Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7758 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/04/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 05/04/2011), n.7758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 1392/2010 proposto da:

A.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LOMBARDIA 14, presso lo studio dell’avvocato ALONGI

Patrizia, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALONGI

FLAVIANA e a se medesimo, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2797/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

10.7.09, depositata il 25/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ETTORE BUCCIANTE.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO

SGROI.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, è del seguente tenore:

“Con sentenza del 25 ottobre 1996 il Tribunale di Napoli – adito dall’avvocato A.V. nei confronti di B. A. – respinse la domanda dell’attore, diretta a ottenere la condanna del convenuto al pagamento di L. 47,196.000, come compenso per attività professionali svolte in una causa di lavoro davanti alla Pretura e al Tribunale di Pescara.

Impugnata dal soccombente, la decisione fu confermata dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza del 25 gennaio 2001, che su ricorso dell’avvocato A.V. fu cassata con rinvio da questa Corte con sentenza del 25 luglio 2006.

Quale giudice di rinvio, con sentenza del 25 settembre 2009 la Corte di appello di Napoli ha di nuovo confermato la pronuncia di primo grado e ha condannato l’avvocato A.V. al rimborso delle spese sia del giudizio di rinvio sia di quelli precedenti.

Contro tale sentenza l’avvocato A.V. ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. B.A. non ha svolto attività difensive in questa sede.

Con il primo motivo di ricorso l’avvocato A.V. rivolge alla sentenza impugnata varie censure, lamentando che la Corte d’appello:

a) nel determinare il valore della causa svoltasi davanti alla Pretura e al Tribunale di Pescara, non ha tenuto conto della domanda riconvenzionale che la convenuta s.p.a. N.B.M., aveva proposto nei confronti di B.A.;

b) ha omesso di considerare la natura della controversia, l’importanza e il numero delle questioni trattate, i risultati del giudizio e i vantaggi conseguiti dal cliente;

c) ha applicato un principio di diritto (secondo cui il valore della causa andava stabilito in base al decisum, anzichè alla domanda) enunciato dalla giurisprudenza di legittimità soltanto nel 2008, mentre in precedenza veniva seguito l’orientamento opposto;

d) ha erroneamente ritenuto che sulla questione di cui al punto precedente non vi fosse stato appello e che quindi fosse passata in giudicato la statuizione del primo giudice, secondo cui il valore della causa di lavoro era pari alla somma di L. 2.379.225, attribuita dal Pretore e dal Tribunale di Pescara ad B.A., invece che pari all’importo di L. 848.450.296, che aveva formato oggetto della domanda proposta in suo nome;

e) ha reputato decisorio il giuramento prestato dall’avvocato A., il quale tuttavia, nel riconoscere di aver ricevuto L. 6.000.000 da B.A., non aveva fatto riferimento a ciò che in questo giudizio aveva richiesto al suo cliente.

Tutte queste censure appaiono manifestamente infondate, in quanto:

a) la questione relativa alla domanda riconvenzionale non è stata affrontata nella sentenza impugnata, nè il ricorrente deduce di averla prospettata nel giudizio a quo, sicchè non può avere ingresso in questa sede;

b) le deduzioni concernenti i criteri di liquidazione degli onorari sono inconferenti, poichè la Corte d’appello ha ritenuto che la somma di L. 6.000.000, versata da B.A. all’avvocato A.V., superi di gran lunga anche i massimi che avrebbero potuto competere al professionista, calcolati in L. 2.825.290;

c) con la sentenza di cassazione questa Corte non ha enunciato il principio di diritto cui si sarebbe dovuto uniformare il giudice di rinvio nel determinare il valore della causa di lavoro, avendo accolto il ricorso dell’avvocato A.V. limitatamente alla questione della prova dei pagamenti che B.A. aveva sostenuto di aver effettuato;

d) è ininfluente se la sentenza di primo grado fosse o non passata in giudicato sul punto del valore della causa suddetta, poichè comunque la Corte d’appello si è attenuta, in proposito, al condivisibile principio enunciato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli onorari possono essere liquidati alla stregua del valore effettivo, ove risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma dell’art. 10 c.p.c., come peraltro espressamente dispongono le tariffe professionali applicabili nella specie ratione temporis;

e) correttamente nella sentenza impugnata il giuramento prestato dall’avvocato A.V. è stato ritenuto dotato del carattere della decisorietà, in mancanza della prova di altri titoli che giustificassero il pagamento effettuato da B. A.: titoli tardivamente dedotti dall’interessato soltanto nelle comparse conclusionali depositate nel giudizio di rinvio;

Con il secondo motivo di ricorso l’avvocato A.V. lamenta che la Corte d’appello:

a) lo ha condannato alle spese del giudizio di secondo grado, anche se la relativa sentenza era stata cassata;

b) ha liquidato le spese vive del giudizio di rinvio in entità eccessiva e gli onorari in misura eccedente i massimi.

Anche queste doglianze appaiono manifestamente infondate, in quanto:

a) le spese di giudizio vanno poste a carico della parte in complesso soccombente, indipendentemente dall’esito dei singoli gradi;

b) l’importo delle spese vive, determinato in 100,00 Euro, non risulta irragionevolmente eccessivo; la censura concernente gli onorari si basa sull’erroneo presupposto che il valore di questa controversia (alla quale non è applicabile il principio prima richiamato, riguardante esclusivamente i rapporti tra il professionista e il proprio cliente) sia inferiore a 5.200,00 Euro, mentre invece l’avvocato A.V. aveva chiesto che B.A. fosse condannato a pagargli la somma di L. 47.196.000.

Appare quindi possibile definire il giudizio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, seconda ipotesi”;

– il ricorrente non si è avvalso delle facoltà di cui all’art. 380 bis c.p.c., comma 2; il Pubblico Ministero è comparso in Camera di consiglio e ha concluso in conformità con la relazione;

– il collegio concorda con le argomentazioni svolte nella relazione e le fa proprie;

– il ricorso va pertanto rigettato;

– non vi è da provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, nel quale gli intimati non hanno svolto attività difensive.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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