Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7744 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. I, 18/03/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 18/03/2021), n.7744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2160/2019 proposto da:

O.F., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Valeria D’Addezio, in forza di procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA, depositato il

06/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/02/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis O.F., cittadino della (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Potenza – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dalla (OMISSIS) a causa di un gruppo di malviventi che volevano ucciderlo a causa del fratello, senza peraltro aver mai fornito alcuna spiegazione di tale aggressione; di essere giunto in Libia insieme al fratello, che era stato ammazzato da un trafficante che non lo voleva imbarcare perchè non c’erano più posti disponibili; di temere attentati alla vita in caso di rientro in (OMISSIS).

Con ordinanza del 6/12/2018, il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto asseritamente non notificato ha proposto ricorso per cassazione O.F., con atto notificato 2/1/2019 svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla valutazione di non credibilità del ricorrente.

1.1. A tal proposito – osserva il ricorrente – il giudice, con motivazione illogica ed apparente, non si era attenuto ai criteri legali fissati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 pur avendo riscontrato l’assenza di incongruenze nel racconto reso dal richiedente in sede amministrativa e giudiziale, senza considerare la generale attendibilità del racconto il Tribunale lo aveva valutato come non plausibile solo sulla base dell’irrazionalità del timore attuale di rientro nel Paese di origine, per vero apprezzata secondo criteri “occidentali” e ponendo indebitamente i riflettori su aspetti marginale della narrativa del richiedente asilo.

1.2. Il motivo non appare ammissibile.

Anche a prescindere dal giudizio formulato dal Tribunale di “sostanziale inattendibilità” del racconto del richiedente asilo, giudicato “dubbio e non verosimile”, su cui si concentrano le censure del ricorrente, la principale ragione per cui il ricorso è stato disatteso, almeno quanto alle due forme di protezione internazionale, è che il richiedente aveva prospettato un rischio del tutto inconsistente in caso di rientro in (OMISSIS), visto che egli aveva attribuito la sua fuga a ragioni, mai esplicitate, di malanimo di un gruppo di malviventi nei confronti di suo fratello e che costui era stato ucciso in Libia da un trafficante per negargli l’imbarco alla volta dell’Italia.

Cosa questa che ha indotto il Tribunale ad affermare che la minaccia di violenze o attentati alla vita nei confronti del richiedente asilo poteva essere escluso come non attuale.

A questo riguardo, il ricorrente si limita a considerazioni del tutto generiche in ordine ad una auspicata valutazione “culturalmente relativista” del suo timore, senza neppure spiegare perchè quel timore si era ingenerato e persisteva; il che appare tanto più grave, sì da inficiare i requisiti di autosufficienza e specificità del ricorso, perchè il ricorso neppure espone il contenuto della vicenda narrata dal richiedente asilo, non mettendo questa Corte in condizione di apprezzare se e in quale misura la valutazione del Tribunale, peraltro riversata nel merito e quindi insindacabile in questa sede, fosse erronea.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla sussistenza di una situazione di conflitto armato interno in (OMISSIS).

2.1. Tale situazione, secondo il ricorrente, era stata esclusa con motivazione apparente e in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 15, lett. c) della Direttiva 2004/83/CE, mentre anche la zona dell'(OMISSIS) era interessata da una situazione di violenza diffusa acclarata da fonti internazionali

2.2. Il motivo è inammissibile perchè, sotto lo schermo di una dedotta violazione di legge, si limita a contestare nel merito la valutazione espressa dal Tribunale, basata sulla preventiva consultazione di fonti informative accreditate, debitamente riassunte e citate.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento al mancato esame del principio del non refoulement di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra e ai rischi per l’integrità fisica e personale del richiedente asilo.

Il motivo è palesemente inammissibile perchè il ricorrente deduce il vizio motivazionale, nei limiti attualmente consentiti dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c. con riferimento non già a un fatto storico, come sarebbe stato necessario, ma a principi e norme giuridici.

In ogni caso, non viene in diretto rilievo l’art. 33 della Convenzione di Ginevra che impegna Stati contraenti a non espellere e respingere, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

La legislazione Europea – e da ultimo la direttiva UE 13/12/2011 n. 95 – 2011/95/CE, del Parlamento Europeo e del Consiglio recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonchè sul contenuto della protezione riconosciuta- codifica un regime Europeo comune in materia di asilo basato sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28/7/1951, integrata dal protocollo di New York del 31/1/1967 e di garantire in tal modo che nessuno sia nuovamente esposto alla persecuzione, in ottemperanza al principio di “non respingimento” (divieto di rimpatrio a rischio di persecuzione).

La Convenzione di Ginevra e il relativo protocollo costituiscono la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati (3 e 4 considerando della Direttiva95/2011).

La legislazione italiana si ispira e recepisce pienamente la disciplina armonizzata Europea in tema di protezione internazionale.

L’invocazione diretta, peraltro non motivata e non spiegata, della Convenzione di Ginevra e del divieto di respingimento non può recare alcun pratico giovamento al richiedente poichè la disciplina Europea e italiana in tema di protezione internazionale ad essa si ispirano e la attuano in pratica: il divieto di respingimento assume rilievo solo in sede di espulsione e non già quando il richiedente abbia richiesto per le stesse ragioni la protezione internazionale.

Il tutto non senza ricordare che il giudizio, non validamente censurato, circa l’inattualità di qualsiasi pericolo per il richiedente asilo, priva ulteriormente di utilità l’argomentazione.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in tema di protezione umanitaria nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, avendo il Tribunale mancato di considerare l’assistenza del ricorrente al brutale omicidio del fratello e di verificare se tale fatto gli avesse provocato un trauma.

La censura è inammissibile poichè il ricorrente non riferisce quando e come nel giudizio di merito, nel rispetto dei suoi oneri assertivi, avesse allegato l’esistenza di postumi che inficiassero la sua integrità psico-fisica eziologicamente connessi all’episodio della morte del fratello.

Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa. (Sez. 6 – 5, n. 32804 del 13/12/2019, Rv. 656036 – 01; Sez. 2, n. 2038 del 24/01/2019, Rv. 652251 02; Sez. 2, n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 – 01).

5. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese, in difetto di costituzione della parte intimata.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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