Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7753 del 20/03/2019

Cassazione civile sez. trib., 20/03/2019, (ud. 04/10/2018, dep. 20/03/2019), n.7753

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 24768 del ruolo generale dell’anno 2011

proposto da:

S.I., quale liquidatore del Consorzio fra i Comuni di

Montjovent ed Emares per la costruzione e gestione di un impianto di

depurazione, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Guido Francesco

Romanelli e Maurizio Fogagnolo per procura speciale in calce al

ricorso, elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria, n. 5,

presso lo studio del primo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Valle d’Aosta, n. 13/01/2010, depositata il giorno

12 luglio 2010;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 4 ottobre

2018 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato al “Consorzio costituito fra i Comuni di Montjovent ed Emares per la costruzione e gestione di un impianto di depurazione” (di seguito Consorzio), una cartella di pagamento con la quale aveva recuperato il credito Iva, relativo all’anno 2002, riportato nel modello unico 2004 per l’anno di imposta 2003, in quanto non era stata presentata la dichiarazione Iva dell’anno precedente; avverso il suddetto atto impositivo aveva proposto ricorso il Consorzio dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Aosta che lo aveva rigettato; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello il Consorzio, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate;

la Commissione tributaria regionale della Valle d’Aosta ha parzialmente accolto l’appello, rigettando l’impugnazione relativa al recupero del credito ma riformando la sentenza del giudice di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto applicabile la sanzione;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte il Consorzio affidato a tre motivi di censura;

l’Agenzia delle entrate si è costituita depositando controricorso contenente ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Sul ricorso principale del Consorzio

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., comma 2, in quanto il consorzio era stato cancellato dal registro delle imprese in data 23 dicembre 2005, sicchè la cartella di pagamento, notificata in data 8 gennaio 2008, non poteva essere notificata a soggetto non più legittimato;

il motivo è inammissibile;

parte ricorrente deduce in questa sede l’illegittimità della pretesa impositiva in quanto alla data di emissione della cartella di pagamento il Consorzio era estinto, sicchè la pretesa avrebbe, eventualmente, dovuto essere fatta valere nei confronti dei soci, nei limiti del riparto della liquidazione, ovvero dei liquidatori, se a loro era imputabile il mancato pagamento del credito;

la questione, peraltro per la prima volta prospettata in questa sede ed in contrasto con la linea difensiva seguita in sede di giudizi di merito, viene basata dal ricorrente sulla base della riproduzione, a pag. 7, di un atto dal quale risulterebbe la cancellazione del Consorzio dal registro dellè imprese;

il documento, tuttavia, è privo di rilevanza, in quanto non è, di per sè, atto idoneo a comprovare la cancellazione e l’estinzione del Consorzio dal registro delle imprese, essendo tale attività curata dalle Camere di commercio, secondo la disciplina di cui alla L. 29 dicembre 1993, n. 580;

in ogni caso, ove si volesse seguire la tesi di parte ricorrente, secondo cui l’atto impositivo è stato notificato al Consorzio dopo l’estinzione, il liquidatore del medesimo sarebbe del tutto privo di legittimazione all’impugnazione del ricorso, tenuto conto dell’orientamento di questa Corte (Cass. civ., 07 settembre 2018, n. 21864) secondo cui “La cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e della instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore. Il liquidatore, infatti, non può promuovere il giudizio in nome e per conto della società, peraltro priva di interesse all’impugnazione di un atto di accertamento che non può spiegare effetto nei suoi confronti e la cui notifica, eseguita in data successiva all’estinzione, è da ritenersi inesistente”;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2 e art. 55, comma 2 bis e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 1, per avere ritenuto legittima la cartella di pagamento con la quale si è recuperato il credito Iva esposto nel modello unico 2004 e non dichiarato nelle precedenti annualità sulla base della considerazione che la mancata consequenzialità della presentazione delle dichiarazione avrebbe l’effetto di non portare l’ufficio finanziario ad avere conoscenza delle informazioni necessarie per l’esercizio dell’attività di valutazione, posto che, avendo il contribuente esposto il credito Iva anno 2000, lo stesso non era sottoposto ad alcun preventivo accertamento;

il motivo è infondato;

successivamente alla proposizione del ricorso, a cagione dei contrasti registrati sulla questione del diritto alla detrazione dell’Iva in caso di omessa presentazione della dichiarazione Iva tra le Sezioni semplici della Corte, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite, che, risolvendo il contrasto, hanno affermato il principio di diritto secondo cui “La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto – ovvero non controverso che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA o finalizzati a operazioni imponibili” (Sez. U, Sentenza n. 17757 del 08/09/2016, Rv. 640943 – 01; conf., Cass., ord. 20 gennaio 2017, n. 1927);

alla luce del suddetto principio, il contribuente, pertanto, può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale, purchè fino al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto e siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione;

pertanto, la sussistenza di tali requisiti esclude la rilevanza dell’assenza di quelli formali, ivi comprese le liquidazioni periodiche, purchè sia rispettata la cornice biennale prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, per l’esercizio del diritto di detrazione (in tale senso, Cass. 28 luglio 2015, n. 14767; Cass. 3 marzo 2017, n. 5401);

al necessario rispetto del termine biennale di decadenza fa, del resto, espresso riferimento, nell’enunciazione del principio di diritto, la suindicata sentenza delle Sezioni Unite, che identifica la cornice biennale come “rilievo generale ed interno” che governa l’esercizio del diritto di detrazione;

nel caso in esame risulta che il Consorzio ha esposto il credito nella dichiarazione Iva relativa all’anno 2000 (dichiarazione 2001), omettendone la esposizione negli anni successivi, e solo nella successiva dichiarazione 2004 ha provveduto nuovamente a esporre il credito, quindi al di fuori della cornice biennale sopra indicata e, pertanto, al di fuori del periodo legittimante l’esercizio del diritto alla detrazione;

la pronuncia censurata, seppure fondata sulla circostanza della ritenuta impossibilità di controllo da parte dell’ufficio finanziario a seguito della omessa presentazione della dichiarazione, è comunque in linea con l’orientamento giurisprudenziale sopra riportato;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2 e art. 55, comma 2 bis e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 1, per avere erroneamente dato rilevanza alle interpretazioni fornite dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 74/E/2007;

l’esame del presente motivo è assorbito dal rigetto del secondo motivo di ricorso;

2. Sul ricorso incidentale.

Con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, per avere ritenuto che il trasferimento delle funzioni relative alla gestione dell’impianto di depurazione dal Consorzio al Comune di Montjovent per effetto della L.R. n. 54 del 1998, aveva comportato una obbiettiva condizione di incertezza in ordine ai rapporti tra i medesimi, anche ai fini degli obblighi tributari;

con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente e contraddittoria motivazione sulla questione di cui al superiore primo motivo;

i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono fondati; questa Suprema Corte ha espresso il consolidato principio secondo cui: “l’incertezza normativa oggettiva che – ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8; D.Lgs. n. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2; L. 2 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, – costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere – dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 28/11/2007, n. 24670; 16/02/2012, n. 2192; 26/10/2012, n. 18434; 11/02/2013, n. 3245; 22/02/2013, n. 4522). In altre parole, come è stato detto, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che consente di non applicare le sanzioni, “è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito”, quindi in “senso oggettivo” (con conseguente esclusione di “qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali” atteso che “l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti”): “l’incertezza normativa oggettiva”, pertanto, “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria” (Cass. 11/09/2009, n. 19638). Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.).” (Cass. 7/12/2017, n. 29368);

il giudice del gravame ha ritenuto che nella fattispecie potesse farsi applicazione della previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, in considerazione della condizione di incertezza dei rapporti tra consorzio e Comune, anche ai fini degli obblighi tributari, dunque non in relazione alla situazione di incertezza derivante dal contenuto di una norma tributaria e obiettivamente esistente per il giudice al fine di applicare correttamente le suddetta previsione, ma alle conseguenze applicative, per la parte, di una previsione regolante i propri rapporti con il Comune;

peraltro, il punto della decisione risulta motivato in modo non sufficiente, non dando atto su quali presupposti si è ritenuto che sussistesse la suddetta condizione di incertezza;

in tal modo, la stessa non è in linea con il consolidato orientamento di questa Suprema Corte ed è insufficiente sotto il profilo motivazionale;

in conclusione, il ricorso principale va rigettato, il ricorso incidentale va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo di primo grado, con conseguente compensazione delle spese di lite per i giudizi di merito e condanna del ricorrente principale al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente grado di giudizio;

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo di primo grado;

compensa le spese di lite dei giudizi di merito e condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 4 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019

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