Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7746 del 08/04/2020

Cassazione civile sez. III, 08/04/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 08/04/2020), n.7746

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30232/2017 proposto da:

R.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARVISIO N.

2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FARSETTI, rappresentato e

difeso dagli avvocati FERDINANDO SCOTTO, GIOVANNI VERDE, VALERIA

VERDE;

– controricorrente –

contro

D.L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE REGINA

MARGHERITA 93, presso lo studio dell’avvocato MARCO FERRARO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO GIOVE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3866/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.O. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 3866/17, del 22 settembre 2017, della Corte di Appello di Napoli, che – respingendo il gravame da esso esperito avverso sentenza del Tribunale di Napoli n. 3709/16, del 26 gennaio 2016 – ha confermato il rigetto della domanda proposta dall’odierno ricorrente, volta a far valere la responsabilità professionale del notaio D.L.M., in relazione alla procura speciale dell’11 maggio 2009, dallo stesso autenticata, con cui tale, sedicente, N.M. costituiva quale proprio procuratore tale, sedicente, P.P., conferendogli il potere di rappresentarla in occasione della conclusione di contratto di compravendita del 4 giugno 2009, con il quale la sedicente N. trasferiva all’ O. la proprietà di immobile sito in (OMISSIS), contro il prezzo di Euro 300.000,00.

2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente di essere rimasto vittima di una vera e propria truffa, resa possibile – a suo dire – dalla negligenza professionale del notaio D.L..

Deduce, infatti, che nel mese di aprile 2009, dopo aver letto su una rivista specializzata un annuncio riguardante la messa in vendita dell’immobile suddetto, egli contattava l’agente immobiliare, tale Pa.Im., al fine di fissare un appuntamento per poter visionare l’appartamento in questione. Recatosi sul posto due volte, accompagnato dalla predetta Pa., all’esito di una lunga trattativa sul prezzo, l’ O., in data 7 maggio 2009, formalizzava una proposta di acquisto, consegnando nelle mani dell’agente immobiliare un assegno – intestato alla Signora N.M., proprietaria dell’immobile – dell’importo di Euro 10.0000, a titolo di caparra confirmatoria. La proposta di acquisto prevedeva, inoltre, che la restante parte del prezzo pattuito, ovvero Euro 290.000,00, sarebbe stata versata attraverso due successivi pagamenti, in occasione della stipulazione, dapprima, del contratto preliminare e, di seguito, di quello definitivo. Contattato, tuttavia, sempre dalla Pa., l’odierno ricorrente apprendeva che la N., pur ritenendo congruo il prezzo pattuito, richiedeva che la vendita si perfezionasse con la sola stipula del contratto definitivo, in occasione della quale, pertanto, l’acquirente avrebbe dovuto versare, per intero, il restante importo pattuito.

L’ O. accettava la richiesta e incaricava della predisposizione del rogito il notaio L.O.R., la quale – dopo aver acquisito tutta la documentazione necessaria ed effettuato le verifiche di sua competenza – chiedeva un colloquio con la N., al fine di ricevere conferma della sua effettiva volontà di vendere l’immobile. Espletato anche tale incombente, il giorno 4 giugno 2009 veniva perfezionato il contratto di compravendita tra l’ O. e tale P.P., procuratore speciale della venditrice N., in forza di procura precedentemente rilasciata ed autenticata dal notaio D.L.M..

Nei giorni successivi alla stipulazione del contratto, l’odierno ricorrente si recava numerose volte presso l’appartamento acquistato per pianificare l’esecuzione di lavori di ristrutturazione, che avrebbero dovuto avere inizio in data 26 giugno 2009. Tuttavia, proprio in tale occasione, l’incaricato della ristrutturazione rinveniva, presso l’immobile, alcune persone, una delle quali assumeva di esserne la legittima proprietaria, ovvero la “vera” N.M., affermando di non aver mai dato incarico ad alcuno di vendere il proprio immobile.

Sporta denuncia penale tanto dalla N. quanto dall’ O., il procedimento veniva archiviato, essendo rimasti ignoti gli autori della truffa.

L’odierno ricorrente, pertanto, conveniva in giudizio il notaio d.L., che aveva autenticato la procura a vendere, rilasciata al sedicente P.P. dalla sedicente N.M., lamentando che il professionista aveva omesso di identificare la donna con la dovuta diligenza.

La domanda volta a far valere la responsabilità del notaio, nonchè a conseguire il risarcimento del danno subito, veniva rigettata dal Tribunale di Napoli, con decisione confermata anche dal giudice di appello, che respingeva il gravame esperito dall’ O..

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello partenopea ha proposto ricorso per cassazione, l’ O. sulla base – come detto di un unico articolato motivo.

3.1. In particolare, esso deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 2236,1176, e 1175 c.c. e della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 49, nonchè dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c..

Si censura la sentenza impugnata in quanto la stessa diversamente da quella del Tribunale – avrebbe fondato la propria decisione, di escludere la responsabilità del professionista, su di un unico elemento, ritenuto preponderante rispetto agli altri: “il fatto che la persona recatasi nello studio notarile al fine di rilasciare la procura a vendere era stata presentata al notaio dal proprietario di un’agenzia immobiliare che aveva frequenti rapporti con il notaio stesso”.

In realtà, non vi sarebbe alcuna prova, agli atti del processo, di tale circostanza, essendo stata la stessa riferita esclusivamente dal D.L. ed in alcun modo riscontrata. Infatti, anche la deposizione testimoniale dell’altro notaio, L.O.R., ovvero il professionista che procedette alla stesura del rogito di compravendita, confermerebbe tale circostanza soltanto “de relato ex parte”, per averla appresa dal collega che predispose la procura.

Orbene, poichè il primo giudice non aveva attribuito alcun rilievo a tale circostanza, l’odierno ricorrente assume che, a proprio carico, non sussisteva alcun onere di impugnare la sentenza del Tribunale anche in relazione a tale circostanza, sicchè la stessa, lungi da potersi ritenere da esso ammessa, resterebbe “meramente affermata” dal notaio D.L., essendosi costui sempre sottratto all’onere di provarla, come confermerebbero le istanze istruttorie formulate in primo grado (come riprodotte dall’ O. nel presente ricorso).

Ciò premesso, posto che la responsabilità del professionista andrebbe, nel caso di specie, ritenuta di natura contrattuale, e ciò in applicazione del principio secondo cui creditori della corretta prestazione notarile sono tutte le parti del contratto redigendo, ivi compresa quella che sia rimasta estranea al contratto d’opera professionale (viene citata Cass. Sez. 3, sent. 13 giugno 2013, n. 14865), la prova della circostanza suddetta avrebbe dovuto essere fornita dal D.L., al fine di dimostrare di aver utilizzato, nel caso di specie, la diligenza richiesta. D’altra parte, però, la prospettiva non cambierebbe anche a ritenere la responsabilità di natura aquiliana, poichè il legittimo affidamento del notaio in ordine al fatto di trovarsi effettivamente al cospetto della “vera” N.M., costituirebbe circostanza impeditiva della responsabilità, come tale a provarsi da parte dell’interessato.

Su tali basi, dunque, il ricorrente ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata a la decisione nel merito, non occorrendo – a suo dire – ulteriori accertamenti di fatto.

4. Il D.L. ha resistito, con controricorso, alla descritta impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o comunque il rigetto.

L’inammissibilità, in particolare, viene dedotta ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1), atteso che la Corte partenopea si sarebbe attenuta ai principi affermati, in materia, dalla giurisprudenza di legittimità.

Inoltre, si contesta l’affermazione del ricorrente, secondo cui agli atti del giudizio – non vi sarebbe prova che la sedicente N.M. venne presentata al notaio da un agente immobiliare di fiducia dello stesso, visto che già dalla sentenza del Tribunale emergerebbe come tale circostanza avesse trovato conferma documentale nella lettera trasmessa, a mezzo fax del 27 giugno 2009, dal notaio D.L. alla collega L.. In ogni caso, poi, la questione relativa all’assenza di prova di tale circostanza presenterebbe carattere di novità, essendo, come tale, inammissibile in sede di legittimità.

Si contesta, infine, la qualificazione della asserita responsabilità del notaio come contrattuale, sottolineando come la giurisprudenza citata dal ricorrente riguardi il caso della responsabilità in cui incorre il notaio nella predisposizione di un contratto di compravendita, mentre nel caso di specie viene in rilievo un negozio giuridico unilaterale, qual è la procura, di talchè il professionista potrebbe, al limite, essere responsabile soltanto nei confronti dell’unica parte dell’atto, che coincide con quella che ebbe a conferirgli l’incarico.

5. Ha presentato memoria il ricorrente insistendo nelle proprie argomentazioni.

7. Ha deposito un’ulteriore memoria il ricorrente, che oltre ad insistere nelle proprie argomentazioni, sottolinea che la copia conforme della sentenza impugnata, depositata con il ricorso, “era ed è regolare, contenendo l’attestazione dell’avvenuta notificazione (e non competendo al destinatario di valutarne la validità).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. “In limine” deve darsi conto del superamento dei dubbi – alla base della summenzionata ordinanza interlocutoria di rinvio del presente giudizio a nuovo ruolo – relativi alla procedibilità del ricorso.

8.1. Invero, la notifica, all’odierno ricorrente, della sentenza dallo stesso poi impugnata è avvenuta telematicamente.

Agli atti vi è, per vero, l’attestazione – compiuta dal difensore dell’appellato (odierno controricorrente) – di conformità, all’originale digitale, della copia analogica (“id est”, cartacea) del provvedimento impugnato, ma non pure della relata di notificazione e del messaggio “PEC”, duplice attestazione, anche questa, richiesta a pena di improcedibilità, essendo “necessaria, perchè solo di lì si evince il giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6, ord. 22 dicembre 2017, n. 30765, Rv. 647029-01).

Anche la prova di resistenza – ovvero, l’accertamento che la notifica del ricorso sia avvenuta entro e non oltre sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza (Cass. Sez. 3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066) – è negativa, dal momento che la sentenza risulta pubblicata il 22 settembre 2017, mentre la notifica del ricorso risale al 13 dicembre 2017.

Nondimeno, sul punto, trova applicazione quanto precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 25 marzo 2019, n. 8312, in particolare il punto “sub” b) del p. 34)), ovvero che in caso di “sentenza impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico” vale il principio secondo cui “l’equiparazione della copia all’originale consegue comunque dalla non contestazione o dall’asseverazione” (che intervenga entro l’udienza pubblica o l’adunanza camerale).

Il citato arresto delle Sezioni Unite ha, inoltre chiarito che l’applicazione dei “suindicati principi” vale, “a maggior ragione, con riguardo al requisito del deposito della relata attestante la notificazione telematica decisione impugnata” (fr. p. 35, punto 2), ovvero con riferimento alla fattispecie che viene qui in rilievo.

Nella specie, nessuna contestazione risulta formulata, donde allora il superamento del dubbio relativo all’ipotizzata improcedibilità del ricorso.

9. Ciò detto, il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito indicati.

9.1. Nello scrutinare l’articolato motivo di impugnazione, proposto dall’ O., deve muoversi dal rilievo che la dedotta responsabilità del Notaio D.L. è da ritenere, astrattamente, di natura contrattuale, e ciò quantunque l’incarico professionale, conferito al notaio dalla sedicente – o meglio, “falsa” – N.M., riguardasse la predisposizione di un negozio giuridico unilaterale, donde la non completa pertinenza dei riferimenti giurisprudenziali citati in ricorso (che hanno riguardato casi nei quali si è ritenuto di ascrivere all’esercente la professione notarile, incaricato da una sola delle parti negoziali, una responsabilità anche nei confronti dell’altra parte, sebbene estranea al contratto d’opera intellettuale concluso con il professionista).

Infatti, può farsi applicazione – nel caso di specie – dei principi della responsabilità da cd. “contatto sociale qualificato”, nonchè dell’efficacia protettiva, verso il terzo, del contratto corrente “inter alios”.

Invero, la procura a vendere predisposta dal notaio si è posta certamente alla stregua di un atto preparatorio del successivo contratto di compravendita, sicchè il D.L., nell’attestare la corrispondenza dell’identità dichiarata dalla comparente a quella (asseritamente) effettiva della N., ha posto in essere un comportamento fonte di obblighi, tanto ai sensi dell’ultima alinea dell’art. 1173 c.c., quanto dell’art. 1375 c.c., anche nei confronti del terzo (l’ O., appunto) destinato ad acquistare l’immobile dal soggetto rappresentato in forza di tale procura.

Ricorrono, in altri termini, i presupposti – come delineati da questa Corte – per la “applicazione del disposto dell’art. 1218 c.c., oltre i confini propri del contratto”, giacchè essa “si giustifica considerando che quando l’ordinamento impone a determinati soggetti, in ragione della attività (o funzione) esercitata e della specifica professionalità richiesta a tal fine dall’ordinamento stesso” (e tale è il caso, appunto, dell’attività notarile), “di tenere in determinate situazioni specifici comportamenti, sorgono a carico di quei soggetti, in quelle situazioni previste dalla legge, obblighi (essenzialmente di protezione) nei confronti di tutti coloro che siano titolari degli interessi la cui tutela costituisce la ragione della prescrizione di quelle specifiche condotte” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 11 luglio 2012, n. 11642).

In particolare, questa Corte “ha ravvisato la sussistenza della responsabilità in esame in una varietà di casi accomunati dalla violazione di obblighi di comportamento, preesistenti alla condotta lesiva, posti dall’ordinamento a carico di determinati soggetti”, come tipicamente accade “nell’ambito dell’esercizio di attività professionali cd. protette”, vale a dire “riservate dalla legge a determinati soggetti, previa verifica della loro specifica idoneità, e sottoposte a controllo nel loro svolgimento” (nuovamente Cass. Sez. 1, sent. n. 11642 del 2012, cit.). Tale è, tipicamente, anche quella notarile, tanto che il suo esercizio è stato ritenuto fonte di obblighi di protezione anche nei confronti di soggetti che, pur non conferendo al notaio alcun incarico, risentano un danno conseguente ad attività dallo stesso svolte che siano preparatorie della stipulazione di futuri contratti, successivamente conclusi senza neppure ricorrere all’ausilio di quello stesso professionista (cfr. Cass. Sez. 2, sent. 9 maggio 2012, n. 9320, Rv. 639919-01, concernente le cd. “relazioni notarili”, prodromiche alla conclusione di contratti di mutuo bancario).

In definitiva, per concludere sul punto, l’ O. si è posto alla stregua di un “terzo protetto dal contratto” – figura già enunciata, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento al contratto di opera professionale (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 22 novembre 1993, n. 111503, Rv. 484431-01; Cass. Sez. 3, sent. 29 luglio 2004, n. 14488, Rv. 575702-01) – intercorso tra la (sedicente) N.M. ed il Notaio D.L..

Ciò premesso, e considerato, altresì, che in materia di responsabilità contrattuale vige il principio per cui anche “quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 20 gennaio 2015, n. 826, Rv. 634361-01), deve trarsi la conclusione che, nel caso di specie, era effettivamente onere del D.L. provare la diligenza nell’accertarsi dell’identità della sedicente N.M..

9.2. Ai fini di tale prova, tuttavia, la Corte territoriale ha negato correttamente – che potesse bastare la circostanza dell’utilizzazione, da parte del professionista, ai fini dell’identificazione della comparente, dei documenti di riconoscimento dalla stessa esibiti (ovvero, carta di identità e tessera sanitaria), in ciò essendosi il giudice di appello conformato alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui “il notaio deve accertare l’identità personale delle parti ed è tenuto a raggiungere tale certezza anche al momento dell’attestazione, secondo regole di diligenza qualificata, prudenza e perizia professionale, rispetto alle quali l’esibizione di una carta d’identità o di altro documento equipollente può non risultare, da sola, sufficiente alla corretta identificazione della persona fisica” (così, in motivazione, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 29 maggio 2018, n. 13362, Rv. 648795-01; in senso conforme, tra le più recenti, anche Cass. Sez. 3, sent. 12 maggio 2017, n. 11767, Rv. 644299-01), e ciò perchè ciascuno di tali documenti è “privo di efficacia certificatrice generale” (così Cass. Sez. 3, sent. n. 13362 del 2018, cit., nonchè già Cass. Sez. 1, sent. 17 maggio 1986, n. 3274, Rv. 446262-01).

La Corte partenopea, nel contempo, non ha, però, disatteso del tutto la rilevanza di tale circostanza, ovvero, si ribadisce, l’esibizione – da parte della sedicente N. – dei documenti “de quibus”.

Infatti, il giudice di appello, sebbene abbia ritenuto tale circostanza non idonea “ex se” a provare la diligenza del professionista, l’ha valorizzata in chiave presuntiva, in applicazione del principio secondo cui il notaio “non è responsabile dei danni che taluno subisca per effetto della discordanza tra l’identità effettiva e quella attestata del comparente, se l’identificazione sia il risultato di un convincimento di certezza raggiunto anche al momento dell’attestazione sulla base di una pluralità di elementi che, comunque acquisiti, siano idonei a giustificarlo secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale” (Cass. Sez. 1, sent. 30 novembre 2017, n. 288823, Rv. 646191-01).

Alla circostanza dell’esibizione dei documenti, infatti, il giudice di appello ne ha affiancato un’altra. Essa, tuttavia, non è stata identificata in quella – valorizzata, invece, dal primo giudice – della consultazione, da parte del D.L., del Sistema Informativo Interforze, per accertare che i documenti esibiti non risultassero tra quelli rubati, e ciò avendo la Corte partenopea escluso non solo che fosse stata raggiunta prova in tal senso, ma, soprattutto, che la stessa fosse realmente rilevante, giacchè l’eventuale consultazione, fornendo un esito negativo, non avrebbe offerto al notaio alcun elemento di dubbio sull’identità della sedicente N.. Per contro, il giudice di appello ha dato rilievo alla circostanza, a suo dire emersa dalla prova testimoniale, che la N. fosse “stata presentata allo studio” del notaio “da un agente immobiliare che aveva frequenti rapporti” con lo stesso, essendo, peraltro, ivi conosciuto come “persona seria”.

9.3. Tuttavia, siffatta circostanza, sebbene in astratto rilevante (e ciò alla stregua del principio secondo cui “il professionista, nell’attestare l’identità personale delle parti, deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purchè, in quest’ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti”; cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 7 dicembre 2017, n. 29321, Rv. 646654-01), risulta essere stata apprezzata dalla Corte partenopea – come lamentato dal ricorrente – in violazione dell’art. 115 c.p.c..

9.3.1. Invero, la circostanza che la sedicente N. fosse “stata presentata allo studio” del notaio D.L. “da un agente immobiliare che aveva frequenti rapporti” con lo stesso, essendo, peraltro, ivi conosciuto come “persona seria”, è stata riferita dalla teste L.O.R. (il notaio che curò la predisposizione del rogito tra il procuratore della sedicente N. e l’ O.) effettivamente “de relato ex parte”, senza che sulla stessa fosse stato neppure formulato uno specifico capitolo di prova da parte del professionista convenuto in giudizio.

Orbene, come da questa Corte ancora di recente ribadito solo “la deposizione “de relato ex parte” con cui si riferiscano circostanze sfavorevoli alla parte medesima (che funge da fonte referente)” è suscettibile di “integrare prova o, almeno, elemento di prova idoneo a suffragare altra testimonianza indiretta”, e ciò in quanto presenta “natura giuridica di prova testimoniale d’una confessione stragiudiziale (se munita del relativo “animus”) fatta a un terzo”, e quindi, “in quanto tale liberamente apprezzabile dal giudice ai sensi dell’art. 2735 c.c., comma 1, secondo periodo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 19 gennaio 2017, n. 1320), giacchè, altrimenti, in caso di deposizioni rese dai testi su fatti appresi dalle parti, “la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell’accertamento” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 15 gennaio 2015, n. 569).

Da quanto precede consegue, dunque, la mancanza di un riscontro che permetta di affermare, sul piano presuntivo, che il professionista, nell’attestare l’identità personale della sedicente N., si “trovava in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità”, essendo, così, dispensato dalla necessità di ricorrere a due fidefacenti, come previsto dalla L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 49.

9.3.2. Nè, d’altra parte, può ritenersi che la questione prospettata dall’odierno ricorrente sia nuova, ovvero che si risolva in una non consentita rivalutazione delle risultanze istruttorie.

Difatti, quanto alla supposta “novità” della questione, coglie nel segno l’osservazione del ricorrente secondo cui, non avendo il primo giudice attribuito alcun rilievo a tale circostanza (ovvero, la presentazione della sedicente N. da parte di agente immobiliare noto al D.L. come “persona seria”), la stessa ben poteva essere dedotta nella presente sede di legittimità, nella prospettiva – che è stata seguita dal ricorrente – di contestare che l’identificazione della N. fosse stata “il risultato di un convincimento di certezza” raggiunto dal Notaio “sulla base di una pluralità di elementi che, comunque acquisiti”, fossero “idonei a giustificarlo secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale”.

Nè, d’altra parte, può dirsi che la censura illustrata si risolva in un non consentito apprezzamento delle risultanze della prova testimoniale.

Se è vero, infatti, che l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458), resta, nondimeno, inteso che un conto è “l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito” che “investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare”, che “non è mai sindacabile in sede di legittimità”, altro è l’errore di percezione, che “cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 c.p.c., norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte” (Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).

Sussiste, dunque, la lamentata violazione dell’art. 115 c.p.c., visto che tale norma, “nell’imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti, implicitamente vieta di fondare la decisione su prove “immaginarie”, cioè reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte”, visto che in tal caso ci si trova “al di fuori dell’attività di valutazione delle prove, sempre insindacabile in sede di legittimità, giacchè per quanto detto altro è ricostruire il valore probatorio di un fatto od atto (attività di valutazione), altro è individuarne il contenuto oggettivo (attività di percezione)” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 9356 del 2017, cit.).

Resta, infine, inteso che l’esistenza di una prova documentale di tale circostanza – che sarebbe stata apprezzata dal giudice di prime cure (ma delle quali non vi è menzione nella sentenza qui impugnata) – dovrà essere valutata dal giudice del rinvio.

10. All’accoglimento del ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, per la decisione nel merito, alla luce dei principi dianzi enunciati, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, per quanto di ragione, cassando, per l’effetto, la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA