Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7772 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. II, 05/04/2011, (ud. 22/02/2011, dep. 05/04/2011), n.7772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.G. C.F. (OMISSIS), P.A. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. CAMOZZI

1, presso lo studio dell’avvocato TROIANI ANTONIO, rappresentati e

difesi dagli avvocati GALLO GIUSEPPE, GALLO LUCIANO, GALLO GALILEO;

– ricorrenti –

contro

R.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SCERRA GIUSEPPE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 267/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2011 dl Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.S. con atto notificato in data 22.9.93 citava avanti al tribunale di Crotone G. e P.A. e, premesso di essere proprietario di un immobile sito in (OMISSIS), il cui terrazzo aveva la veduta verso l’immobile di proprieta’ delle convenute e che queste, nell’ottobre dell’anno precedente, avevano innalzato il tetto della loro casa poggiandolo sul muro di proprieta’ di esso attore senza rispettare le distanze previste a tutela della veduta diretta da lui esercitata; tutto cio’ premesso, chiedeva che, previa declaratoria di mancato rispetto delle distanze legali, condannasse le convenute alla rimozione del tetto da esse costruito, con il ripristino della preesistente situazione.

Resistevano le P., deducendo che non si trattava di nuova costruzione; ma di semplice modifica di quella preesistente, consistita nell’aver reso spiovente il tetto per rimediare alle continue infiltrazioni idriche verificatesi fra le due costruzioni;

peraltro trattandosi di muro comune, nessuna norma era stata violata.

L’adito tribunale di Crotone, espletata la CTU (che aveva accertato che il muro comune era stato sopraelevato di 30 cm), con la sentenza del 4.3.01 accoglieva in parte la domanda, condannando le P. alla riduzione in pristino stato ed a loro spese, dell’immobile di loro proprieta’ mediante la riconduzione dell’altezza nella parte in cui aderiva alla proprieta’ del R..

Avverso la stessa sentenza proponevano appello le P. deducendo che non poteva essere loro contesta la violazione dell’art. 907 c.c., comma 3, perche’ una tale distanza non era mai esistita tra i fabbricati, per cui nessun diritto di veduta era stato violato.

L’adita Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 267/05 rigettava l’appello, ribadendo che le appellanti avevano in ogni caso violato il diritto di veduta cosi’ come acquistato dal R. e cioe’ nella misura inferiore a m. 3, in quanto con la loro costruzione avevano comunque limitato le preesistente veduta “in avanti e a piombo” del proprietario del piano soprastante (il R.).

Avverso la sentenza ricorrono per cassazione le P. sulla base di un solo motivo; resiste il R. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed unico motivo del ricorso le esponenti denunziano la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto (art. 905 c.c. – art. 907 c.c., comma 3), nonche’ il difetto di motivazione.

Deducono che la corte non aveva motivato sulla questione relativa alla distanza tra il tetto delle convenute e la veduta del R., che non era mai stata di 3 m., ma di soli trenta cm. La doglianza e’ infondata avendo la corte affermato che la preesistenza di una distanza di soli trenta centimetri “non assume ai fini che qui interessano, alcun decisivo rilevo” e, pur richiamando la distanza di tre metri prevista dall’art. 907 c.c. ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva imposto il ripristino della preesistente situazione di fatto.

Sostengono inoltre le esponenti non era applicabile l’art. 907 c.c., comma 3 in quanto nella fattispecie la veduta esercitata dal R. non era posta a distanza inferiore di 3 metri, ma solo a 30 cm., quindi questi non aveva il diritto di veduta in quanto una distanza di tre metri tra i fabbricati non era mai esistita: di conseguenza il diritto delle ricorrenti a innalzare il muro comune poteva ben essere esercitato.

La doglianza e’ infondata.

Invero la servitu’ di veduta o prospetto, goduta – come nella fattispecie – dal proprietario di un edificio sul sottostante tetto a piano inclinato dell’edificio contiguo, impedisce qualsiasi innalzamento del tetto, che incida negativamente sull’esercizio del diritto di veduta nella sua naturale espansione, anche se la distanza tra il fondo dominante e quello servente, per una situazione di fatto consolidata, risulti gia’ inferiore ai limiti stabiliti dalla legge (art 907 c.c.) (Cass. n. 1555 del 11/06/1963). Peraltro la giurisprudenza di questa S.C. ha ribadito che In ipotesi di nuova costruzione, l’obbligo della distanza in verticale di 3 metri dalla soglia delle vedute esistenti nel fabbricato del vicino va osservato in ogni caso, senza alcuna distinzione tra costruzioni in appoggio e costruzioni in aderenza, (Cass. n. 4976 del 18/04/2000).

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. La soccombenza comporta la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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