Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7760 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. II, 30/03/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 30/03/2010), n.7760

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.R. (OMISSIS), S.C.

(OMISSIS), S.E. (OMISSIS),

S.A.C. (OMISSIS), F.V.

(OMISSIS), (elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato CATALANO NICOLA;

– ricorrenti –

contro

C.F.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VICOLO ORBITELLI 31, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTE

MICHELE, rappresentato e difeso dall’avvocato DI CARO FRANCESCO

PAOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 130/2004 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 17/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/02/2010 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato CATALANO Nicola, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto di riportarsi al ricorso;

udito l’Avvocato CLEMENTE Michele con delega depositata in udienza

dell’Avvocato DI CARO Francesco Paolo, difensore del resistente che

ha chiesto di riportarsi anch’egli;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.F.P. convenne dinanzi al Tribunale di Matera S.R., S.E., S.S., S.C., S.A.C. e F.V. per sentire: 1) dichiarare che i convenuti non avevano alcun diritto di asservire il suolo condominiale costituente cortile comune annesso all’edificio in (OMISSIS) alla via (OMISSIS), in cui l’istante era titolare di un unità immobiliare, a favore del suolo di loro esclusiva proprietà retrostante l’edificio medesimo, per l’accesso ai locali costruiti su quest’ultimo suolo e di chiudere la parte del cortile condominiale retrostante l’edificio sito in (OMISSIS) alla via (OMISSIS) con due cancelli in ferro impedendone il libero e pieno godimento all’istante; 2) condannarsi i convenuti in solido a mettere il cortile in pristino stato e, in particolare, a rimuovere immediatamente i due cancelli e ogni altra opera da essi costruita sul suolo-cortile condominiale annesso all’edificio di via (OMISSIS); 3) condannarsi in solido i predetti convenuti a risarcire i danni subiti e subendi dall’attore per il mancato godimento del suolo- cortile e per le più gravose spese di manutenzione ordinaria e straordinaria derivanti dalla maggiore usura del cortile, da liquidare secondo equità.

L’istante espose che i convenuti avevano creato illegittimamente una servitù di passaggio sul cortile condominiale attraverso il quale transitavano per accedere ai garage ubicati nella loro proprietà esclusiva; avevano installato due cancelli che impedivano l’esercizio dei diritti condominiali.

Si costituirono i convenuti, deducendo la carenza di legittimazione attiva del C., in quanto lo stesso con atto 19/8/61 aveva alienato il suo diritto condominiale relativo a detto cortile in favore di S.V. e M.D.; che il loro immobile godeva di servitù per destinazione di padre di famiglia o anche per usucapione in quanto l’accesso al suolo edificato era avvenuto sempre attraverso la fascia di terreno antistante, di proprietà condominiale.

In ulteriore subordine, i convenuti sostennero che per la interclusione del fondo, andava imposta servitù coatta, con determinazione dell’indennizzo.

Sostennero infine i convenuti che per i cancelli in ferro la opera era stata necessitata al fine di evitare l’accesso a drogati e comunque avevano offerto la chiave all’attore.

Con sentenza n 750/00 il Tribunale di Matera accolse la domanda, ritenendo che il suolo sul quale erano stati edificati i locali di proprietà dei convenuti non aveva accesso dal cortile condominiale, dal quale era stato separato con la convenzione del 19/8/61, intercorsa fra le parti ed aveva una diversa quota, che rendeva impossibile la servitù di passaggio. Respinse l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, avendo il C. alienato solo i diritti condominiali proporzionali alle quote vendute. Non era risultato provato, inoltre, l’acquisto della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia o per usucapione.

Con sentenza dep. il 22 giugno 2004 la Corte di appello di Potenza rigettava l’impugnazione proposta dai convenuti.

Per quel che ancora interessa nella presente sede i giudici, nel qualificare come vendita e non come permuta l’atto del (OMISSIS), rilevavano che con il predetto atto il C. aveva ceduto alla controparte una zona di terreno, di forma triangolare, di mq. 326, prospiciente via Cimitero e delimitata da un erigendo muretto e da una realizzanda scarpata dalla parte anteriore del lotto, quest’ultima prospiciente via (OMISSIS), parte anteriore contenente un fabbricato (il cui piano terreno restava di proprietà degli alienanti) contornato da cortile condominiale di mq. 257,50, sicchè con la vendita de qua l’originario unico lotto appartenente all’alienante era stato scisso in due appezzamenti, l’uno divenuto condominiale, l’altro retrostante di proprietà esclusiva degli acquirenti: questi ultimi, quali comproprietari del lotto antistante, non avrebbero potuto utilizzare il cortile condominiale a vantaggio del fondo di proprietà esclusiva: agendo, al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 1102 cod. civ., avrebbero imposto una servitù sulla cosa comune, per la cui costituzione sarebbe stato necessario il consenso degli altri condomini; quindi, era respinta l’eccezione di carenza di legittimazione attiva sul rilievo che, ove fosse stata in via esclusiva ceduta la proprietà del cortile, non avrebbe avuto senso parlare di diritti di condominio sul suolo,ma come operato ai punti 1) e 2) del citato rogito, si sarebbe fatto riferimento al suolo circostante il fabbricato: il che comportava che il C. era titolare del rapporto dedotto in giudizio.

Avverso tale decisione propongono ricorso per Cassazione S. R., S.E., S.C., S. A.C. e F.V. sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’intimato, il quale ha formulato istanza di rimessione alle Sezioni Unite laddove si ritenesse di riscontrare nella giurisprudenza di legittimità un contrasto circa il divieto di imposizione di servitù sulla cosa comune a favore di proprietà esclusiva del condomino estranea all’edificio condominiale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentando erronea e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., deducono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, il C. aveva ceduto il diritto d’uso sulla zona cortilata, per cui avendone perduto la disponibilità il medesimo non è legittimato ad agire, non avendo i ricorrenti posto in discussione il diritto di condominio.

Il motivo va disatteso.

In primo luogo, va considerato che l’eccezione sollevata dai convenuti, concernendo la titolarità in capo all’attore del diritto azionato, non concerneva una questione di legittimazione ad agire, atteso che la “legitimatio ad causam”, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore: da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, che attiene al merito della lite.

Peraltro, la questione sollevata con il ricorso per Cassazione, con cui si deduce che il C. aveva ceduto il diritto d’uso del cortile perdendone la disponibilità, ha il carattere della novità e, come tale, è inammissibile in sede di legittimità posto che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, i convenuti avevano dedotto che la proprietà del suolo condominiale sarebbe stata ceduta dall’attore: ed invero la sentenza impugnata, nell’interpretare l’atto del (OMISSIS), ha escluso che l’attore avesse ceduto la proprietà del suolo condominiale, avendo alienato le quote del diritto di condominio proporzionali alle unità immobiliari alienate.

Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120 cod. civ., deducono che le chiavi dei due cancelli, installati per impedire la presenza di estranei nella parte retrostante del fabbricato, erano state rifiutate dal C., che non era stato interpellato posto che il miglior uso del cortile utilizzato dai ricorrenti che, in qualità di condomini vi transitano per accedere ai locali adibiti a garages ovvero alla loro proprietà esclusiva, seppure rappresenterebbe un uso leggermente diverso per ricavarne una ulteriore utilità specifica, rientra nell’ambito della facoltà consentite ai condomini dall’art. 1102 cod. civ., perchè non produce alterazione della cosa comune o impedisce va ad altri il pari uso nè determina la costituzione di servitù.

Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando carente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5), censurano la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che il C. ben avrebbe potuto impedire ai ricorrenti di esercitare una servitù di passaggio sull’area cortilata. In realtà, l’attuale facoltà di passare con l’auto sull’arca condominiale per accedere ai retrostanti ed esclusivi garage dimostra il diritto dei ricorrenti di utilizzare l’area che implica la possibilità di ulteriori utilizzazioni; la Corte non aveva valutato se detto passaggio costituisca pregiudizio per l’area cortilata; la sentenza era contraddittoria laddove aveva ritenuto che i ricorrenti avrebbero imposto una servitù di passaggio sulla cosa comune senza il consenso di tutti i condomini, tenuto conto che i predetti non avevano inteso cambiarne la destinazione ma migliorarne il godimento: il che non rendeva necessario il consenso anche del C. che aveva ceduto il diritto d’uso; essi ricorrenti avevano esercitato le facoltà consentite dai condomini che, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., possono ritrarre dalla cosa ogni possibile utilità nel rispetto dei limiti sanciti da tale norma, secondo quanto al riguardo statuito dalla giurisprudenza della Suprema Corte.

I motivi, che vanno esaminati congiuntamente stante la loro connessione, sono infondati.

in primo luogo, va rilevato che la questione relativa alla legittima installazione dei cancelli, non essendo stata in alcun modo trattata dalla decisione impugnata, ha carattere di novità e, come tale, è inammissibile in sede di legittimità: i ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare di avere formulato la questione in sede di gravame, denunciando l’omesso esame da parte del Giudice di appello.

Le altre censure pongono la questione se: il condomino, nell’esercizio dei poteri a lui spettanti ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., possa usare il bene comune a vantaggio di un bene di proprietà esclusiva estraneo all’edificio condominiale.

Va innanzitutto disattesa l’istanza di rimessione alle Sezioni Unite formulata al riguardo dal resistente, dovendo ritenersi consolidato l’orientamento della Suprema Corte (condiviso dal Collegio) che esclude siffatto potere (isolato, in senso contrario, è il precedente n. 8591 del 1999 richiamato dai ricorrenti), mentre le altre decisioni di legittimità pure citate fanno riferimento all’ipotesi in cui l’utilizzazione dei beni comuni avvenga a vantaggio della proprietà esclusiva ubicata nel fabbricato condominiale.

Occorre al riguardo chiarire che, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., al condomino è consentito l’uso della cosa comune più intenso ed anche diverso da quello degli altri comproprietari purchè non ne alteri la destinazione ed impedisca agli altri comunisti di farne parimenti uso. Ai fini di stabilire se sia alterata o meno la destinazione della cosa comune ovvero se la sua utilizzazione rientra nel diritto di condominio e, quindi nei poteri spettanti al comunista iure proprietatis, va considerato che il condominio degli edifici si caratterizza per il rapporto di accessorietà e strumentalità fra proprietà individuali e beni comuni ubicati nel fabbricato: è, appunto, in funzione di tale rapporto che è consentita l’utilizzazione più intensa della cosa comune da parte del condomino, semprechè non siano violati i limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., nel senso che essa è finalizzata al miglior godimento della proprietà esclusiva facente parte del condominio. Pertanto, l’uso più intenso del bene comune non può consistere nell’utilizzazione compiuta dal condomino al servizio di una unità immobiliare di proprietà esclusiva che sia estranea all’edificio condominiale: in tal caso l’uso del bene comune comporterebbe un asservimento non consentito perchè determinerebbe la creazione di un peso sulla cosa comune che sarebbe gravata da una innovazione pregiudizievole ex art. 1120 cod. civ., per la quale occorre il consenso unanime degli altri condomini. Pertanto, ove il bene comune sia stato destinato anche al servizio di proprietà esclusiva estranea al condominio, l’esistenza di un diritto a tale uso non potrebbe mai trovare fonte nel diritto iure proprietatis esercitato ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. ma nella creazione di un diritto di servitù, il cui acquisto può avvenire: 1) per costituzione in base a titolo convenzionale, al quale come si è detto devono partecipare tutti i condomini, occorrendo in tal caso il consenso unanime dei condomini; 2) per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, essendo in entrambe tali ipotesi necessarie la presenza di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù.

Nella specie, la sentenza ha correttamente ritenuto illegittimo l’uso del cortile condominiale utilizzato dai ricorrenti per accedere a una loro proprietà esclusiva estranea al condominio, mentre per quel che riguarda la cessione del diritto di uso da parte del C., di cui ancora si fa cenno nel terzo motivo per dedurre che non fosse necessario il consenso del medesimo, vanno ribadite le considerazioni formulate in sede di esame del primo motivo in cui si è evidenziato come l’esame della questione sia preclusa.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

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