Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7746 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/04/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 05/04/2011), n.7746

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.R.;

– intimato –

sul ricorso 12366-2007 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G GENTILE 8,

presso lo studio dell’avvocato MARTORIELLO MASSIMO, rappresentato e

difeso dall’avvocato COGO GIOVANNA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 203/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/03/2006 r.g.n. 1105/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, inammissibile l’incidentale.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Milano, ritualmente notificato, F.R., assunto dalla società Poste Italiane s.p.a. con contratto a tempo determinato dal 2.11.1999 al 31.1.2000, ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevava la illegittimità dell’apposizione del termine al contratto in questione di talchè, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convertito in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza n. 2336/03 depositata in data 2.4,7.2003 il Tribunale adito accoglieva la domanda e dichiarava la natura a tempo indeterminato del rapporto in questione condannando la società convenuta al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore del ricorrente della retribuzione, con accessori.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società Poste Italiane s.p.a lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 8.11.2005/11.3.2006, rigettava l’appello.

In particolare la Corte territoriale, dopo aver evidenziato che le parti sociali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, e con il successivo accordo attuativo, avevano convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998, fissando quindi un preciso limite temporale, rilevava che il contratto in questione, stipulato per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione, non conteneva alcuna indicazione in ordine alla effettiva esistenza di esigenze di carattere straordinario e temporaneo concretamente riferibili alla assunzione predetta.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Poste Italiane s.p.a con cinque motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato, che propone a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo di impugnazione.

La ricorrente principale resiste con controricorso al ricorso incidentale.

La stessa ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c., dei due ricorsi perchè proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo di ricorso la ricorrente principale lamenta omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare lamenta omessa motivazione in ordine all’eccepita risoluzione del contratto per mutuo consenso in considerazione del notevole lasso di tempo trascorso fra la data di scadenza del rapporto a termine e quella in cui il lavoratore si era attivato per far valere di diritto alla conversione del rapporto di lavoro Col secondo motivo di ricorso lamenta contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che la Corte territoriale, contraddittoriamente, aveva, per un verso, prima ammesso e poi negato l’ampiezza della delega riconosciuta alla contrattazione collettiva, e, per altro verso, richiesto l’introduzione di un rigido limite temporale ad una fattispecie che riguardava problemi societari strutturali che non potevano trovare soluzione in tempi brevi.

Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2, nonchè della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3,).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato che il potere riconosciuto ai contraenti collettivi di introdurre nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle previste dalla legge, sarebbe soggetto a pretesi limiti temporali.

Col quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23 dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994, nonchè degli accordi sindacali del 25.9.1997, del 18.1.1998, del 27.4.1998, del 2.7.1998 e del 18.1.2001. in connessione con gli artt. 1362 e segg. c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva cercato di individuare un elemento, quello temporale, che la disciplina contrattuale in realtà non conteneva.

Col quinto motivo la ricorrente principale lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che la Corte territoriale, nella pretesa di desumere l’esistenza del predetto limite temporale, non previsto nè dal contratto collettivo nè dall’accordo sindacale del 25.9.1997, aveva ritenuto di ravvisarlo nel contenuto dei cd. accordi attuativi, presupponendo in tal modo l’erroneo convincimento del prevalere di questi ultimi sul contratto collettivo di settore.

Il F., con il ricorso incidentale proposto, lamenta violazione del L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24 e del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, artt. 1, 4, 5 e 6.

In particolare rileva che la Corte territoriale, nel liquidare le spese di lite poste a carico di controparte nella misura di Euro 650,00, aveva violato i minimi tabellari previsti dal vigente tariffario forense.

Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile.

Con il predetto motivo di ricorso la società lamenta in buona sostanza l’omessa pronuncia sulla eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso.

Osserva il Collegio che l’omessa pronuncia su una specifica domanda o eccezione, quale vizio della sentenza, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3, o – come verificatosi nel caso di specie – del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè siffatte censure presuppongono che il giudice di merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione della violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. sez. 1^, 12.12.2005 n. 27387; Cass. sez. 3^, 14.2.2006 n. 3190; Cass. sez. 3^, 17.7.2007 n. 15882).

Ed invero, così come formulata, la censura in parola si appalesa inammissibile, risultando denunciata quale vizio di omessa motivazione, per di più con esplicito richiamo alla norma strumentale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, un’omissione sussumibile, semmai, sotto la violazione di legge. I vizi della motivazione riguardano infatti il ragionamento svolto dal giudice di merito ed emergono dalla stessa sentenza da cui deve essere possibile individuare il mancato esame di punti decisivi della controversia.

Sotto il profilo dell’omessa motivazione, la ricorrente invece lamenta la mancanza di una pronuncia da parte della Corte territoriale sulle doglianze, asseritamente dedotte in quella sede, relative alle questioni sopra indicate (omessa pronuncia sulla eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso). Orbene, in tale diversa prospettiva la ricorrente avrebbe dovuto dedurre la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su uno specifico punto sottoposto all’esame del giudice dell’appello e non già il vizio di difetto di motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, il quale presuppone che il giudice del merito abbia comunque statuito sulla questione oggetto di doglianza, omettendo solo di giustificare la decisione resa al riguardo o giustificandola con ragioni insufficienti o contraddittorie.

Il suddetto motivo di ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Per quel che riguarda gli ulteriori motivi di ricorso, che per la stretta connessione logico – giuridica dei rilievi mossi possono esaminarsi congiuntamente, e con i quali la società ricorrente censura in buona sostanza l’affermazione della Corte territoriale secondo cui il potere riconosciuto ai contraenti collettivi di introdurre nuove ipotesi di assunzione a termine sarebbe soggetto a pretesi limiti temporali, osserva il Collegio che gli stessi sono infondati e devono essere pertanto rigettati, anche se la motivazione della sentenza merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte di Cassazione (Cass. sez. lav., 29.7.2009 n. 17651; Cass. sez. lav., 23.6.2009 n. 14657; Cass. sez. lav., 27.2.2009 n. 4840; Cass. sez. lav., 7.3.2005 n. 4862; Cass. sez. lav., 26.7.2004 n. 14011), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato. “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21062; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

Non può pertanto condividersi l’argomentazione della Corte territoriale la quale, pur riconoscendo l’esistenza di un limite temporale stabilito dalla contrattazione autorizzatoria, ha posto a fondamento della propria statuizione l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali. La sentenza, sul punto, si muove quindi erroneamente nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, e ciò è in contrasto con quanto ripetutamele affermato da questa Corte e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588.

Il ricorso tuttavia non può trovare accoglimento, anche se -per come detto – la motivazione della sentenza va parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, essendo il dispositivo conforme al diritto.

Invero nel quadro sopra delineato, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (e la Corte territoriale ha rilevato che, comunque, le parti sociali avevano convenuto di ritenere il perdurare delle condizioni sottese alla apposizione del termine “fino” al 30.4.1998), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre, Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18383; Cass. sez. lav., 14.4.2005 n. 7745; Cass. sez. lav., 14.2.2004 n. 2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in v, materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 1.10.2007 n. 20608; Cass. sez. lav., 27.3.2008 n. 7979; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (Cass. sez. lav., 29.7.2005 n. 15969; Cass. sez. lav., 21.3.2007 n. 6703), va confermata la nullità della apposizione del termine al contratto de quo, concluso, ex art. 8 CCNL 1994 e accordo collettivo 25.9.1997, successivamente al 30.4.1998, restando assorbita ogni ulteriore censura sul punto.

Nè può ritenersi la valenza meramente ricognitiva degli accordi attuativi posteriori all’accordo del 25.9.1997. Ed invero, partendo dal principio sopra indicato, della esistenza di una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, questa Corte, dopo aver ribadito la legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate quelle decisioni dei giudici di merito nella parte in cui hanno affermato la natura meramente ricognitiva dei cd. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr, ex plurimis, Cass. sez. lav., 28.8.2003 n. 12245; Cass. sez. lav., 25.8.2003 n. 12453).

La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. sez. lav., 14.2.2004 n. 2866).

La giurisprudenza di questa Corte ha, infine, ritenuto l’irrilevanza dell’accordo del 18.1.2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (in tal senso, Cass. sez. lav., 27.3.2008 n. 7979; Cass. sez. lav., 12.3.2004 n. 5141).

I predetti motivi di ricorso, con i quali la società ricorrente ha rilevato l’erroneità dell’affermazione circa l’esistenza di un limite temporale alla possibilità di stipulare contratti a tempo determinato per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali, non possono pertanto trovare accoglimento.

E’ infine inammissibile il ricorso incidentale proposto dal F..

Trattandosi infatti di ricorso avverso una sentenza depositata in data 11.3.2006, ad esso si applica, ratione temporis, l’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile, ex art. 27 del predetto decreto legislativo, ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006). Tale articolo, successivamente abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), ma applicabile nella fattispecie in esame, dispone che “nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”.

Nell’interpretazione di tale norma questa Corte (ex plurimis: Cass. SS.UU., 5.1.2007 n. 36; Cass., SS.UU., 28.9.2007 n. 20360; Cass. SS.UU., 12.5.2008 n. 11650; Cass. SS.UU., 17.7.2007 n. 15959) ha rilevato come la stessa ponga espressamente a carico di parte ricorrente l’onere di formulare, in maniera consapevole e diretta, rispetto a ciascuna censura, una conferente sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, sicchè dalla risposta (positiva o negativa), che al quesito medesimo deve essere data, possa derivare la soluzione della questione circa la corrispondenza delle ragioni dell’impugnazione ai canoni indefettibili della corretta applicazione della legge, restando, in tal modo, contemporaneamente soddisfatti l’interesse della parte alla decisione della lite e la funzione nomofilattica propria del giudizio di legittimità.

In proposito questa Corte ha ripetutamente evidenziato che il quesito di diritto non può essere individuato attraverso una operazione di estrapolazione dal motivo del ricorso, affidata al lettore della esposizione e non direttamente rilevata dal ricorso stesso (Cass. sez. lav., 3.7.2009 n. 15687), dovendo il quesito di diritto essere formulato in modo rigoroso e preciso (Cass. sez. trib., 29.2.2008 n. 5471), di talchè deve ritenersi inammissibile la formulazione implicita di tale quesito nello stesso motivo del ricorso, atteso che una siffatta interpretazione dell’art. 366 bis c.p.c., si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma (Cass. sez. 3^, 26.2.2008 n. 4968); ed invero il difensore deve formulare una apposita quaestio iuris da cui dipenderà la stessa ammissibilità del motivo.

A siffatto onere non ha ottemperato nel caso di specie il ricorrente incidentale, sicchè il ricorso dallo stesso proposto va dichiarato inammissibile.

Ricorrono giusti motivi, stante il mancato accoglimento di entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, proposti avverso la sentenza impugnata, per compensare tra le parti le spese relative al presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile l’incidentale; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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