Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7762 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. II, 30/03/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 30/03/2010), n.7762

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 40, presso lo studio dell’avvocato MINUCCI

FRANCO, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANINI PIERLORENZO;

– ricorrente –

contro

O.B. (OMISSIS), R.M.

(OMISSIS), P.U. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA VAL GARDENA 35, presso lo studio

dell’avvocato DI LORETO CRISTINA che li rappresenta e difende con

procura speciale del 29/01/2010 rep. 135753, in sostituzione

dell’avvocato JUVARA ANTONINO deceduto nelle more;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 744/2004 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/02/2010 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato Celesti Valerio, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato STEFANINI Pierlorenzo, difensore della ricorrente che

ha chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Cristiana DI LORETO, difensore dei resistenti che ha

chiesto di riportarsi al controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

O.G. conveniva dinanzi al Tribunale di Bergamo O.B., R.M. e P.U. esponendo che:

era proprietaria di un appartamento nel condominio sito al n. (OMISSIS) di via (OMISSIS); i convenuti, a loro volta proprietari di altre due unità immobiliari site al secondo (quella di O.) e al primo piano (quella degli altri convenuti) dello stesso edificio, avevano realizzate opere di modificazione delle balaustre dei balconi dei loro appartamenti in violazione degli impegni da loro assunti con gli altri condomini in forza di una precedente scrittura privata e comunque in palese difformità con l’estetica degli altri balconi, con conseguente pregiudizio per il decoro architettonico dell’edificio nel suo complesso.

Pertanto, l’istante chiedeva che i convenuti fossero condannati a eliminare le parti in cemento delle dette balaustre e a uniformare le stesse, per disegno e materiale, alle altre del condominio.

Si costituivano i convenuti, deducendo la carenza di legittimazione attiva dell’attrice perchè costei era divenuta proprietaria dell’appartamento solo nel (OMISSIS) e cioè allorquando i lavori di rifacimento dei balconi erano ormai stati ultimati. Tali lavori, d’altra parte, erano stati autorizzati con deliberazione unanime dell’assemblea condominiale del (OMISSIS) che aveva piena efficacia anche nei confronti degli aventi causa dagli originari e che, peraltro, non era mai stata impugnata da alcuno. Nessuna alterazione del decoro architettonico dell’edificio poteva poi imputarsi alle caratteristiche dei nuovi balconi, tenuto anche conto del modesto pregio architettonico dell’edificio.

Il Tribunale, con sentenza in data 17 novembre – 11 dicembre 2001, pur ravvisando che l’intervento edilizio non aveva in alcun modo deturpato o significativamente alterato il decoro architettonico dello stabile, dichiarava il difetto di legittimazione attiva dell’attrice che veniva condannata alle spese in favore dei convenuti.

Con sentenza dep. il 16 settembre 2004 la Corte di appello di Brescia rigettava l’impugnazione proposta dall’attrice.

Dopo avere ritenuto, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale, che l’attrice, quale condomina, era legittimata ad agire per denunciare l’asserita violazione del decoro architettonico del fabbricato per effetto delle innovazioni eseguite dai convenuti, rigettava la domanda sul rilievo che tali opere, consistite nell’allungamento dei due balconi sovrapposti chiusi alle estremità da spallette in cemento, non erano tali da creare nel poco pregiato e ordinato contesto architettonico dell’edificio disarmonie atte a ripercuotersi, anche in misura limitata, sul valore economico dell’edificio: premesso che l’allungamento sulla facciata nord dei balconi esistenti sul lato est era stato autorizzato all’unanimità e non costituiva oggetto di doglianza, i giudici rilevavano che – per quanto riguardava la finitura cementizia sul lato nord – il motivo architettonico, seppure non raffinato, trovava riscontro nella tipologia edilizia di edifici di tipo popolare in cui è frequente che il parapetto delle balconate sia realizzato in parte a muretto e in parte a ringhiera ed era caratterizzato da indubbia simmetria di linee per il ripetersi di un modulo ordinato e non avulso dalla tipologia nella quale era inserito; per quanto riguardava la facciata sul lato est, andavano considerate le particolarità costruttive dell’edificio, caratterizzato dal susseguirsi di tipologie eterogenee, dall’uso di materiali e di colori diversi Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione la O. sulla base di un unico motivo illustrato da memoria.

Resistono con controricorso gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1120 cod. civ. e art. 115 cod. proc. civ., comma 2, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5), deduce che la motivazione della sentenza impugnata collideva con i principi che regolano la tutela del decoro architettonico di cui all’art. 1120 cod. civ., che è invocabile, quando vi sia: un’ alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell’edificio o anche di sue singole parti o elementi dotati di autonomia; una conseguente diminuzione di valore dell’intero edificio.

La sentenza aveva omesso di verificare tali circostanze, posto che avrebbe dovuto accertare se: la parte di edificio interessata (i balconi) avesse originariamente unitarietà di linee e di stile e fosse stata alterata dall’innovazione; su detti balconi avessero inciso precedenti innovazioni; la sentenza aveva proceduto a una valutazione del tutto personale, senza accentrare la sua attenzione sulla parte dello stabile costituita dai balconi edificati all’origine con balaustre in colonne metalliche sottili, erroneamente facendo riferimento agli immobili di tipo popolare degli anni ’50 e ’60, mentre il fabbricato in questione era stato edificato negli anni ’90. I Giudici avrebbero dovuto verificare se la innovazione avesse procurato un vantaggio a chi l’aveva realizzata, essendo del tutto irrilevante se, come affermato in sentenza, il nuovo insieme architettonico fosse dignitoso e non eccessivamente dissonante; la sentenza si era rivelata contraddittoria laddove, pur avendo affermato che era lecito dubitare della sua concreta utilità, non aveva ritenuto la diminuzione di valore dell’immobile; la Corte, in violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., aveva fondato la decisione sul personale apprezzamento dello stato dei luoghi quale risultante dalle fotografie allegate dalla ricorrente, non potendo assumere rilievo le nozioni di comune esperienza o la scienza personale del giudice, mentre non aveva adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio.

Il motivo è infondato.

La sentenza, nel respingere la domanda proposta dall’attrice, si è attenuta ai principi in tema di tutela del decoro architettonico dell’edificio condominale tenuto conto che, ai sensi dell’art. 1120 cod. civ., è necessario che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità:

evidentemente non può configurarsi la lesione del decoro architettonico quando l’edificio per le caratteristiche costruttive ovvero per il degrado sia privo di una fisionomia che gli conferisca una propria specifica identità(Cass. 14455/2009; 8830/2008.

Pertanto, i giudici di appello hanno accertato, in relazione alle caratteristiche dell’edificio di tipo popolare e al contesto architettonico poco pregiato ed ordinato, che le innovazioni non erano in grado di alterare la struttura e l’armonia dell’edificio, determinando un pregiudizio economico apprezzabile. Al riguardo hanno compiuto una analitica disamina di quelle che erano le caratteristiche dell’edificio: per quanto riguardava la facciata lato nord, in cui era stata prolungata la propaggine dei balconi esistenti sul lato est e ne era stata realizzata la chiusura all’estremità con spalletta in cemento in sostituzione di quella in metallo che caratterizzava la restante parte della ringhiera, la realizzazione di tali manufatti era caratterizzata da un indubbia simmetria di linee, dal ripetersi di un modulo ordinato e non avulso dalla tipologia nel quale essi erano inseriti; per quanto concerneva il lato est, era evidenziata in modo particolare la scarsa incidenza dell’avvenuta chiusura in cemento alla loro estremità dei predetti balconi, in considerazione della scarsa armonia architettonica dell’edificio, in considerazione: delle diversa tipologia degli altri balconi, caratterizzati da particolarità costruttive e da forme del tutto difformi da quelle dei balconi sui quali vi erano stati gli interventi; dalla presenza di materiali, colorazioni del tutto eterogenei.

Il riferimento alla mancata utilità arrecato dall’opera è del tutto ininfluente quando, come nella specie, sia accertato che l’intervento non abbia alterato il decoro architettonico dell’edificio e, conseguentemente, nessun pregiudizio esso abbia arrecato.

In effetti, la Corte ha compiuto, nell’ambito dei poteri riservati al giudice di merito, la valutazione necessaria per stabilire se si fosse verificata o meno la alterazione del decoro architettonico dell’edificio, correttamente ponendo a fondamento della propria decisione, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., comma 1, la documentazione fotografica prodotta in giudizio dalla stessa ricorrente che è stata utilizzata al fine di accertare le caratteristiche obiettive del fabbricato e l’incidenza quindi su di esso delle innovazioni, per cui appare del tutto fuori luogo il riferimento compiuto dalla ricorrente alle nozioni di comune esperienza o alla scienza personale del giudice.

Il rigetto della richiesta di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio che è un provvedimento riservato alla discrezionalità del giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità se, come nella specie, è correttamente motivato, posto che i Giudici ne hanno rilevato la superfluità in relazione alla natura dell’indagine da espletare ai fini del decisione: evidentemente non si rendevano necessari accertamenti che richiedevano l’ausilio di cognizioni tecniche.

In realtà, le doglianze, pur facendo riferimento a violazioni di legge e a vizi di motivazione, da cui la sentenza è immune, si risolvono nella censura dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, che è evidentemente oggetto dell’indagine di fatto riservata al giudice di merito.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico della ricorrente, risultata soccombente.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei resistenti delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

 

 

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