Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7759 del 20/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/03/2019, (ud. 04/10/2018, dep. 20/03/2019), n.7759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3588/2013 R.G. proposto da:

FIDAUTO s.r.l., in liquidazione in persona del suo legale

rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in

atti dall’avv. Luigi Quercia e dall’avv. Livia Ranuzzi presso lo

studio di quest’ultima elettivamente domiciliata in Roma, al Viale

del Vignola n. 5;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia n. 40/7/12 depositata l’11/07/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

04/10/2018 dal consigliere Succio Roberto.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’Amministrazione Finanziaria, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento per IVA 2006;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione il contribuente, con atto affidato a cinque motivi;

– Resiste l’Amministrazione Finanziaria con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza gravata per violazione dell’obbligo di motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, entrambi in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la. CTR deciso la controversia sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, mentre l’avviso di accertamento impugnato fondava le pretese dell’Amministrazione Finanziaria sulla illegittima applicazione da parte della società contribuente del c.d. “regime del margine” ad operazioni che invece andavano assoggettate al regime IVA ordinario; il motivo può esaminarsi congiuntamente con il terzo motivo di ricorso, che aggredisce la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, stante la stretta connessione tra le censure;

– i motivi sono entrambi infondati;

– invero, essi non colgono la “ratio decidendi” poichè dalla lettura della sentenza di evince con chiarezza come sia il thema decidendum sia il petitum dell’Amministrazione finanziaria individuati nell’avviso di accertamento fossero determinati e fondati sull’inosservanza da parte del contribuente dei requisiti del regime agevolato in parola, in luogo del quale doveva esser applicato il regime ordinario, ai fini del recupero IVA;

– con altrettanta evidenza si desume che la CTR ha affrontato poi anche il tema dell’onere probatorio e della utilizzabilità dei risultati in materia di indagini finanziarie, evidentemente al fine di risolvere le questioni poste dal contribuente con riferimento ad altre operazioni commerciali che, diversamente da quelle assoggettate al regime IVA agevolato c.d. “del margine” non avevano trovato riscontro nelle scritture contabili, e a fronte delle indagini dell’Ufficio non sono state oggetto di “adeguata spiegazione” da parte della società contribuente;

– in ogni modo, la mancata trascrizione in ricorso dell’avviso di accertamento, impedisce alla Corte di esaminare sul punto i motivi; essi risultano quindi anche carenti di autosufficienza;

– la motivazione del provvedimento qui impugnato, pertanto, è immune da censure;

– con il secondo motivo si aggredisce la sentenza impugnata per omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 62, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non risultando possibile cogliere il criterio logico – giuridico che ha condotto la CTR alla formazione del suo convincimento;

– il motivo è infondato;

– la CTR ha adeguatamente motivato, esplicando le ragioni poste alla base del suo decidere, in ordine all’iter logico – giuridico seguito per addivenire alla decisione, dando conto in modo del tutto convincente delle risultanze del processo e delle conseguenze discese dall’accertamento dei fatti nel contraddittorio, alla luce delle disposizioni applicabili;

– il quarto motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 5 e art. 47, come convertito in L. 427 del 1993 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto non adeguatamente diligente il comportamento della società contribuente nel verificare la sussistenza dei requisiti per l’applicazione del regime c.d. “del margine”;

– il motivo è infondato;

– E’ noto come sia in primo luogo il diritto Eurounitario, specie nella sentenza resa dalla Corte di Giustizia nel caso Litdana (causa C-624/15 del 18 maggio 2017) ad affermare che le autorità fiscali di uno Stato membro non possono negare “a un soggetto passivo, che abbia ricevuto una fattura sulla quale vi sia menzione tanto del regime del margine quanto dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA), il diritto di applicare il regime del margine, anche qualora da una successiva verifica effettuata da dette autorità emerga che il soggetto passivo – rivenditore, fornitore dei beni d’occasione, non aveva effettivamente applicato detto regime alla cessione dei beni di cui trattasi, a meno che le autorità competenti non dimostrino che il soggetto passivo non ha agito in buona fede o che non ha adottato tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo coinvolga in un’evasione tributaria, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”. Nel fare applicazione del principio di cui si è detto questa Corte ha recentemente tratteggiato il perimetro all’interno del quale – nel diritto domestico – le affermazioni della Corte di Giustizia debbono trovare attuazione sostanziale a processuale (Corte cass. SS. UU. N. 21105 del 12 settembre 2017). Nel caso che ci occupa, la sussistenza o meno dell’adeguata diligenza richiesta risulta esser stata oggetto di disamina da parte del giudice dell’appello. Non è infatti contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede e adotti questo il punto che qui rileva – tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione tributaria (CGUE, sentenza del 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona, C-273/11, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). Il secondo giudice ha quindi, in definitiva, correttamente pronunciato, facendo in sentenza applicazione dei principi sopra detti;

– il quinto motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54,D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, in relazione tutti all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per aver ritenuto provata la maggior pretesa non in forza di elementi indiziari forniti dall’Agenzia delle Entrate, ma sulla base di mere affermazioni;

– il motivo è infondato;

– infatti, dalla lettura della sentenza si evince come gli elementi addotti dall’Amministrazione Finanziaria non fossero costituiti da mere affermazioni; essa ha invero fornito prova, sia pur presuntiva (portando la prova di un fatto certo, quale la circostanza che “buona parte dei soggetti cedenti non solo erano soggetti IVA, ma svolgevano attività di noleggio o leasing di autoveicoli”, dal quale poteva desumersi il fatto certo in ordine alla detrazione integrale dell’IVA da parte del cedente) a fronte della quale la CTR ha ritenuto, con motivazione come si è detto logica e convincente, che la società contribuente non abbia fornito adeguata prova, sia pur presuntiva, di segno contrario;

– in tal senso questa Corte ha anche precisato, in termini, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15630 del 24/07/2015 e conforme Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 3819 del 16/02/2018) che in tema d’IVA, il regime del margine di utile di cui al D.L. n. 41 del 1995, art. 36, convertito con modificazioni nella L. n. 85 del 1995, rappresentando un regime speciale, derogatorio dell’ordinaria disciplina fiscale degli acquisti intracomunitari, impone, oltre alla regolarità formale della documentazione contabile, che il contribuente provi la sussistenza dei relativi presupposti di fatto, risultando altrimenti inapplicabile indipendentemente dalla consapevolezza che il cessionario ne abbia; (in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito e ritenuto legittimo l’avviso di accertamento fondato sull’elemento presuntivo della presenza tra i cedenti di società di autonoleggio che, utilizzando i veicoli come beni strumentali all’esercizio dell’impresa, avevano diritto di portare in detrazione l’IVA).

– conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato;

– deve inoltre darsi atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 10.000, oltre alle spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019

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