per raggiungere lo scopo finale dell’investimento non avevano
alcuna autonomia concettuale, giuridica o pratica. Non solo, infatti, esse
erano tutte coessenziali al conseguimento dello scopo (elemento

Questo era il nucleo dell’operazione, e la sua scomposizione in tre contratti

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ovviamente sussistente anche nelle ipotesi di collegamento negoziale di tipo
funzionale), ma ciascuna di esse era altresì inutile ed inconcepibile senza la
contestuale stipula delle altre.

1.5.3. Pertanto, avendo il contratto “Visione Europa” natura e funzione

fini di cui all’art. 30, comma 6, d. Igs. 58/98, esso avrebbe dovuto
prevedere nelle sue condizioni generali, a pena di nullità, l’informazione al
cliente dell’esistenza del diritto di recesso.

1.6. Vi è stato infine, come accennato, un terzo error iuris nella decisione
impugnata.
La Corte d’appello di Brescia, con motivazione ad abundantiam (aveva
infatti ritenuto non necessaria l’informazione sul diritto di recesso data la
natura del contratto, e ciò sarebbe bastato per accogliere il gravame sul
punto), ha ritenuto di soggiungere che comunque nel caso di specie l’onere
informativo a carico della MPS era stato da questa adempiuto.
L’informazione sul diritto di recesso era infatti contenuta nel prospetto
informativo concernente l’acquisto delle quote del fondo di investimento, ed
“in relazione all’inscindibilità dei componenti della proposta e delle modalità
attuative (…) l’esercizio del diritto di ripensamento previsto quanto alla
sottoscrizione di quote del fondo di investimento avrebbe necessariamente
travolto tutta la proposta”.
Sicché – questa sembra essere la conclusione implicita, ma chiara, della
Corte d’appello – l’informazione sul recesso contenuta nel prospetto
informativo concernente il fondo “Ducato” bastava a salvare dalla nullità
l’intera operazione.
Tale affermazione non può essere condivisa per due indipendenti ragioni.

1.6.1. La prima ragione è che l’art. 30, comma 7, d. Igs. 58/98 impone che
l’informazione sulla facoltà di recesso sia contenuta nei “moduli o formulari”
dei contratti stipulati fuori sede.

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e-

unitaria, e costituendo per quanto già detto un “servizio di investimento” ai

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L’espressione “moduli o formulari” compare due volte nel codice civile:
nell’art. 1342 c.c., il quale stabilisce che nei contratti conclusi mediante la
sottoscrizione di moduli o formulari le clausole aggiunte al modulo o al
formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario qualora siano
incompatibili con esse; e nell’art. 1370 c.c., il quale stabilisce che le clausole

predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore
dell’altro.
Le due norme rendono edotti che i “moduli e formulari” di cui in esse si fa
menzione non coincidono con le condizioni generali di contratto, ma
costituiscono il documento nel quale è consacrato il testo contrattuale:
quello, per intenderci, destinato alla sottoscrizione per adesione.
Questi princìpi generali vanno coordinati, nella nostra materia, con le
previsioni del d. Igs. 58/98 e dei regolamenti amministrativi che l’hanno
attuato od integrato.
A livello della fonte primaria viene in rilievo l’art. 23 d. Igs. 58/98, il quale
prescrive che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento
“sono redatti per iscritto” a pena di nullità. A livello della fonte secondaria
viene in rilievo l’art. 36 della Deliberazione Consob 10 luglio 1998, n. 11522
(nel testo applicabile ratione temporis, e cioè dopo le modifiche introdotte
dall’articolo unico della deliberazione Consob 10 marzo 2000, n. 12409, e
prima dell’abrogazione disposta dall’art. 113, comma 7, della deliberazione
Consob 29 ottobre 2007, n. 16190), il quale stabiliva all’epoca dei fatti che
nel caso di offerta fuori sede di strumenti finanziari all’investitore devono
essere consegnati sia “i documenti contrattuali per la fornitura dei servizi di
investimento”, sia il “documento di acquisto o di sottoscrizione” degli
strumenti finanziari.
Nel nostro caso, in virtù della già illustrata natura unitaria del contratto
“Visione Europa”, è dunque evidente che il “modulo o formulario” cui fa
riferimento l’art. 30, comma 7, d. Igs. 58/98 è costituito, alternativamente:
(a) o dal documento che esprime ex art. 1321 c.c. l’accordo sull’intera
operazione di finanziamento, ai sensi dell’art. 23 d. Igs. 258/98;

inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari

e

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(b) ovvero dal documento che ne illustra il contenuto e le condizioni
generali, ai sensi dell’art. 36, comma 1, lettera (b), Reg. Consob 11522/98.
L’informazione contenuta nel prospetto informativo relativo all’acquisto di
quote di fondi comuni non è dunque idonea a soddisfare l’onere posto a
carico dell’intermediario dall’art. 30, comma 6, d. Igs. 58/98, perché quel

può farsi rientrare tra i “moduli o formulari” di cui è menzione nell’art. 30
cit., posto che – per quanto detto – per tali devono intendersi quelli
riguardanti il complesso dell’operazione, e non un frammento di essa.

1.6.2. V’è poi, come accennato, una seconda ed indipendente ragione per la
quale l’inserimento dell’informazione sul recesso nel solo prospetto
informativo concernente l’acquisto delle quote del fondo comune non
soddisfa l’onere imposto dall’art. 30, comma 6, d. Igs. 58/98, e non salva
dalla nullità l’intero contratto: e tale ragione consiste nella violazione
dell’obbligo di chiarezza.
Le regole tanto comunitarie, quanto nazionali, che disciplinano il contenuto
e la forma dei contratti di investimento impongono all’intermediario ed
all’emittente il dovere del dare lo qui, ovvero di “parlare chiaro”.
Il dovere di chiarezza è imposto, in primo luogo, dal diritto comunitario. Lo
era all’epoca dei fatti di causa (2000), per effetto dell’art. 11 della Direttiva
93/22/CEE del Consiglio, del 10 maggio 1993, relativa ai servizi di
investimento nel settore dei valori mobiliari, il quale imponeva agli Stati
membri l’obbligo di prevedere a carico delle “imprese di investimento” il
duplice obbligo sia di “agire in modo leale ed equo”; sia di “trasmettere
adeguatamente le informazioni utili nell’ambito dei negoziati con i suoi
clienti”. Ed ovviamente va da sé che una informazione “adeguata” non può
non essere anche “chiara”, per la contraddizione che non lo consente.
Dovere di chiarezza, vale la pena aggiungere, ribadito e rafforzato dall’art.
19, comma 2, della Direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 21 aprile 2004 (c.d. “Direttiva MiFID”), il quale stabilisce che
“tutte le informazioni (…) indirizzate dalle imprese di investimento a clienti
(…) sono corrette, chiare e non fuorvianti”.

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rvvo-

prospetto – relativo ad un solo segmento dell’operazione finanziaria – non

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Tali princìpi sono ribaditi, a livello di legislazione nazionale, in primo luogo
dagli artt. 1175 e 1375 c.c., i quali pacificamente pongono a carico dei
contraenti un obbligo di informazione e chiarezza. In secondo luogo,
l’obbligo di chiarezza dei testi contrattuali è desumibile sia dall’art. 21 d. Igs.
58/98, nella parte in cui impone agli intermediari di “operare in modo che [i
sia dal Regolamento

Consob 11522/98 e dall’Allegato 7 ad esso, ove si impone all’intermediario
di “illustrare all’investitore in modo chiaro ed esauriente (…) gli elementi
essenziali dell’operazione, del servizio o del prodotto”.
Il dovere di chiarezza ovviamente non è fine a sé stesso: esso è un
corollario indefettibile del dovere di informazione, e l’uno e l’altro hanno lo
scopo di colmare le “asimmetrie informative” tra risparmiatore ed
intermediario.
L’uno, infatti, è titolare del diritto di scegliere se, come, quando e quanto
investire dei propri risparmi; ma di norma non è in possesso delle nozioni
che gli consentano di effettuare tali scelte con cognizione di causa. L’altro
possiede tali nozioni, ma non è titolare del diritto di disporre dei risparmi del
cliente.
Il risparmiatore è dunque titolare di un diritto il cui corretto e proficuo
esercizio dipende dal possesso di informazioni che gli debbono essere
fornite da altri. Un esercizio, quindi, che esige un “consenso informato”.
L’obbligo di informazione si ridurrebbe tuttavia ad una lustra se, come non
di rado avviene nella prassi, fosse assolto in modo puramente formale. Ad
esempio, attraverso la sottoposizione al risparmiatore di profluvi di
documenti disseminati di tecnicismi e solecismi, senza che alcuno si prenda
la briga di fargliene chiaro il senso. Adempiuto in tal guisa, l’obbligo di
informazione non potrebbe mai raggiungere lo scopo di consentire al
risparmiatore una scelta consapevole: e dunque non potrebbe dirsi davvero
adempiuto.
Un testo contrattuale non chiaro è un testo che non informa; ed un testo
che non informa non mette il risparmiatore in condizione di prestare un
valido consenso informato.

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r

clienti] siano sempre adeguatamente informati”;

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Il requisito di chiarezza prescritto dalle norme sopra ricordate può mancare
sia sul piano morfologico (ad esempio, impiego di lemmi di uso non
comune); sia sul piano sintattico (ad esempio, per l’adozione di periodi
oscuri, rinvii, ipotassi, anacoluti).
Sul piano sintattico la forma più tipica di mancanza di chiarezza è
ovvero la possibilità che il testo sia interpretato in modi

alternativi e divergenti.
Si applichino ora i seguenti princìpi al caso di specie.
Il contratto “Visione Europa” non conteneva alcuna informazione sul diritto
di recesso.
Il prospetto informativo sull’acquisto delle quote del fondo “Ducato”, che
costituiva come già detto un segmento soltanto dell’intera operazione di
investimento, conteneva quell’avviso, ovviamente riferito alla sola facoltà di
recedere dall’acquisto delle quote del fondo.
Un simile testo contrattuale è di per sé ambiguo. Esso lasciava infatti al
risparmiatore il dubbio se il diritto di recesso avrebbe riguardato solo
l’investimento in quote del fondo, ovvero l’intera operazione; né può
esigersi dal risparmiatore che questi provveda di per sé ad un’analisi del
testo contrattuale alla luce della legislazione comunitaria e della
giurisprudenza, per trarne le necessarie informazioni sulla portata del diritto
di recesso.
Da quanto esposto consegue che, anche ad ammettere che la MPS abbia
fornito l’informazione sul diritto di recesso, essa non l’ha fatto in modo
chiaro, e dunque la suddetta informazione è tamquam non esset.

2. I rilievi svolti dalla MPS nel controricorso e nella memoria ex art. 378
c.p.c. non scalfiscono le osservazioni che precedono. La maggior parte di
essi trova risposta in quanto già esposto; agli ulteriori rilievi svolti dalla MPS
va replicato che:
(a) stupefacente, prima ancora che infondata, è l’affermazione secondo cui
le singole operazione che componevano il contratto “Visione Europa”
restavano “nettamente distinte e separate tra loro” (così il controricorso,

Pagina 17

r-

l’ambiguità,

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pag. 9), alla luce delle caratteristiche del contratto come descritte al § 2
dello “Svolgimento del processo”, ed al § 1.5.1 dei “Motivi della decisione”;
(b) che l’attività svolta dalla MPS nei confronti del sig. Luca Lubrano di Ricco
non potesse qualificarsi come “attività di collocamento” (a prescindere da
qualsiasi giudizio su tale affermazione, di cui a pag. 10 del controricorso) è

recesso riguarda anche i contratti stipulati al di fuori dei servizi di
collocamento in senso stretto;
(c) la MPS non era affatto un “intermediario negoziatore” (come si afferma,
richiamando giurisprudenza di merito, a pag. 13 del controricorso), se non
da un punto di vista puramente formale, per l’ovvia considerazione che in
attuazione del contratto “Visione Europa” il cliente poteva acquistare solo
quei determinati titoli, e tutti emessi dalla stessa MPS o da società del
gruppo;
(d)

singolare è poi il capovolgimento dei rapporti fra legge e cittadini

nell’affermazione compiuta a pag. 6 della memoria ex art. 378 c.p.c. della
MPS, secondo cui le Sezioni Unite della Corte di cassazione, stabilendo che il
diritto di recesso ex art. 30, comma 7, d. Igs. 58/98, si applichi anche ai
contratti di negoziazione, “si sono poste in aperta antitesi con la prassi
consolidata degli intermediari”, posto che è la prassi commerciale a doversi
adeguare alla legge per come interpretata dall’organo giurisdizionale di
vertice, e non il contrario;
(e) la MPS ha poi sostenuto che l’applicazione della sospensione ex art. 30,
comma 6, d. Igs. 58/98 ai contratti di negoziazione impedirebbe
l’esecuzione immediata dell’ordine del cliente, con i conseguenti rischi di
fluttuazioni legate alle oscillazioni dei valori di riferimento (monetari,
azionari o di altro tipo; così la memoria ex art. 378 c.p.c., pag. 8); tale
rilievo è inconferente nel presente giudizio, nel quale il contratto non
prevedeva una esecuzione immediata, e comunque è superato
dall’osservazione svolta dalle Sezioni Unite nella sentenza sopra ricordata,
secondo cui – ammesso che di inconveniente si tratti – esso è il necessario
prezzo da pagare per salvaguardare il superiore principio di tutela del
risparmiatore.

irrilevante, posto che per quanto detto l’obbligo di informazione sul diritto di

r

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Udienza del 11 febbraio 2014

3. Infine, alle pagg. 10 e ss. della memoria ex art. 378 c.p.c., la MPS ha
sostenuto che la correttezza del principio affermato dalla sentenza
impugnata è stata ora esplicitamente confermata dall’art. 56 quater del d.l.
21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella I. 9 agosto 2013,

Questa norma ha infatti inserito una interpolazione nel sesto comma dell’art.
30 d. Igs. 58/98, la quale così recita: “ferma restando l’applicazione della
disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di
cui all’articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti
a decorrere dal 10 settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche
ai servizi di investimento di cui all’articolo 1, comma 5, lettera a)”.
L’art. 1, comma 5, lettera (a) dei d. igs. 58/98 prevede un solo tipo di
“servizi di investimento”, e cioè la negoziazione per conto proprio di
strumenti finanziari.
La MPS interpreta dunque la norma appena trascritta nel senso che essa
avrebbe introdotto un discrimine:
(a) le vendite di strumenti finanziari per conto proprio, stipulate fuori sede a
partire dal 1°.9.2013 debbono contenere, a pena di nullità, l’informazione
sul diritto di recesso del risparmiatore;
(b) le vendite di strumenti finanziari per conto proprio, stipulate fuori sede
fino al 31.8.2013 non debbono contenere, a pena di nullità, l’informazione
sul diritto di recesso del risparmiatore.
La norma, soggiunge la MPS, avrebbe natura di norma interpretativa; essa
sarebbe di conseguenza retroattiva, ed ha avuto il solo scopo di dissipare i
dubbi su quale fosse la volontà del legislatore allorché scrisse l’art. 30,
comma 6, d. Igs. 58/98.

3.1. La lettura che la controricorrente MPS invoca dell’art. 56 quater d.l.
69/2013 non può essere condivisa. La suddetta norma, infatti, non ha
natura interpretativa.
Depongono univocamente in tal senso l’interpretazione logica, quella
finalistica e quella costituzionalmente orientata.

n. 98, c.d. “decreto del fare”).

Afv

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3.2. Dal punto di vista dell’interpretazione logica, va rilevato come il
precetto contenuto nell’art. 56 quater d.l. 69/2013 affermi che il diritto di
recesso si applica ai contratti di negoziazione titoli stipulati dopo il
1°.9.2013.

ai contratti stipulati prima di tale data.
Ci troviamo dunque dinanzi ad una norma che afferma il precetto “A”, ma
non nega affatto il precetto “non-A”.
Se il legislatore avesse davvero inteso escludere il diritto di recesso per i
contratti stipulati prima di settembre 2013, non avrebbe dovuto stabilire
che il diritto “A” si applica ai contratti stipulati dopo: avrebbe dovuto sancire
che il diritto “A” non si applica ai contratti stipulati prima.
Sul piano della logica formale ne discende una importante conseguenza.
La regola ermeneutica classica dell’inclusio unius, exclusio alterius, trova
applicazione quando la norma scelga tra due soluzioni possibili e tra loro
alternative, cioè legate da un nesso di esclusione reciproca. Così, ad
esempio, una norma che sancisse l’invalidità dei contratti stipulati dopo una
certa data non consente dubbi sul fatto che quei contratti non possano
essere efficaci.
Non è questo il nostro caso. Individuato il discrimine temporale del
1°.9.2013, la legge dichiara che ai contratti dopo tale data si applica il
diritto di recesso: ma tale affermazione non è legata da un nesso di
esclusione reciproca rispetto al suo contrario: e cioè che ai contratti stipulati
prima di tale data il diritto di recesso non si applichi.
Nel nostro caso dunque delle quattro soluzioni teoricamente possibili del
problema, e cioè:
(a) il diritto di recesso si applica ai contratti stipulati prima di settembre, ma
non a quelli dopo;
(b) il diritto di recesso si applica ai contratti stipulati dopo settembre, ma
non a quelli prima;
(c) il diritto di recesso si applica ai contratti stipulati sia prima che dopo
settembre;

La norma non nega il contrario, e cioè che il diritto di recesso non si applichi

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(d) il diritto di recesso non si applica né ai contratti stipulati prima di
settembre, né a quelli stipulati dopo;
la lettera della legge per come è stata concepita consente di escludere con
certezza la prima e l’ultima, ma lascia impregiudicate le altre due.

per scontato che il legislatore sia intervenuto col d.l. 69/2013 per ristabilire
una situazione di certezza, la quale sarebbe venuta meno in seguito
all’intervento delle Sezioni Unite (così la memoria ex art. 378 c.p.c., pag.
12).
Questa lettura della nuova norma non ha alcuna solida base.
Il presupposto che legittima l’intervento del legislatore attraverso una
norma di interpretazione autentica è la situazione di incertezza che il
legislatore intende eliminare.
Nel nostro ordinamento questa situazione di incertezza non solo non
esisteva, ma anzi era stata esclusa proprio dall’intervento delle Sezioni
Unite, cui l’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario attribuisce il compito di
rimuoverle, le incertezze, e non di crearle. Né, ovviamente, potrebbe
spacciarsi per “incertezza del diritto” l’eventuale malumore ingenerato da
una decisione della Corte di cassazione confliggente con (pur legittimi)
interessi od aspettative privati.
Dunque l’art. 56

quater d.l. 69/2013 non può ritenersi una norma

interpretativa perché dell’interpretazione autentica mancava il primo e
principale presupposto, ovvero la possibilità di letture contrastanti.
Possibilità venuta meno proprio in seguito all’intervento delle Sezioni Unite
più volte ricordato, alla luce del combinato disposto degli artt. 65 ord. giud.
e 374 c.p.c..

3.4. Oltre che per la mancanza del presupposto della oggettiva incertezza,
l’art. 56

quater

d.l. cit. non può essere qualificato come “norma

interpretativa” nemmeno alla luce dei lavori preparatori, che non
contengono alcuna indicazione in tal senso. Anzi, se mai vi fu norma oscura
nella genesi e negli intenti, questa è l’art. 56 quater d.l. 69/2013.

3.3. Sul piano dell’interpretazione finalistica, la controricorrente MPS dà

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Udienza del 11 febbraio 2014

Non presente nel testo originario del decreto presentato alle Camere per la
conversione in legge, la norma di cui si discorre fu introdotta nel corso
dell’esame al Senato (dopo che già l’altro ramo del Parlamento aveva
approvato il disegno di legge di conversione del decreto), per effetto
dell’emendamento 56-ter.0.1000 presentato dal Governo.

l’emendamento venne esaminato nella 10a seduta, svoltasi lunedì 5 agosto
2013.
In quella seduta nessuno si peritò di illustrare l’emendamento di cui si
discorre; nessuno ne spiegò il senso o gli scopi, nessuno ne rese manifesta
l’utilità. Dal resoconto della seduta si apprende unicamente che a un certo
punto venne “posto in votazione, con il parere favorevole dei relatori,
l’emendamento 56-ter.0.1000, che è accolto” (cfr. resoconto sommario n. 5
del 5.8.2013).
Non diverso fu

l’iter di approvazione della norma in esame da parte

dell’assemblea. Nella 91a seduta pubblica del 7.8.2013 né il governo, né
alcun Senatore ha illustrato senso, scopi e ragione della nuova norma. Si
legge infatti nel resoconto stenografico n. 91 del 7.8.2013: “PRESIDENTE.
Passiamo alla votazione dell’emendamento 56-ter.0.1000. Votazione
nominale con scrutinio simultaneo. PRESIDENTE. Indico la votazione
nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico,
dell’emendamento 56-ter.0.1000, presentato dalle Commissioni riunite.
Dichiaro aperta la votazione. (Segue la votazione). Il Senato approva”.
Il giorno dopo il d.d.l. di conversione del di. 69/2013 passò (per la seconda
volta) alla Camera, dove l’intera discussione verté unicamente sulla bizzarra
circostanza che il testo del d.d.l. trasmesso alla Camera non coincideva con
quello approvato dal Senato. Né nel resoconto stenografico dell’Assemblea
relativo alla seduta n. 68 di giovedì 8 agosto 2013; né in quello n. 69 di
venerdì 9 agosto 2013 si rinviene un solo intervento, del relatore o d’altri,
che spieghi lo scopo dell’emendamento.
Questo essendo stato l’iter di formazione dell’art. 56 quater d.l. 69/2013,
non è chiaro donde la controricorrente tragga la convinzione che la norma
sia stata approvata per “ristabilire la certezza”, a suo dire infranta

cii

Durante l’esame dinanzi alle Commissioni I e V riunite del Senato,

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Udienza del 11 febbraio 2014

dall’intervento delle Sezioni Unite. E comunque, a tutto concedere, in ogni
caso “l’intenzione del legislatore” di cui è menzione nell’art. 12 disp. prel.
c.c. va intesa – per risalente tradizione – come volontà oggettiva della
norma (c.d.

voluntas legis),

e non certo come volontà dei singoli

partecipanti al processo formativo di essa (c.d.

voluntas legislatoris) (ex

Sentenza n. 3276 del 08/06/1979, Rv. 399660; Sez. 2, Sentenza n. 1955
del 19/05/1975, Rv. 375656; Sez. 1, Sentenza n. 937 del 13/03/1975, Rv.
374322).
Infine, e sempre con riferimento all’intenzione del legislatore, è appena il
caso di rilevare che gli atti normativi debbono presumersi voluti dal
legislatore in senso conforme alle regole ed ai princìpi dell’ordinamento:
sicché non può certo presumersi che il Governo, con l’emendamento
introduttivo dell’art. 56

quater

di. 69/2013, abbia avuto il poco

commendevole intento di porre in non cale una sentenza delle Sezioni Unite,
e scardinare in tal modo il principio di separazione tra i poteri dello Stato.

3.5. L’art. 56 quater d.l. 69/2013, in secondo luogo, non può essere
considerato una norma di interpretazione autentica in base
all’interpretazione costituzionalmente orientata.
Se, infatti, la norma in esame si interpretasse nel senso propugnato dalla
controricorrente, essa entrerebbe in conflitto con molteplici precetti di rango
costituzionale.
In primo luogo, l’interpretazione qui contestata si porrebbe in conflitto con
l’art. 47, comma 1, Cost., nella parte in cui introdurrebbe un regime di
favore per gli istituti di credito i quali abbiano stipulato contratti di
negoziazione titoli fuori sede prima del 1°.9.2013.
La suddetta distinzione inoltre, essendo rimasto immutato il resto della
norma, sarebbe difficilmente compatibile col principio di uguaglianza di cui
all’art. 3 cost., posto che non esiste alcuna circostanza idonea a giustificare
una più solida tutela per i risparmiatori che abbiano stipulato i loro contratti
dopo una certa data, rispetto a quelli che l’abbiano fatto prima.

multis, Sez. 3, Sentenza n. 3550 del 21/05/1988, Rv. 458871; Sez. L,

6/

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Udienza del 11 febbraio 2014

In terzo luogo, l’interpretazione caldeggiata dalla MPS potrebbe porre la
norma in contrasto con gli artt. 101 e 104 cost., nella parte in cui finirebbe
per vanificare con effetto retroattivo il dictum delle Sezioni Unite già più
volte ricordato.

base dei seguenti princìpi di diritto:

(A)

L’operazione finanziaria consistente nell’erogazione al cliente,

da parte d’una banca, d’un mutuo contestualmente impiegato per
acquistare per conto del cliente strumenti finanziari predeterminati
ed emessi dalla banca stessa, a loro volta contestualmente costituiti
in pegno in favore della banca a garanzia della restituzione del
finanziamento, dà vita ad un contratto atipico unico ed unitario, la
cui causa concreta risiede nella realizzazione di un lucro finanziario,
e che va sussunto tra i “servizi di investimento” di cui all’art. 1,
comma 5, d. Igs. 24.2.1998 n. 58.

(B) Il diritto di recesso previsto in favore del risparmiatore dall’art.
30, comma 7, d. lgs. 24.2.1998 n. 58 nel caso di contratti stipulati
fuori sede si applica sia nel caso di vendita di strumenti finanziari
per i quali l’intermediario ha assunto un obbligo di collocamento nei
confronti dell’emittente; sia nel caso di mera negoziazione di titoli.

(C) L’art. 56 quater del d.L 21.6.2013, n. 69, il quale – novellando
l’art. 30, comma 6, d. Igs. 24.2.1998 n. 58 – ha previsto che il diritto
di recesso del risparmiatore dai contratti di investimento stipulati
fuori sede spetti anche nel caso di operazioni di negoziazione di
titoli per conto proprio stipulate dopo il 1° settembre 2013 non è
una norma di interpretazione autentica, e non ha avuto l’effetto di
sanare l’eventuale nullità dei suddetti contratti, se privi dell’avviso
al risparmiatore dell’esistenza del diritto di recesso e stipulati prima
del 1° settembre 2013.

Pagina 24

4. La sentenza impugnata deve, in definitiva, essere cassata con rinvio sulla

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Il giudice del rinvio provvederà, una volta applicati i suddetti princìpi, a
statuire sulle domande restitutorie scaturenti dalla nullità del contratto.

4. Gli altri motivi di ricorso.

dall’accoglimento del primo.

5. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno
liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 385, comma 3, c.p.c..
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 383, comma primo, c.p.c.:
– ) accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri;
– ) cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte
d’appello di Brescia;
– ) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 11 febbraio 2014.

4.1. Gli ulteriori motivi di ricorso proposti dal ricorrente restano assorbiti

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