Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7762 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/04/2011, (ud. 14/01/2011, dep. 05/04/2011), n.7762

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 7880/2010 proposto da:

L.F.A. (OMISSIS), L.F.R.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA M. DIONIGI

57, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA DE CURTIS, rappresentati e

difesi dagli avvocati BONELLI ENRICO, TOSCANO GIANFRANCO giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

L.F.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA PIEVE DI CADORE 30, presso lo studio dell’avvocato

GUALTIERI GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato FALCONE

BRUNO giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 940/2009 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

16/7/09, depositata il 20/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO

VELARDI che nulla osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

RILEVATO CHE:

Avverso la decisione indicata in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo L.F.A. e L.F.R..

Ha resistito l’intimato.

Nominato, ai sensi dell’art. 377 c.p.c., il consigliere relatore ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., ritenendo che il ricorso fosse da rigettare per manifesta infondatezza.

Il resistente ha depositato memoria illustrativa.

Il Procuratore Generale ha concluso: “nulla osserva”.

OSSERVA:

Vanno condivise le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione che di seguito si riporta:

“1. L.F.S. conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Nocera Inferiore L.F.N. chiedendone la condanna alla demolizione delle costruzioni dal medesimo realizzate a distanza illegale.

Il convenuto resisteva e, in via riconvenzionale, chiedeva la demolizione delle opere in corso di costruzione.

Il tribunale condannava entrambe le parti a demolire le costruzioni rispettivamente realizzate a distanza illegale, rigettando la riconvenzionale sul rilievo che il c.t.u. non aveva accertato l’esistenza di opere in corso di realizzazione.

La sentenza era in parte riformata in sede di gravame laddove, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’attore, era dichiarata inammissibile la domanda di demolizione, proposta dal convenuto nel corso di causa in sede di precisazione delle conclusioni e relativa alle costruzioni realizzate nel 1977 (e non oggetto dell’originaria domanda riconvenzionale), sul rilievo che tale richiesta integrasse una mutatio libelli non consentita.

Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo gli eredi di L.F.N..

Ha resistito l’intimato.

2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., essendo manifestamente infondato.

L’unico primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c., nel testo previgente alla modifica della L. n. 353 del 1990, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), censura la decisione gravata che aveva erroneamente applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di mutamento della domanda, atteso che nella specie il giudizio di primo grado e l’indagine condotta con la consulenza tecnica d’ufficio avevano avuto ad oggetto l’esistenza di ulteriori situazioni lesive fondale su presupposti identici a quelli prospettati con la domanda riconvenzionale ovvero la violazione delle distanze legali rispetto alla quale la controparte aveva avuto la possibilità di difendersi, per cui si versava nell’ipotesi di emendatio libelli consistita nell’estensione meramente quantitativa del bene richiesto.

Il motivo è infondato.

Occorre ricordare che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, si configura la mutatio libelli vietata in primo grado dagli artt. 183 e 184 c.p.c., quando la parte immuti l’oggetto della pretesa (inteso non come petitum immediato, cioè come il provvedimento richiesto al giudice, sibbene come petitum mediato, che riguarda il conseguimento di un determinato bene giuridico) ovvero introduca nel processo, attraverso la immutazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione, un tema di indagine e, quindi, di decisione, completamente nuovo perche fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio e tali da disorientare la difesa predisposta dalla controparte e da alterare, pertanto, il regolare svolgimento del contraddittorio. Nella specie, è appena il caso di accennare, il petitum sostanziale è rappresentato dal bene della vita in relazione al quale era chiesta la demolizione, per cui erano ulteriori e diversi ì manufatti in relazione ai quali era ampliata la domanda così come mutati erano i fatti posti a base della relativa pretesa (causa petendi) ovvero la inosservanza delle distanze legali che andava evidentemente verificata in riferimento a questi ultimi immobili, diversi rispetto a quelli oggetto della originaria riconvenzionale.

Irrilevante è la circostanza dedotta dal ricorrente secondo cui l’indagine in concreto espletata dal consulente aveva riguardato anche gli immobili in oggetto e che la controparte era stata posta in grado di difendersi, atteso che la parte intanto può ritenere necessario esperire la propria difesa in quanto si tratti di circostanze di fatto e di accertamenti che rientrino nel thema decidendum che è individuato dalla domande ritualmente proposte nel giudizio, giacchè, in relazione a fatti o a indagini estranee ad esso, non sarebbe esigìbile l’onere previsto dall’art. 167 c.p.c., che pone a carico del convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti posti da controparte a fondamento della domanda”.

Pertanto, il ricorso deve essere e rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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