Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7745 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. II, 30/03/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 30/03/2010), n.7745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25210/2006 proposto da:

D.M.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA AURELIA 353, presso lo studio dell’avvocato

MORLACCHINI FILIPPO, rappresentato e difeso dall’avvocato GALLUCCIO

MEZIO FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

SETCAR DI ROLLI DAVIDE & C SAS;

– intimato –

avverso la sentenza n. 34/2005 della sede distaccata del TRIBUNALE di

GALATINA, depositata il 09/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. TPPOLISTO PARZIALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.M.G. impugna la sentenza n. 34 del 2005 del Tribunale di Lecce con la quale veniva rigettato il suo appello avverso la decisione del Giudice di Pace, che aveva a sua volta respinto la sua domanda di condanna dell’odierna intimata, SETCAR sas di Rolli Davide e C., al pagamento della somma di Euro 1307,60 come corrispettivo per lavori di riparazione di un autoveicolo. In fatto l’odierno ricorrente fa presente di aver eseguito i lavori in questione commissionatigli dall’odierna intimata nell’ (OMISSIS) su un veicolo poi acquistato da M.M..

Quest’ultimo aveva richiesto sia al ricorrente che all’odierna intimata il risarcimento dei danni subiti per un importo di L. 16.800.000. Tra le parti interveniva un accordo sulla base del quale il ricorrente versava 12 milioni mentre l’intimata la residua parte di L. 4.800.000. A giudizio del ricorrente il negozio intercorso tra le parti non poteva essere qualificato come transazione e comunque non ricomprendeva anche la precedente obbligazione relativa all’esecuzione dei lavori affidatigli nell'(OMISSIS) dall’odierna intimata.

Di qui la richiesta del relativo pagamento respinta dal Giudice di Pace sul rilievo che la intercorsa transazione avrebbe riguardato anche la riparazione effettuata in precedenza.

Il Tribunale rigettava l’appello, ritenendo infondati i relativi motivi, posto che l’atto in questione dovesse essere ritenuto “transazione” non solo sulla base della qualificazione operata dalle stesse parti che tale intestazione avevano utilizzato per l’atto, ma anche per la presenza di reciproche concessioni, posto che l’odierna parte ricorrente era stata indicata quale responsabile dei danni.

Quanto alla mancata previsione all’interno di tale atto di un accordo anche sull’importo dei lavori effettuati in precedenza (che riguardavano esclusivamente il rapporto intercorso tra le odierne parti), il Tribunale osservava che tale rapporto aveva implicitamente fatto parte dell’accordo, posto che l’attività svolta dalla parte ricorrente aveva costituito specificamente l’oggetto della responsabilità della stessa, in relazione alla quale aveva anche versato l’importo di 12 milioni all’acquirente del veicolo. Osservava ancora il giudice che, se il D.M.G. avesse avuto ragioni di credito nei confronti delle parti, certamente li avrebbe fatti valere in tale sede.

Parte ricorrente articola un unico motivo di ricorso.

Parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale inviava requisitoria scritta nella quale concludeva con richiesta di trattazione del ricorso in pubblica udienza.

All’udienza camerale è stata disposta la trattazione del ricorso in pubblica udienza, nella quale le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Motivi del ricorso.

Parte ricorrente articola un unico motivo di ricorso col quale denuncia violazione art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1965 e 1967 c.c., anche in relazione all’art. 1362 c.c., nonchè omessa e/o insufficiente motivazione in ordine alla qualificazione giuridica della scrittura del 2 novembre 2000, nonchè ancora sulla inesistenza di “concessioni” da parte dell’acquirente del veicolo, che aveva richiesto i danni.

Erroneamente il Tribunale aveva qualificato la scrittura in questione come transazione senza alcuna motivazione al riguardo ed aveva ritenuto che nel suo ambito, in difetto di qualsiasi elemento probatorio scritto (richiesto all’art. 1967 c.c.) l’esistenza della ulteriore transazione sull’importo dei lavori effettuati nell’ (OMISSIS). Osserva che non vi erano reciproche concessioni, posto che non si comprendeva quale fosse la rinuncia del M. M., che era stato integralmente risarcito di quanto richiesto.

Di qui la corretta qualificazione come quietanza liberatoria dell’atto in questione. Conseguentemente nessuna transazione implicita poteva essere contenuta con riguardo al precedente rapporto intercorso tra le parti dell’odierno giudizio, rispetto al quale il M.M. era comunque estraneo. Nè comunque il giudicante aveva esposto i criteri di valutazione posti a fondamento della operata qualificazione. In ogni caso il giudice dell’appello, pur muovendosi nell’ambito dell’istituto della transazione, aveva ritenuto sussistente una transazione implicita in contrasto con gli artt. 1965 e 1967 c.c., così operando un’erronea applicazione dell’art. 1362 c.c..

2. Il ricorso è infondato e va respinto.

La complessiva censura è, anzi tutto, inidoneamente formulata.

2.1 – Quanto al vizio di motivazione, si deve considerare che il motivo deve contenere – in ossequio al disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 4, che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto – la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d’illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Di modo che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacchè, nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (e pluribus, Cass. 23.5.07 n. 12052).

Alla luce di tali principi, la censura in esame risulta inammissibile in quanto intesa non a confutare la ratio decidendo dell’impugnata sentenza, ma a prospettare una diversa lettura delle risultanze istruttorie difforme da quella in essa prescelta.

Può anche rilevarsi, sia pure per sola completezza d’argomentazione, che la motivazione fornita dal giudice a quo all’assunta decisione (tra l’altro significativamente avallando in doppia conforme la valutazione delle prove già effettuata dal primo giudice) risulta logica, argomentata ed ampiamente idonea allo scopo, basata com’è su considerazioni adeguate in ordine alla valenza oggettiva dei vari elementi di giudizio risultanti dagli atti e su razionali valutazioni di essi, laddove, sulla base di un atto scritto impegnativo per tutti i contraenti, ha evidenziato gli elementi costitutivi della ritenuta natura transattiva del negozio, palese essendo che M. rinunziava ad agire in giudizio e ad ottenere maggior ristoro in cambio del pattuito certo ed immediato, che Setcar si assumeva parte dell’onere rinunciando ad una chiamata in garanzia per l’intero nei confronti di D.M. e questi limitava la propria responsabilità altrimenti integrale, rinunciando ad altre difese e pretese nei confronti d’entrambe le controparti.

Un giudizio operato, pertanto, nell’ambito di quei poteri discrezionali dei quali si è in precedenza trattato, esclusivi di esso giudice, sì che a fronte di esso, in quanto obiettivamente immune dalle censure ipotizzabili in forza dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente è inidonea a determinare le conseguenze previste dalla norma stessa.

2.2 – Quanto alla denunziata violazione di norme sostanziali, poichè l’intera difesa ruota attorno alla tesi per cui una diversa lettura dell’atto negoziale avrebbe condotto ad una soluzione della controversia in senso a lui favorevole, avrebbe dovuto il ricorrente prospettare ogni questione al riguardo, anzi tutto, in relazione a specifiche censure d’erronea interpretazione od applicazione delle convenzioni o dichiarazioni nell’atto stesso contenute con puntuale riferimento ai criteri legali d’ermeneutica contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente dimostrato l’errore nel quale fosse eventualmente incorso il giudice del merito al riguardo, avrebbe potuto procedere ad un’utile prospettazione delle ulteriori questioni d’erronea od inesatta applicazione delle invocate norme in tema di transazione, posto che la disamina di tali questioni presuppone l’intervenuto accertamento dell’errore sull’interpretazione della volontà negoziale e non può, pertanto, aver luogo ove manchi tale previo accertamento del vizio che infici sul punto ab origine l’impugnata pronunzia, costituendo tale interpretazione il presupposto logico – giuridico delle conclusioni alle quali il giudice del merito è pervenuto poi sulla base di essa.

R’ ben vero che il ricorrente ha inteso in qualche modo censurare la valutazione del contratto in discorso effettuata dal giudice a qua ed ha, all’uopo, denunziato genericamente la violazione dell’articolo 1362 codice civile e svolto argomenti in senso contrario, tuttavia, quand’anche vi si volesse ravvisare una, seppur insufficiente, denunzia d’errore interpretativo, questa sarebbe, comunque, inidoneamente formulata ed insuscettibile d’accoglimento.

L’opera dell’interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c. e ss., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi. Pertanto, per far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare genericamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

E’, inoltre, necessario rilevare, sia pur solo ad abundantiam, come nel motivo in esame, con il quale s’imputa al tribunale l’erronea interpretazione del contratto, sia riportato solo uno stralcio incompleto e poco significativo – salvo proprio per la manifestazione della volontà di transigere – e non il testo del complessivo accordo in riferimento al quale soltanto può evincersene il significato effettivo, la correttezza o meno della cui interpretazione si richiede a questa Corte di valutare.

Ciò costituisce un’ulteriore ragione d’inammissibilità del motivo, giacchè, in violazione dell’espresso disposto dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, non vi si riportano proprio quegli elementi di fatto in considerazione dei quali la richiesta valutazione, sia della conformità a diritto dell’interpretazione operatane dalla corte territoriale, sia della coerenza e sufficienza delle argomentazioni motivazionali sviluppate a sostegno della detta interpretazione, avrebbe dovuto essere effettuata, in tal guisa non ponendosi il giudice di legittimità in condizione di svolgere il suo compito istituzionale e pluribus, Cass. 9.2.04 n. 2394, 5.9.03 n. 13012, 6.6.03 n. 9079, 24.7.01 n. 10041, 19.3.01 n. 3912, 30.8.00 n. 11408, 13.9.99 n. 9734, 29.1.99 n. 802). Infine, non può non considerarsi come l’impossibilità di rapportare le svolte censure in tema d’interpretazione della volontà negoziale delle parti all’esatto dato testuale nel quale quella volontà si è tradotta, ovviamente non surrogabile dalla lettura soggettiva datane dalla parte, comporti anche una violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, sotto il diverso profilo del difetto di specificità del motivo.

2.3 – In mancanza, dunque, d’un’adeguata impugnazione, nei sensi indicati, dei giudizi espressi dal tribunale in ordine all’atto ed al rapporto con lo stesso regolato, resta ineccepibile il consequenziale riconoscimento da parte dello stesso giudice della ricorrenza nella specie del presupposto di fatto legittimante la conferma della reiezione dell’originaria domanda, giudizio operato in conformità ai fondamentali criteri legali d’interprelazione dettati dall’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, e nell’ambito dei poteri discrezionali del giudice del merito, a fronte del quale, in quanto obiettivamente immune da censure ipotizzabili in forza dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente è inidonea a determinare le conseguenze previste dalle norme stesse.

P.T.M.

La Corte rigetta ìricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

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