Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7749 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/04/2011, (ud. 28/10/2010, dep. 05/04/2011), n.7749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.G. (OMISSIS) socio e legale rappresentante

della Mister Di Varese di Fagnani Gabriele & C. Sdf,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 7, presso lo studio

dell’avvocato DE LUCA GIOVANNI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CIMINO MAURO, MAROZZI ALFONSO, giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

DITTA VECCHI ANNA MARIA DEI F.LLI ANGELICI & C. S.N.C.,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUIGI CASAMATTA 16, presso lo studio

dell’avvocato ROSSI FEDERICO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato VIOZZI PAOLO, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 481/2009 della CORTE D’APPELLO di ANCONA del

19.5.09, depositata l’11/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/10/2010 dal Consigliere Relatore Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito per la controricorrente l’Avvocato Marco Melito (per delega

avv. Paolo Viozzi) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

Avverso la decisione indicata in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione F.G. nella qualità di socio della Ditta Mister Di Varese, sulla base di due motivi. Ha resistito la Ditta Anna Maria Vecchi dei F.lli Angelini e C. s.n.c..

Nominato, ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ., il consigliere relatore ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ. ritenendo che il ricorso fosse da rigettare per manifesta infondatezza.

Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.

OSSERVA:

Nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. si legge quanto segue: “1. La Ditta Mister Di Varese conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Fermo la Ditta Anna Maria Vecchi dei F.lli Angelini per sentire pronunciare la risoluzione del contratto di vendita di “blocchetti faccia a vista” intercorso fra le parti, denunciando l’esistenza di vizi che rendevano i beni inidonei all’uso.

La convenuta resisteva sostenendo che l’attrice aveva utilizzato i beni per un uso per il quale non erano idonei e che, comunque, le caratteristiche richieste non erano state esplicitate dall’acquirente; chiedeva ed otteneva di essere autorizzata a chiamare la società che le aveva fornito i laterizi poi rivenduti all’attrice.

Il tribunale accoglieva la domanda con sentenze (non definitiva e quindi definitiva sull’ammontare del danno) che erano riformate in sede di gravame in cui veniva dichiarato prescritto il diritto azionato, perchè non esercitato nel termine di cui all’art. 1495 cod. civ., comma 3.

Ha proposto ricorso per cassazione F.G. nella qualità di socio della Ditta Mister Di Varese fu affidato a due motivi.

Ha resistito la Ditta Anna Maria Vecchi dei F.lli Angelini e C. s.n.c..

2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., n. 5) essendo manifestamente infondato.

Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli arti 495 2943 cod. civ. nonchè travisamento del fatto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5), deduce che la sentenza impugnata, nel dichiarare la prescrizione, non aveva tenuto conto della missiva inviata dall’acquirente il 24 luglio 1985, che costituiva atto interruttivo della prescrizione, dovendo trovare applicazione l’art. 2943 cod. civ. anche nel caso della prescrizione di cui all’art. 1495; inoltre, alla stregua di quanto sostenuto dalla stessa convenuta, non era rispondente al vero che vi fosse stato il riconoscimento dei difetti lamentati.

Il motivo va disatteso.

Pur configurandosi l’eccezione di interruzione della prescrizione come eccezione in senso lato, distinta dalla non omogenea eccezione di prescrizione, che, come tale, può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado del processo, tale potere, però, deve essere esercitato – come avviene in ogni caso di esercizio di poteri officiosi – sulla base di allegazioni e di prove, incluse quelle documentali, ritualmente acquisite al processo, nonchè di fatti anch’essi ritualmente acquisiti al contraddittorio, e nel rispetto del principio della tempestività di allegazione della sopravvenienza, che impone la regolare e tempestiva acquisizione degli elementi probatori e documentali nel momento difensivo successivo a quello in cui è stata sollevata l’eccezione di prescrizione (Cass. 18250/2009; 12401/2008; 13873/2007, S.U. 15661/2005). Pertanto, premesso che la questione non risulta trattata dalla decisione impugnata, la ricorrente, che sostanzialmente denuncia il mancato esame del documento dal quale sarebbe emersa la prova di un atto interruttivo della prescrizione impeditivo della estinzione del diritto, avrebbe dovuto innanzitutto dedurre e dimostrare di avere allegato e tempestivamente prodotto nel giudizio di merito la missiva de qua, trascrivendo quindi il testo di tale documento in modo da consentire alla Corte, che non ha diretto accesso agli atti, di verificarne la decisività: tali oneri non sono stati ottemperati.

Per quanto concerne l’asserito riconoscimento, la doglianza si risolve nella censura dell’apprezzamento in ordine alla sua sussistenza, dovendo qui rilevarsi che la relativa statuizione ha ad oggetto un accertamento di fatto che è riservato al giudice di merito e che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione che peraltro consiste nella contraddittorietà e illogicità del provvedimento impugnato ovvero nell’omesso esame di un punto decisivo della controversia e non può risolversi nella difformità della decisione rispetto alle risultanze processuali: oltretutto, occorre considerare che l’efficacia interruttiva della prescrizione di cui all’art. 2944 cod. civ.- in quanto è riconducibile a un atto ricognitivo del diritto azionato -, postula l’ammissione di responsabilità da parte del venditore e la sentenza l’ha implicitamente esclusa laddove nell’esposizione del fatto si fa riferimento alla circostanza che la convenuta aveva dedotto che la funzione “faccia a vista”non aveva formato oggetto delle pattuizioni contrattuali e, dunque, non era configurabile l’asserita inidoneità all’uso pattuito.

Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1470, 1494, 1497, 2697 e 2943 cod. civ. nonchè travisamento del fatto e omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5): si deduce che, in ogni caso, secondo quanto riconosciuto dalla convenuta che aveva ammesso che i blocchetti venduti non fossero adatti per la funzione “faccia a vista “, nella specie si verserebbe nella ipotesi di aliud pro alio, per cui il termine di prescrizione applicabile sarebbe quello decennale.

Il motivo va disatteso, posto che introduce una questione che, non essendo trattata dalla decisione impugnata, deve ritenersi proposta per la prima volta in sede di legittimità e, come tale, è inammissibile: al riguardo, occorre considerare che – secondo quanto risulta dalla decisione impugnata – la sentenza di primo grado aveva accolto la domanda basata sulla garanzia per vizi, avendo accertato l’esistenza dei requisiti al riguardo prescritti, così implicitamente escludendo che ricorresse l’ipotesi di aliud pro alio, dovendo qui rilevarsi che si ha vizio redibitorio oppure mancanza di qualità essenziali della cosa consegnata qualora questa presenti imperfezioni che la rendano inidonea all’uso cui dovrebbe essere destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, ovvero appartenga ad un tipo diverso o ad una specie diversa da quella pattuita; si ha, invece, consegna di “aliud pro alio”, che da luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di adempimento ai sensi dell’art. 1453 cod. civ., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione, qualora il bene consegnato sia completamente diverso da quello pattuito, in quanto appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della “res” promessa e, quindi, a fornire l’utilità richiesta (Cass. 18859/2009; 5202/2007): sarebbe stato onere del ricorrente dimostrare di avere tempestivamente e ritualmente proposto nel giudizio di merito la relativa domanda”.

Vanno condivise le argomentazioni e le conclusioni di cui alla richiamata relazione, dovendo peraltro precisarsi, in merito a quanto evidenziato dal relatore circa la doglianza relativa all’asserito riconoscimento dei difetti lamentati, che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire:

in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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