Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7774 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. II, 18/03/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 18/03/2021), n.7774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23542-2019 proposto da:

H.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI CONSOLI

n. 62, presso lo studio dell’avvocato ENRICA INGHILLERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIA PAOLINELLI

– ricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA depositato il 25/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, cittadino (OMISSIS), interponeva ricorso avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona con il quale gli era stato negato l’accesso alla protezione internazionale e umanitaria.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione H.O. affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1 della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 ed del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 81 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè il Tribunale avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione internazionale, nelle sue articolazioni dello status o della protezione sussidiaria, nonostante avesse ritenuto credibile la storia riferita, incentrata sulla persecuzione subita dal richiedente in dipendenza della sua militanza politica.

La censura è fondata. Il Tribunale ha infatti ritenuto che “la valutazione di carente credibilità del racconto espressa dalla Commissione non può essere condivisa… in realtà, il racconto del richiedente è apparso credibile perchè ampiamente circostanziato (nomi, luoghi, riferimenti concreti agli eventi che si sono succeduti nel tempo e sono stati narrati secondo un ragionevole accadimento spazio-temporale) e privo di contraddizioni sostanziali sui punti principali della storia personale”. Tuttavia, il giudice di merito ha ritenuto infondato il timore legato al rimpatrio “… sia perchè i membri dell'(OMISSIS) pare non abbiano più cercato il richiedente: “da quando sono scappato non sono più venuti a cercarmi”, sia in ragione di quanto emerge dalle fonti” (cfr. pag.2 del decreto impugnato).

Ai fini del diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, inoltre, il giudice di merito valorizza la circostanza che il ricorrente “pur avendo allegato di essere affiliato politicamente e di aver preso parte alle relative attività anche di associazioni per i diritti civili, riferisce un solo evento talmente grave da temere per la propria vita e/o incolumità”; il carattere episodico, occasionale dell’evento e comunque non specifico porta ad escludere una reiterazione da parte degli aggressori, per un verso, nonchè è plausibile che lo stesso richiedente rinunci alla condotta in precedenza tenuta, per altro verso, con la conseguenza che non si ravvisano atti tali da esporlo al rischio effettivo di persecuzione…” (cfr. pag. 6 del decreto).

La combinazione dei due passaggi della motivazione evidenzia diversi profili di irriducibile contrasto logico. Il richiedente aveva infatti riferito “.. di avere ottenuto l’incarico di agente supervisore per conto del partito (OMISSIS) all’epoca delle elezioni del 2016 al titolo di governatore di (OMISSIS). In particolare, dichiara di essere stato avvicinato da membri dell'(OMISSIS), il giorno dell’elezione, affinchè truccasse il voto. A fronte del suo rifiuto e della perdita elettorale dell'(OMISSIS) all’interno della sezione locale (a livello nazionale invece vinceva le elezioni), tali persone lo avrebbero minacciato di morte per il tramite della madre, che gli consigliava di fuggire” (cfr. ancora pag.2 del decreto). Tale storia, riassunta dal primo giudice nei suoi tratti essenziali, è stata da quest’ultimo ritenuta credibile, in contrasto con l’originario avviso della Commissione territoriale, perchè “ampiamente circostanziata…e priva di contraddizioni sostanziali”. La circostanza che la minaccia di morte si sia concentrata in una sola occasione non appare rilevante ai fini del diniego della protezione internazionale, posto che anche un solo atto può essere sufficiente ad integrare gli estremi del pericolo cui gli strumenti di tutela di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 sono diretti a rispondere. L’art. 9 della Direttiva 2011/95/EU (cd. “Direttiva qualifiche”) stabilisce infatti due condizioni alternative perchè un atto possa rappresentare una persecuzione, che hanno in comune un requisito: la sufficiente gravità dell’atto. La soglia della sufficiente gravità può essere oltrepassata dalla natura di un unico atto che viola gravemente i diritti umani fondamentali ovvero, in alternativa, dalla reiterazione di atti che, se commessi come singolo atto, potrebbero non rappresentare una violazione grave. La differenza tra la seconda alternativa posta dall’art. 9, par. 1, lett. a) (atti ripetuti) e l’art. 9, par. 1, lett. b) (somma di diverse misure) sta nel fatto che quest’ultima disposizione ha un campo di applicazione più ampio. Non è necessario che le misure di cui all’art. 9, paragrafo 1, lettera b), siano “violazioni dei diritti umani fondamentali”, a condizione che siano violazioni dei diritti umani con un impatto sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo. Ne deriva che di fronte ad una minaccia diretta contro il diritto umano fondamentale alla vita, anche un solo atto dev’essere considerato sufficientemente grave, ai fini di cui alla richiamata disposizione Eurounitaria, per accordare al richiedente, la cui storia venga ritenuta credibile, la protezione internazionale.

Ulteriore irriducibile contrasto si ravvisa nel passaggio con cui il giudice di merito ha ritenuto l’evento riferito dal richiedente “comunque non specifico” nonostante la valutazione di complessiva credibilità della storia personale, definita come “ampiamente circostanziata… e priva di contraddizioni sostanziali”. Il giudizio sulla storia, infatti, non può non comportare un apprezzamento dello stesso segno sull’unico fatto persecutorio riferito dal richiedente, a meno di incorrere in una insanabile contraddizione logica: per ritenere credibile una storia incentrata su un solo evento persecutorio, infatti, è giocoforza ritenere credibile anche e soprattutto il racconto di quell’evento; di qui l’impossibilità logica di definire “non specifico” l’episodio.

Ulteriore passo non appagante della motivazione è quello in cui il giudice di merito valorizza, per escludere la gravità del fatto persecutorio narrato dal richiedente, il fatto che costui avesse dichiarato che “da quando sono scappato non sono più venuti a cercarmi”. Da tale dichiarazione, invero, non si può logicamente inferire una diminuzione della gravità del pericolo, essendo evidente che il motivo della cessazione della minaccia è dipeso direttamente, ed esclusivamente, dalla fuga del richiedente stesso. Come pure non è possibile dare rilievo, sempre ai fini della riduzione della gravità dell’unico evento persecutorio, al fatto che sarebbe “plausibile che lo stesso richiedente rinunci alla condotta in precedenza tenuta”. Argomentando in tal modo, infatti, si finisce per compiere una sorta di “prognosi di abiura” da parte del richiedente la protezione, la quale oltre a non essere rilevante ai fini della sussistenza o meno dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, non è (nel caso di specie) neppure fondata su qualsivoglia elemento fattuale che possa fondare il ragionamento presuntivo formulato dal giudice di merito.

In definitiva, il primo motivo va accolto, con conseguente assorbimento del secondo, cassazione della decisione impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvio della causa al Tribunale di Ancona, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

la Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Ancona, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

 

 

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