Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7765 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. III, 30/03/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 30/03/2010), n.7765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA ADRIANA 11, presso lo studio dell’avvocato PIERMARTINI

SALVATORE, rappresentata e difesa dall’avvocato IPPOLITO GIUSEPPE

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S. (OMISSIS) titolare dell’omonima ditta,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 170, presso lo

studio dell’avvocato MANZELLA BRUNO, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 499/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, 2^

SEZIONE CIVILE, emessa il 7/6/2004, depositata il 13/07/2004, R.G.N.

1534/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/01/2010 dal Consigliere Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato BRUNO MANZELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.P. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Catania – Sezione distaccata di Paterno – P.S. chiedendone la condanna al pagamento di L. 15.800.000 per restituzione di canone non dovuto per l’uso di un locale che asseriva essere compreso nel comodato intervenuto tra le parti, di L. 7.158.497 per cali carburante, di L. 8.554.000 per monetizzazione per il pagamento avvenuto in contanti e L. 6.536.000 per CIPREG. Con sentenza in data 3 aprile 2003 il Tribunale adito condannava il P. a corrispondere alla C. solo gli interessi sulla somma dovuta a titolo di CIPREG, versata in corso di causa, mentre rigettava le altre domande.

Con sentenza in data 7 giugno – 13 luglio 2004 la Corte d’Appello di Catania rigettava il gravame della C..

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: l’appellante aveva ragione ad affermare che il contratto di comodato includesse nell’impianto concesso a tale titolo anche i locali destinati al ricovero del comodatario e della merce in vendita, ma la prova da lei addotta per dimostrare l’asserito pagamento di un canone in relazione a detti locali era inammissibile perchè in contrasto con l’art. 2722 c.c.; infatti il casotto all’origine della controversia doveva essere ritenuto oggetto del contratto di comodato e, quindi, un contrario accordo non poteva essere provato per testi.

Avverso la suddetta sentenza la C. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi, illustrati con successiva memoria.

Il P. ha resistito con controricorso e presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2721 e 2722 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. L’assunto è che dalla motivazione della sentenza impugnata non si comprende quale motivo d’inammissibilità la Corte territoriale abbia ritenuto fondato: se quello previsto dall’art. 2721 c.c., oppure quello di cui al successivo art. 2722 c.c..

La censura, nei limiti in cui è stata proposta, risulta manifestamente infondata. Come si evince dalla sintesi sopra effettuata, in realtà la ricorrente non contesta l’errata applicazione delle norme sostanziali indicate, ma si limita a sostenere che la sentenza non ha chiarito quale delle due abbia inteso applicare.

Contrariamente all’assunto, la Corte territoriale, premesso che il P. aveva sollevato entrambe le eccezioni, ha poi spiegato di condividere quella basata sull’art. 2722 c.c. (“e sotto tale profilo l’eccezione è fondata”), come confermato dall’affermazione successiva, secondo cui un eventuale accordo contrario al contratto di comodato non poteva essere provato per testi.

Il primo motivo è, dunque, infondato.

Con il secondo motivo la C. denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2721 e 2722 c.c. e dell’art. 157 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

Le argomentazioni concernenti l’art. 2721 c.c., sono irrilevanti ai fini della decisione poichè, come sopra accertato, tale norma non è stata applicata dalla sentenza impugnata.

Il tema della falsa applicazione dell’art. 2722 c.c., viene sviluppato con riferimento alla tardività dell’eccezione sollevata dal P.. Effettivamente, dallo stesso testo della sentenza impugnata risalta che, a differenza dell’eccezione relativa all’art. 2721 c.c., quella in esame venne formulata per la prima volta nel giudizio d’appello, a fronte di una prova assunta in primo grado.

Orbene, è orientamento giurisprudenziale costante (confronta, per tutte, le recenti Cass. n. 11706 del 2009; Cass. n. 19942 del 2008 e Cass. n. 9925 del 2006) che le limitazioni poste dagli artt. 2721 e segg. c.c., all’ammissibilità della prova testimoniale non attengono a ragioni di ordine pubblico, ma sono dettate a tutela di interessi di natura privatistica; pertanto, la loro violazione, non solo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma neppure è rilevabile dalle parti ove non sia stata dedotta in sede di ammissione della prova, ovvero nella prima istanza o difesa successiva o, quanto meno, in sede di espletamento della stessa.

Il resistente, sulla scorta proprio del precedente di questa stessa sezione citato dalla controparte (Cass. Sez. 3^, n. 4690 del 1999), obietta che il principio enunciato trova deroga nel caso in cui la scrittura sia imposta dalla legge a pena di nullità, cioè non per la prova, ma per l’esistenza stessa del contratto.

Nello stesso senso questa Corte successivamente (Cass. n. 11389 del 2005; Cass. n. 144 del 2002) ha chiarito che, mentre in materia di atti e contratti per i quali sia richiesta ad substantiam la forma scritta, eccettuata l’ipotesi della perdita incolpevole del documento (art. 2724 c.c.), è inammissibile la prova testimoniale dell’esistenza del negozio e tale inammissibilità può essere dedotta in ogni stato e grado del giudizio ed essere rilevata anche d’ufficio, per quanto riguarda, invece, gli atti e i contratti per i quali la forma scritta sia richiesta soltanto ad probationem l’inammissibilità della prova testimoniale non attiene all’ordine pubblico, ma alla tutela di interessi privati e quindi non può essere rilevata d’ufficio e deve, invece, essere eccepita dalla parte interessata, entro il termine dell’art. 157 c.p.c., comma 2, nella prima istanza o difesa successiva al suo configurarsi.

Il P. sostiene che il caso di specie rientra in tale previsione in forza del D.L. 26 ottobre 1970, n. 745 e del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32. Ma il primo, che ha per oggetto provvedimenti straordinari per la ripresa economica, regola all’art. 16, tra l’altro, il comodato degli impianti di distribuzione di carburante ma non contiene alcun riferimento all’atto scritto. Il secondo, avente ad oggetto la razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, regola all’art. 6, art. 6 bis e art. 7, l’affidamento da parte del titolare dell’autorizzazione della gestione degli impianti ad altri soggetti, ma neppure esso impone la forma scritta ad substantiam per il contratto inter partes (entrambi gli strumenti normativi prevedono, invece, le opportune comunicazioni alle autorità competenti).

L’art. 1350 c.c., indica analiticamente, ai nn. da 1 a 12, gli atti che esigono la forma scritta, poi, al n. 13, opera un rinvio alle leggi che li indicano espressamente.

In mancanza di una norma specifica, i contratti come quello de quo richiedono la forma scritta solo ad probationem, con le vedute conseguenze ai fini della proponibilità dell’eccezione in esame.

Pertanto il secondo motivo va accolto con assorbimento del terzo, del quarto e del quinto.

La sentenza va, quindi, cassata con rinvio alla medesima Corte territoriale in composizione diversa. Il giudice di rinvio, che provvederà pure alle spese del giudizio di Cassazione, dovrà compiere una nuova valutazione delle risultanze processuali alla stregua dei principi enunciati.

PQM

Rigetta il primo motivo; accoglie il secondo, assorbiti gli altri.

Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

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