Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7745 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/04/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 05/04/2011), n.7745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.G.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI

GIGLIOLA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GUARISO ALBERTO, POLIZZI EUGENIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 13104-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.G.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 369/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/03/2006 r.g.n. 1570/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega PAOLO TOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del quarto

motivo del ricorso, rigetto nel resto, accoglimento dell’incidentale.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Alessandria, ritualmente notificato, D.G.E., assunta con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a.

dal 28 luglio al 31 agosto 1997, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del CCNL 26.11.1994, per “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno -settembre”; dal 3 gennaio al 29 febbraio 2000 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”: dal 3 luglio al 30 settembre 2000 per “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre”, dal 1 febbraio al 31 maggio 2001, ai sensi dell’art. 25 del CCNL 11.1.2001, per “per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio anche derivanti da innovazioni tecnologiche, prodotti o servizi”, rilevava la illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti in questione di talchè, essendo stata l’assunzione illegittima, i contratti si erano convertiti in contratti a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai predetti rapporti di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione degli stessi in contratti a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza n. 226/2005 il Tribunale adito rigettava le domande.

Avverso tale sentenza proponeva appello la lavoratrice lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 8.3/20.3.2006, rigettava il gravame. In particolare la Corte territoriale, rilevata la legittimità del ricorso al contratto a tempo determinato con riferimento al primo, terzo e quarto contratto, stipulati per l’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie e per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione ex art. 25 CCNL 11.1.2001 (evidenziando, in relazione al quarto contratto, la presenza di entrambe le motivazioni suddette), pur ritenendo in ipotesi la illegittimità del secondo contratto, stipulato dal 3.1 al 29.2.2000 ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali, stante la mancata specifica indicazione delle particolari, eccezionali esigenze, assumeva che le successive dimissioni presentate dall’interessata in data 31.8.2000 non consentivano di ritenere l’istaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione D.G. E. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la società Poste Italiane s.p.a che reitera, in via subordinata, l’eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso e propone a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c., dei due ricorsi perchè proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo di gravame la ricorrente principale lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (motivo relativo al quarto contratto); violazione degli artt. 1372, 1362 c.c., comma 2, artt. 1366, 1175, 1324 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare rileva che la Corte territoriale, in relazione al quarto contratto intercorso dal 1 febbraio al 31 maggio 2001, aveva fatto riferimento alla legittimità del ricorso al contratto a tempo determinato per l’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre, sebbene il contratto in questione non fosse stato stipulato per la causale suddetta e non si riferisse al periodo di tempo sopra indicato.

Col secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 1372, 1362 c.c., comma 2, artt. 1366, 1175, 1324 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5,:

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (motivo relativo al secondo e terzo contratto).

Osserva in particolare che erroneamente la Corte territoriale, pur rilevando l’illegittimità del secondo contratto stipulato dal 3.1 al 29.2.2000, aveva ritenuto che le intervenute dimissioni dal successivo rapporto a termine (il terzo) precludessero l’applicazione della sanzione della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Col proposto ricorso incidentale condizionato la società Poste Italiane s.p.a. lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23; violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); contraddittoria ed omessa pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto – in relazione al secondo contratto intercorso dal 31.1.2000 al 29.2.2000 – che, al fine di giustificare l’apposizione del termine ai contratti stipulati ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 e del successivo art. 8 del CCNL del 26 novembre 1994, così come integrato con l’accordo collettivo del 25 settembre 1997, fosse richiesta non solo l’esistenza di una fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti, ma anche la prova della sussistenza di specifiche “esigenze eccezionali” che fossero diretta conseguenza proprio di quella ristrutturazione.

Ritiene il Collegio di dover prendere le mosse, nella trattazione della presente vicenda giudiziaria, per ragioni di natura logico sistematica, dal rilievo sollevato dalla società intimata circa la mancata statuizione da parte della Corte territoriale sulla eccezione di scioglimento del rapporto per mutuo consenso sollevata dalla società predetta.

Il rilievo è inammissibile.

Osserva invero il Collegio che, per il principio di specificità e autosufficienza del ricorso, è necessario che nello stesso siano indicati con precisione tutti quegli elementi di fatto – e nel caso si tratti di atti documentali, che gli stessi siano riportati in ricorso o siano ad esso allegati – che consentano di controllare l’esistenza del denunciato vizio senza che il giudice di legittimità debba far ricorso all’esame degli atti.

E pertanto nel caso di specie la società intimata, nel far riferimento alla eccepita omessa statuizione da parte del giudice di appello in ordine alla eccezione relativa alla avvenuta risoluzione del contratto per mutuo consenso, avrebbe dovuto riportare (ovvero allegare al ricorso) il contenuto della memoria depositata nel predetto giudizio di appello, onde consentire a questa Corte di valutare l’effettività della denunciata omissione riscontrando preliminarmente l’effettiva esistenza della suddetta richiesta; ciò in quanto pregiudiziale ad ogni determinazione in ordine alla lamentata omessa statuizione da parte del giudice di appello su una specifica determinata questione, si appalesa l’accertamento della effettiva sottoposizione di tale questione al vaglio del suddetto giudice. Tale omissione ha comportato una palese violazione del canone di autosufficienza e pertanto la censura va dichiarata inammissibile.

Posto ciò, esaminando in ordine logico le questioni sollevate dalle parti, viene in rilievo innanzi tutto il secondo motivo del ricorso principale, concernente il rapporto intercorso tra le parti dal 3 gennaio al 29 febbraio 2000, motivo che si appalesa strettamente connesso a quello oggetto del ricorso incidentale proposto dalla società; donde la opportunità di una trattazione unitaria degli stessi.

Sul punto osserva innanzi tutto il Collegio che, siccome rilevato dalla Corte territoriale, il contratto in questione è illegittimo, anche se non sono condivisibili le ragioni poste dalla Corte suddetta a fondamento della propria determinazione.

Invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte di Cassazione (Cass. sez. lav., 29.7.2009 n. 17651; Cass. sez. lav., 23.6.2009 n. 14657; Cass. sez. lav., 27.2.2009 n. 4840; Cass. sez. lav., 7.3.2005 n. 4862; Cass. sez. lav., 26.7.2004 n. 14011), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato. “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21062; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

Non può pertanto condividersi la motivazione della Corte territoriale la quale ha posto a fondamento della propria statuizione l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali. La sentenza si muove quindi erroneamente nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, e ciò è in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588.

Tuttavia l’assunto della Corte territoriale circa la illegittimità del detto contratto è corretta, e di conseguenza non può trovare accoglimento il ricorso incidentale proposto dalla società datoriale.

Invero nel quadro sopra delineato, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (e la Corte territoriale ha rilevato che, comunque, le parti sociali avevano convenuto di ritenere il perdurare delle condizioni sottese alla apposizione del termine “fino” al 30.4.1998), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre, Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18383; Cass. sez. lav., 14.4.2005 n. 7745; Cass. sez. lav., 14.2.2004 n. 2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 1.10.2007 n. 20608; Cass. sez. lav., 27.3.2008 n. 7979; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (Cass. sez. lav., 29.7.2005 n. 15969; Cass. sez. lav., 21.3.2007 n. 6703), va confermata la nullità della apposizione del termine al contratto de quo, concluso, ex art. 8 CCNL 1994 e accordo collettivo 25.9.1997, successivamente al 30.4.1998, restando assorbita ogni ulteriore censura sul punto.

Nè può ritenersi la valenza meramente ricognitiva degli accordi attuativi posteriori all’accordo del 25.9.1997. Ed invero, partendo dal principio sopra indicato, della esistenza di una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, questa Corte, dopo aver ribadito la legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate quelle decisioni dei giudici di merito nella parte in cui hanno affermato la natura meramente ricognitiva dei cd. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. sez. lav., 28.8.2003 n. 12245; Cass. sez. lav., 25.8.2003 n. 12453).

La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. sez. lav., 14.2.2004 n. 2866).

La giurisprudenza di questa Corte ha, infine, ritenuto l’irrilevanza dell’accordo del 18.1.2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (in tal senso, Cass. sez. lav., 27.3.2008 n. 7979; Cass. sez. lav., 12.3.2004 n. 5141).

Ritenuta pertanto la illegittimità del detto contratto, e quindi la intervenuta conversione dello stesso in contratto a tempo indeterminato stante la illegittimità del termine ad esso apposto, rileva il Collegio che l’assunto della Corte territoriale secondo cui le successive dimissioni presentate dall’interessata in data 31.8.2000 – in relazione al successivo contratto a tempo determinato corrente dal 3 luglio al 30 settembre 2000 – non consentivano di ritenere l’istaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si appalesa non correttamente motivato.

Deve ritenersi invero fondato il secondo motivo del ricorso proposto dalla lavoratrice, avendo la Corte territoriale omesso di esaminare l’esistenza di un vizio di consenso in relazione alle predette dimissioni, presentate dalla lavoratrice con riferimento ad un rapporto di lavoro a tempo determinato (dal 3.7 al 30.9.2000), laddove, per come detto, doveva già ritenersi l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato a seguito della conversione del rapporto intercorso tra le parti dal 3 gennaio al 29 febbraio 2000.

Merita pertanto accoglimento il suddetto motivo del ricorso principale, in esso assorbito l’ulteriore motivo concernente la dedotta illegittimità del successivo contratto intercorso dal 1 febbraio al 31 maggio 2001 (mentre va per contro rigettato il ricorso incidentale proposto dalla società datoriale), e la sentenza impugnata deve essere di conseguenza cassata con rinvio alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, la quale provvedere a valutare l’appello proposto dalla lavoratrice attenendosi ai rilievi sopra svolti ed ai suddetti principi di diritto e statuirà anche sulle spese.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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