Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7769 del 09/04/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/04/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 09/04/2020), n.7769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19620/2015 proposto da:

R.N., T.A. e T.M., rappresentati e

difesi dall’avv. Armando Fergola ed elettivamente domiciliati presso

il suo studio in Roma, Via G. Nicotera n. 29;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– resistente –

avverso la sentenza n. 574/22/2015 della Commissione tributaria

Regionale del Lazio, sezione di Roma, depositata il 3/2/2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2020

dal Consigliere Dott. Stefano Pepe.

Fatto

RITENUTO

Che:

1. Con avviso di rettifica e liquidazione di imposta l’Agenzia dell’entrate revocava ai contribuenti, parte venditrice di una porzione immobiliare sita nel Comune di Grottaferrata, le agevolazioni fiscali prima casa in ragione della natura di lusso del bene e, in particolare, del fatto che sulla base di una relazione dell’Agenzia del Territorio si era accertato che esso aveva una superficie superiore ai 240 mq., indicata dal D.M. 2 giugno 1969, art. 6, quale limite per godere delle agevolazioni richieste.

2. Avverso tale avviso i contribuenti proponevano ricorso deducendo la carenza di motivazione dell’avviso e la insussistenza del superamento dei limiti di superficie sopra indicati.

3. La CTR, con sentenza n. 574/22/15 depositata il 3/2/2015, confermava la sentenza di primo grado e, per l’effetto, rigettava il ricorso introduttivo dei contribuenti

4. Avverso tale sentenza R.N., T.A. e T.M. propongono ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

5. L’Agenzia dell’entrate non si è costituita nei termini di legge.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. I ricorrenti con un unico articolato motivo censurano la sentenza emessa dalla CTR per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, dell’art. 2697 c.c., del D.M. 2 agosto del 1969, art. 6 e delle norme poste a presidio dell’onere di motivazione degli atti amministrativi e, in particolare, con riferimento alla eccepita cessione di due distinte unità abitative.

I ricorrenti, quanto alla prima parte della censura, lamentano che la CTR ha “obliterato il mancato assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio finanziario” non potendosi esso ritenersi assolto con il mero richiamo contenuto nell’avviso impugnato del parere dell’Agenzia del territorio il quale non assurge ad elemento di prova idoneo a fondare la valutazione di lusso dell’immobile oggetto di compravendita.

Il richiamo al suindicato parere oltre a comportare l’omessa prova da parte dell’Ufficio in ordine alla pretesa avanzata costituisce, a parere dei ricorrenti, anche un vizio di motivazione dell’atto impugnato, con conseguente violazione del loro diritto di difesa.

Quanto alla seconda parte della censura, viene eccepita l’omessa pronuncia afferente alla contestata natura unitaria dell’immobile oggetto di cessione dovendosi, al contrario, questo considerare composto da due unità abitative e, quindi, aventi i requisiti per godere delle agevolazioni richieste.

A sostegno di tale assunto i contribuenti rilevavano che dal certificato catastale e dall’attivazione di due diverse utenze domestiche di luce e gas risultava evidente la suindicata autonomia.

2. La censura è in parte inammissibile e in parte infondata

Deve dichiararsi l’inammissibilità della censura proposta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, relativamente “all’errore di motivazione della sentenza impugnata la quale ha del tutto obliterato il mancato assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio finanziario”, avendo la CTR sul punto ritenuto l’avviso legittimo in quanto basato “sulla perizia di stima redatta dal Settore Servizi Tecnici”. Con tale censura, infatti, i contribuenti sostanzialmente richiedono al Collegio una nuova valutazione del compendio probatorio posto a fondamento della decisione impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto assolto l’onere probatorio in esame con il parere espresso dall’Agenzia del territorio. Tale censura è inammissibile in quanto per effetto del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione è ora limitata alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6. Pertanto laddove, come nel caso di specie, non è oggetto di contestazione la inesistenza del requisito motivazionale della sentenza impugnata, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali – acquisiti al rilevante probatorio – ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (SSUU 8053/14).

Nel merito, in via preliminare, deve osservarsi che, diversamente da quanto affermato dai ricorrenti, la CTR ha correttamente fatto applicazione dei criteri di cui al D.M. n. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, al fine di stabilire se l’abitazione oggetto di compravendita era di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi della tariffa 1, art. 1, nota 2 bis, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, assumendo all’uopo rilievo il fatto che la compravendita oggetto di accertamento era avvenuta il 29 maggio 2006.

In particolare, il D.M. 2 agosto 1969, art. 6, indica quale abitazione di lusso “le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)”.

Il D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 40, rubricato (Unità immobiliare urbana) prevede, poi, che “si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente”.

Dal combinato disposto delle norme sopra richiamate si evince che ai fini tributari rileva l’unità immobiliare, avendo questa Corte, secondo un principio pienamente condiviso dal Collegio, affermato che “Ai fini fiscali devono essere considerate abitazioni di lusso, ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 6, tutti gli immobili aventi una superficie utile complessiva maggiore di 240 metri quadrati, a nulla rilevando che si tratti di appartamenti compresi in fabbricati condominiali o di singole unità abitative” (Cass. n. 23591 del 2012).

Alla luce di quanto sopra è evidente l’errore interpretativo da cui muove la censura proposta dai contribuenti, parte venditrice, ciascuno per i propri diritti, dell’unico immobile oggetto dell’avviso di accertamento, laddove essi confondono il concetto di unità immobiliare, rilevante ai fini dell’applicazione dell’agevolazione richiesta, e quello di unità abitativa.

Nel caso di specie, infatti, non vi è dubbio che si è in presenza di un’unica unità immobiliare che per come indicato dallo stesso atto di compravendita oggetto di accertamento, riportato nel ricorso, che risulta contraddistinta da “una porzione immobiliare (…) costituita da un fabbricato per due unità abitative sviluppatesi ai piani terra e primo per complessivi vani 14,5 catastali (…)” rispetto alla quale è irrilevante, ai fini del giudizio, la circostanza che essa sia costituita da due unità abitative.

Sul punto la CTR ha, poi, evidenziato che “l’immobile ha una superficie superiore a 240 mq, come risulta dai dati catastali; è ubicato in zona caratterizzata da abitazione in ville; consta di 19,5 vani”.

Va, infine, osservato che del tutto infondata è la censura relativa ad un presunto vizio motivazionale dell’avviso impugnato. Nello stesso ricorso, infatti, si dà conto che l’avviso indicava che la pretesa era dovuta al fatto che l’immobile “è da considerarsi di lusso, (…) ai sensi della normativa prevista dal D.M. 2 agosto 1969 per effetto di quanto disposto dall’art. 6, che comprende le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq 240 (esclusi balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale ed il posto auto”, per come indicato dalla nota dell’Agenzia del Territorio del 28/11/2008 allegata. Tale indicazione soddisfa pienamente l’obbligo motivazionale invocato dai contribuenti.

5. Nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello spettante per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2020

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