Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 776 del 14/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 14/01/2011, (ud. 20/10/2010, dep. 14/01/2011), n.776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI ITRI (LT), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI 21,

presso lo studio dell’avvocato EDMONDO PESCATORI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SOSCIA EZIO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

P.U. DECEDUTO;

P.G. PARTE COSTITUITASI CON C/RIC, PA.GI. PARTE

COSTITUITASI CON C/RIC, P.V. PARTE COSTITUITASI CON C/RIC,

C.M. PARTE COSTITUITASI CON C/RIC, elettivamente

domiciliati in ROMA VIA CALABRIA 56 presso lo studio dell’avvocato

TAGLIAFERRI DAVIDE rappresentati e difesi dall’avvocato DI BIASE

GIANCARLO, giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 346/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 10/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SOSCIA EZIO, che si riporta al

ricorso e richiede l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato DI BIASE GIANCARLO, che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ e 2^

motivo, assorbito il 3^.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.U. ricorreva avverso gli avvisi di accertamento emessi dal Comune di Itri per l’ICI relativa agli anni d’imposta dal 1998 al 2001, conseguenti all’omessa denuncia di un fabbricato composto da varie unità immobiliari; lamentava la totale carenza di funzionalità dello stabile, in quanto privo delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie e quindi non abitabile; chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato, in subordine la tassabilità dell’area fabbricabile e il pagamento del 50% del tributo. Il Comune resisteva rilevando che l’immobile era stato regolarmente accatastato, ultimato prima del 1997 ed in parte sin da quella data utilizzato. La C.T.P. rigettava il ricorso.

La relativa sentenza veniva impugnata dal contribuente che reiterava le proprie richieste.

La Commissione tributaria regionale, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello.

Contro tale sentenza ricorreva tempestivamente il Comune con ricorso fondato su triplice motivo, notificato al difensore dell’intimato presso il domicilio eletto dallo stesso. Resisteva con controricorso (che risulta notificato in data anteriore alla notifica del ricorso) P.V., quale erede legittima dell’intimato, deceduto il (OMISSIS), depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Alla pubblica udienza del 26.1.2010 la Corte, rilevato che risultavano eredi del contribuente deceduto la moglie e tre figli, ritenuto che alla fattispecie in esame non potesse applicarsi il principio enucleato con la sentenza delle SU. n. 26279 del 2009 (essendo la fattispecie in esame sussumibile sotto il disposto dell’art. 164 c.p.c. come modificato dalla L. n. 353 del 1990) e che il ricorso andasse proposto e notificato nei confronti degli eredi, ordinava la rinnovazione del ricorso. Ottemperata tale ordinanza si costituivano C.M., P.G., Pa.Gi. e P.V. resistendo con controricorso.

Diritto

MOTIVAZIONE

Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal ricorrente con riferimento ai ricorsi introduttivi – per essere stati sottoscritti dal contribuente e non dal difensore che si limitava esclusivamente ad autenticare la firma – e quella sollevata dai resistenti, relativa all’asserito passaggio in giudicato della sentenza resa in grado di appello.

La prima eccezione è infondata: questa Corte ha già affermato (sentenza n. 21326 del 03/10/2006, (Rv. 593256) “In tema di contenzioso tributario, la firma apposta dal difensore per l’autenticazione della procura (mandato “ad litem”) in calce al ricorso introduttivo consente di riferire al difensore stesso anche la paternità del ricorso medesimo”.

Quanto all’eccezione sollevata dai resistenti di intervenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata va, preliminarmente, ritenuta provata e sussistente, in virtù della documentazione già allegata (atto di morte di P.U., atto notorio e certificato storico di famiglia), la loro legittimazione ad processum in qualità di eredi di P.U.. Gli stessi eccepiscono l’inesistenza assoluta della notifica originaria del ricorso per cassazione perchè, pur essendo il contribuente originario deceduto dopo la pubblicazione della sentenza di appello ed in pendenza del termine per impugnare e pur essendo tale evento facilmente conoscibile da parte dell’ente, il ricorso è stato notificato presso il procuratore dell’oramai defunto P.U.; assumono conseguentemente la tardività ed inammissibilità della rinnovazione dell’integrazione,del contraddittorio, inidonea a produrre effetti sananti ex tunc, e, conseguentemente, il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

Tale eccezione è infondata. Non vi è dubbio che , come questa Corte ha già affermato, (Sez. 5, Ordinanza n. 4721 del 25/02/2008 ) “In caso di morte della parte verificatosi dopo la pubblicazione della sentenza, trovando applicazione l’art.. 328 cod. proc. civ., l’impugnazione notificata al procuratore della parte originaria anzichè al successore universale, è affetta da nullità rilevabile d’ufficio, a norma dell’art. 164 c.p.c., comma 1, trattandosi di errata identificazione del soggetto passivo della “vocatio in ius”.

Tale vizio, siccome relativo ad atto introduttivo de giudizio e comportando un’assoluta incertezza della indicazione delle parti, in difetto di specifica regolamentazione, va inquadrato (v. Cass. civ. sent. n. 13695 del 2005) tra le nullità previste e regolate dall’art. 164 c.p.c., comma 1 (Cass. 8427 del 2009). Come noto, il contenuto dell’art. 164 c.p.c. (nullità della citazione) è stato sostituito con la L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 9 il quale, per quanto interessa la decisione della presente controversia, dispone:

(comma 1) “la citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nell’art. 163 c.p.c., nn. 1 e 2 (omissis) …”; (comma 2) “se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della citazione ai sensi del comma 1, ne dispone d’ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio. Questa sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione, (omissis)”; (comma 3) “la costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al comma 2 (omissis)”. Dall’esame delle riprodotte disposizioni dell’art. 164 c.p.c. emerge che “la costituzione del convenuto” per il testo normativo anteriore” sana ogni vizio della citazione, ma restano salvi i diritti anteriormente quesiti nei casi richiamati nel comma precedente” mentre per quello posteriore “sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al comma 2”, ovverosia “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione”.(In tal senso v. S.U. n. 14699 del 2010).

Nel caso di specie la sentenza impugnata è stata notificata il 31.5.2005 al contribuente, deceduto successivamente, cioè il 26.6.2005; il ricorso per cassazione è stato notificato tempestivamente, ma al difensore del defunto; è pacifico che il processo pendeva da una data successiva al 30.4.1995 (data dalla quale trova applicazione il nuovo testo dell’art. 164 c.p.c. introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 9).

Correttamente pertanto è stata data applicazione all’art. 164 c.p.c., comma 2 che prevede che il giudice ordini la rinnovazione dell’atto introduttivo nullo, con effetto sanante ex tunc (in tal senso anche Cass. n. 8427 del 2009) in quanto, in virtù dei principi esposti, la sentenza impugnata non era passata in giudicato.

Quanto ai motivi del ricorso con il primo si denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per carenza o insufficienza della motivazione della sentenza impugnata. La censura è manifestamente fondata alla luce dei consolidati principi enucleati da questa Corte che ha già affermato: E’ noto che secondo il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 2 e 4 – la cui formulazione è quasi del tutto identica a quella dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – la sentenza della Commissione tributaria deve contenere, tra l’altro, “la concisa esposizione dello svolgimento del processo” e la “succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto”. L’art. 118 disp. att. c.p.c. -sicuramente applicabile anche al nuovo rito tributano in forza del generalissimo rinvio materiale alle norme del codice di rito civile “compatibili” operato dall’art. 1, comma 2, del predetto decreto delegato – stabilisce, tra l’altro (comma primo), che “la motivazione della sentenza di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4 consiste nell’esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione”. Le richiamate disposizioni costituiscono attuazione, anche nel processo tributario, del principio costituzionale secondo cui “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati” (art. 111 Cost.). Orbene, costituisce costante orientamento di questa Corte – condiviso dal Collegio e sicuramente pertinente anche alle sentenze del giudice tributario, in forza di quanto stabilito dalle disposizioni testè richiamate – quello, secondo cui la motivazione apparente determina la nullità della sentenza, allorquando rende impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (cfr. Cass. nn. 2711/1990, 5101/1999, 3282/1999, 1944/2001; 15951/2003; 17130/2007)”.

Alla luce di tali principi la impugnata sentenza deve considerarsi nulla in quanto la motivazione della stessa non solo non è autosufficiente (nel senso che solo dalla lettura della stessa e non aliunde sia possibile rendersi conto delle ragioni di fatto e di diritto che stanno alla base della decisione), ma è costituita da un’assiomatica espressione che, in sè considerata, risulta totalmente immotivata proprio perchè disancorata da qualsiasi precisazione in fatto ed in diritto. La motivazione della sentenza di appello consiste infatti in una petizione di principio (anche per quanto si dirà in seguito con riferimento alla C.T.U.): “La commissione esaminati gli atti e sentite le parti, ritiene di condividere le motivazioni addotte a sostegno dell’atto di appello, per cui l’appello è fondato”. Trattasi di una motivazione meramente apparente che non da conto dell’iter logico – giuridico seguito e non esamina nè affronta le eccezioni sollevate dall’agenzia, anche se le stesse vengono accennate nello svolgimento del processo, in particolare con riferimento all’esistenza di un accertamento dell’Ufficio Tecnico Comunale. Da tanto consegue l’accoglimento di tale motivo del ricorso. Anche il secondo e terzo motivo del ricorso, peraltro assorbiti dal primo, sono fondati; gli stessi possono essere esaminati congiuntamente prospettando da due angolature diverse il vizio di violazione di legge, e più esattamente con il secondo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2 con il terzo la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 con conseguente violazione del contraddittorio.

Si legge nell’impugnata sentenza “Il collegio rileva che anche alla luce della C.T.U. versata in atti si rileva chiaramente che l’immobile è intercluso e privo di strada di accesso per cui allo stato non è di fatto abitabile ed autonomo sotto il profilo funzionale.” Tale parte motiva (che con quella sopra riportata esaurisce la motivazione) è errata non potendo i giudici di merito fondare la loro decisione esclusivamente su di una C.T.U. raccolta e formata in altro processo, con distinto petitum e causa pretendi, con diverso contraddittorio; ancora è errata perchè lungi, dall’esaminare i requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2 esclude assiomaticamente l’applicabilità dell’imposta ICI in virtù di elementi estranei al processo quale, per quanto sopra detto, la C.T.U. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale di Roma, la quale procederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi ai principi sopra esposti, oltre a provvedere in ordine alle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2011

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