Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7744 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/04/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 05/04/2011), n.7744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

EDITRICE TELESTAMPA SUD SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo

studio dell’avcocato IACOBELLI GIANNI EMILIO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.L., P.M. F.O., I.

M., M.C., S.S., B.

G., C.G., P.P., V.G.;

– intimati –

sul ricorso 9033-2008 proposto da:

M.C., P.P., B.A., F.

O., I.L., I.M., P.M.,

S.S., V.G., B.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ODERISI DA GUBBIO n. 31,

presso lo studio dell’avvocato BORZACCHIELLO ASSUNTA, rappresentati e

difesi dall’avvocato TRUPPI MICHELE, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

EDITRICE TELESTAMPA SUD SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 75/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/02/2007, R.G.N. 3729/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

Udito l’Avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO;

udito l’Avvocato TRUPPI MICHELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

principale e in subordine il rigetto. Assorbito il ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16.6.2005 il Tribunale di Napoli ha accertato l’illegittimità dei licenziamenti intimati dalla Editrice Telestampa Sud srl ai lavoratori ricorrenti all’esito della procedura di mobilità di cui alla L. n. 223 del 91 e ne ha ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro, con la condanna della società alla corresponsione di tutte le retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento a quella della reintegra, detratto dell’aliunde perceptum, liquidate come in dispositivo.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la società deducendo la nullità della sentenza di primo grado in quanto modificata impropriamente nel dispositivo con raggiunta del nome di uno dei ricorrenti (che non figurava nel dispositivo letto in udienza) e, a seguito di istanza di correzione di errore materiale, con la precisazione che le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno dovevano intendersi “quantificate fino a maggio 2005″.

L’appellante lamentava inoltre che il Tribunale non si era limitato al riscontro della correttezza della procedura, ma era entrato nel merito delle scelte organizzative del datore di lavoro, aveva erroneamente ritenuto sussistente la violazione dei criteri di scelta e, nella determinazione del danno, non aveva esaminato l’eccezione di compensazione ai fini dell’aliunde perceptum e non aveva correttamente applicato la regola posta dall’art. 1227 c.c..

Gli appellati hanno proposto a loro volta appello incidentale condizionato all’accoglimento dell’eccezione di nullità della sentenza, chiedendo che, previa declaratoria d’illegittimità o inefficacia dei licenziamenti, la società venisse condannata a reintegrare tutti i lavoratori che avevano proposto il ricorso, specificando che le somme indicate nel dispositivo della sentenza di primo grado erano state quantificate fino al maggio 2005.

Con sentenza del 12.2.2007 la Corte di Appello di Napoli ha respinto l’appello principale ed ha accolto l’appello incidentale, ritenendo l’inefficacia (e non l’illegittimità) del licenziamento intimato ai ricorrenti per inosservanza delle procedure previste dalla L. n. 223 del 1991, art. 4 e dichiarando che le somme quantificate nella sentenza impugnata erano quelle maturate fino al maggio 2005.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Editrice Telestampa Sud srl affidandosi a tre motivi cui resistono con controricorso i lavoratori., deducendo che in epoca successiva alla sentenza è intervenuta conciliazione della controversia in ordine alla determinazione del risarcimento del danno retributivo (di cui producono verbale) e proponendo ricorso incidentale condizionato fondato su un unico motivo, con istanza di pronuncia del principio di diritto, ex art. 363 c.p.c., comma 3.

La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. e osservazioni scritte ex art. 379 c.p.c., comma 4.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, deve essere disposta la riunione delle impugnazioni, ex art. 335 c.p.c..

1.- Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 429, in relazione agli artt. 156, e 287 c.p.c., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla statuizione con cui la Corte territoriale ha respinto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado sollevata dalla società con i motivi di appello sul rilievo che il dispositivo letto in udienza non conteneva il nome di uno dei ricorrenti (” S.S.”) nè la precisazione che le somme ivi indicate dovevano intendersi “quantificate fino a maggio 2005”, elementi entrambi aggiunti in sede di correzione di errore materiale senza che ne ricorressero i presupposti e comunque dopo che il primo (il nome di S.S.) era già stato inserito nel dispositivo all’atto della redazione della motivazione, senza alcuna preventiva istanza di correzione.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e art. 9, degli artt. 2697, 1362 e ss. c.c., in relazione all’art. 14 del c.c.n.l. del 19.10.1994, degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 1419 c.c., anche in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 5, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sull’assunto che la Corte territoriale avrebbe totalmente omesso di considerare che, all’esito dell’attività istruttoria, era emersa la prova della irreversibilità della crisi produttiva e della effettiva impossibilità di fare ricorso a misure alternative al licenziamento, e che non era invece stato dimostrato che eventuali vizi formali della comunicazione di avvio della procedura di mobilità, se pure esistenti, avessero avuto concreta incidenza sul corretto svolgimento della consultazione sindacale e sulle finalità della procedura;

sotto altro profilo, la sentenza impugnata, nel ritenere che la comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, non contenesse alcuna specificazione sulle modalità di applicazione del criterio di scelta (facendo riferimento, peraltro, solo agli addetti al reparto spedizione e non a tutte le altre figure professionali pure coinvolte nella procedura di mobilità), non avrebbe considerato che, qualora il progetto di ristrutturazione riguardi in modo esclusivo una unità operativa o uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, ben può essere effettuata nell’ambito dell’unità produttiva ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, tenendo conto dell’inquadramento assegnato al personale e, nel caso di promiscuità di mansioni, di quelle svolte con criterio di prevalenza.

3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del L. n. 300 del 1970, art. 18, L. n. 22 del 1991, art. 5 in relazione agli artt. 1227 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1218, 1217 c.c., art. 1227 c.c., comma 2, artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c. in riferimento all’art. 14 del c.c.n.l. per le aziende stampatrici di giornali del 1994 e alla L. n. 416 del 1981, art. 35, art. 420 c.p.c., nonchè omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla statuizione con cui la Corte territoriale ha liquidato il danno in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione nel posto di lavoro, senza considerare che, a questi fini, avrebbe dovuto tenersi conto sia della proposta fatta dall’azienda, ma rifiutata dalle organizzazioni sindacali, di attivare la procedura di cassa integrazione guadagni, sia del comportamento dei lavoratori, che avevano atteso oltre 21 mesi dalla data del licenziamento prima di proporre il ricorso giudiziario (e non avevano comunque fornito elementi idonei a comprovare l’ammontare del credito vantato nei confronti della società).

4.- Con il ricorso incidentale – proposto solo in via subordinata all’accoglimento di quello principale – i controricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 1 e 3, art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sull’assunto che, in presenza di specifiche contestazioni dei lavoratori circa la sussistenza dei presupposti del licenziamento collettivo, il sindacato giurisdizionale debba estendersi anche all’accertamento delle “effettive” esigenze di riduzione e trasformazione dell’attività produttiva allegate dal datore di lavoro nel corso della procedura di mobilità collettiva.

5.- Preliminarmente, va esaminata la questione relativa al perdurare dell’interesse delle parti all’impugnazione pur dopo la conciliazione in sede sindacale intervenuta tra le stesse parti in data 10.2.2007, ossia dopo il deposito della sentenza in appello e prima della notifica del ricorso per cassazione, questione che, ad avviso della Corte, deve essere risolta in senso affermativo, salvo quanto si dirà in ordine al terzo motivo del ricorso principale.

6.- Come è noto, la cessazione della materia del contendere, che comporta il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio, può essere dichiarata dal giudice, anche d’ufficio, quando sia sopravvenuta una situazione riconosciuta ed ammessa da entrambe le parti che ne abbia eliminato la posizione di contrasto anche circa la rilevanza giuridica delle vicende sopraggiunte, ed abbia perciò fatto venir meno oggettivamente la necessità della pronuncia del giudice su quanto costituiva oggetto di controversia (cfr. ex multis Cass. 1950/2003).

7.- Nella specie, fatto sempre salvo quanto verrà precisato in ordine al terzo motivo di ricorso, non è dato riscontrare una situazione di tal genere, posto che nell’accordo transattivo in esame è riservata espressamente alla società la facoltà di proporre ricorso per cassazione al fine di ottenere la cassazione della sentenza della Corte di Appello, sia pure con effetti limitati alla sola “obbligazione contributiva nascente dalle pronunzie giudiziarie di merito, già intervenute – e che “assumerà definitività all’esito dell’esperimento o mancata proposizione di tutti i mezzi di impugnazione previsti dal codice di rito … che conseguentemente le parti in relazione ai reciproci interessi e con riferimento esclusivo all’aspetto contributivo, non oggetto di transazione, si riservano di proporre” (punto 7 della transazione) – avendo, per il resto, le parti convenuto la risoluzione consensuale di tutti i rapporti di lavoro e la società rinunciato comunque alla ripetizione delle somme versate ai lavoratori in esecuzione dell’accordo, anche “in ipotesi di giudicato ad essa favorevole, stante la rinuncia dei lavoratori alla prosecuzione dei procedimenti coattivi in corso e ad ogni eventuale ulteriore pendenza retributiva relativa al rapporto di lavoro intercorso tra le parti” (punto 4 della transazione); ciò è sufficiente a far escludere la sussistenza dei presupposti della cessazione della materia del contendere e la conseguente inammissibilità, per questo solo motivo, del ricorso per cassazione.

8.- Premesso, dunque, che non sussistono i presupposti della cessazione della materia del contendere, va rilevato che il ricorso principale deve ritenersi comunque inammissibile per svariate ragioni, appresso indicate in relazione a ciascun motivo di ricorso.

9.- Il primo motivo è inammissibile in considerazione anzitutto dell’effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza d’appello e del principio secondo cui le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione. In conseguenza di tale principio, il giudice d’appello che rilevi l’esistenza di un siffatto vizio nella sentenza impugnata non può rimettere la causa al primo giudice – salvo che non ricorrano le ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. – ma deve trattenerla per la decisione nel merito, con l’ulteriore conseguenza che manca l’interesse alla proposizione del ricorso per cassazione qualora detto giudice abbia pronunciato nel merito, ancorchè non abbia dichiarato la nullità della sentenza di primo grado prospettata in sede di gravame (Cass. 11517/95, Cass. 6613/95, Cass. 13001/92).

10.- Nella specie, la Corte territoriale, pur ritenendo che le denunciate omissioni (quelle relative al nome di uno dei ricorrenti ed al limite temporale entro il quale erano state quantificate le somme riportate nel dispositivo) non incidessero sul contenuto sostanziale della decisione – e fossero dunque suscettibili di correzione mediante la procedura di cui all’art. 287 c.p.c. – ha, comunque, ‘pur se al fine di eliminare ogni incertezza interpretativà” (vedi pag. 11 della sentenza impugnata), esaminato l’appello incidentale condizionato, accogliendolo e pronunciando quindi nel merito, con la precisazione che la statuizione di reintegra nel posto di lavoro doveva intendersi emessa anche nei confronti di S.S. e che le somme indicate nel dispositivo dovevano intendersi quantificate fino al maggio 2005. Con tale statuizione, ancorchè non sia stata dichiarata la nullità della sentenza di primo grado, è venuto, dunque, meno l’interesse della società alla proposizione del ricorso per cassazione in ordine ad eventuali vizi afferenti la stessa sentenza, ormai sostituita da quella del giudice d’appello; nè potrebbe fondatamente sostenersi che,,nel caso in esame si verte un ipotesi di inesistenza e non di nullità della sentenza di primo grado, poichè, come recentemente precisato da questa Corte – cfr. Cass. 11668/2008 -, nel rito del lavoro, la difformità tra il dispositivo letto in udienza e quello trascritto in calce alla motivazione della sentenza non è causa di nullità – e tanto meno di nullità insanabile – di quest’ultima, giacchè, nel contrasto tra i due dispositivi, prevale quello portato a conoscenza delle parti mediante lettura in udienza, potendosi ravvisare nullità solo nel caso di insanabile contrasto tra il dispositivo letto in udienza e la motivazione della sentenza – ipotesi che, peraltro, non si riscontra nella fattispecie in esame – laddove, ove la motivazione sia coerente con il dispositivo letto in udienza, quello difforme trascritto in calce alla sentenza è emendabile con la procedura di correzione degli errori materiali.

Anche il contrasto tra il dispositivo letto in udienza e la motivazione della sentenza non determina, del resto, l’inesistenza della sentenza, ma la sua nullità, da far valere mediante impugnazione (Cass. 8894/2010, Cass. 7698/2008, Cass. 22661/2007, Cass. 18143/2006, Cass. 1729/2006, Cass. 11895/95).

11.- Anche il secondo motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile.

Come osservato dai controricorrenti, infatti, il ricorso non contiene specifiche censure in ordine a tutte le ragioni sulle quali si fonda la pronuncia di inefficacia dei recessi intimati ai lavoratori, omettendo, in particolare, di prendere in considerazione la ragione di inefficacia costituita dalla incompletezza della comunicazione di avvio della procedura sotto il profilo dell’omessa indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale abitualmente impiegato, nonchè della genericità del richiamo ai profili professionali del personale eccedente, in assenza di qualsiasi indicazione circa la collocazione aziendale (effettiva) di detto personale (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata); tale carenza è stata anch’essa ritenuta decisiva ai fini della dichiarazione di inefficacia dei licenziamenti, avendo la Corte territoriale ritenuto (pagg. 14 e ss. della sentenza) che “la sola indicazione relativa alle ripercussioni della perdita delle due testate appare svolta molto genericamente e senza alcun preciso collegamento ai profili ritenuti eccedentari … Nessuna allegazionedell ‘organigramma aziendale riguardante il personale abitualmente impiegato è contenuta nella stessa comunicazione … osserva la Corte che la comunicazione di avvio della procedura con le informazioni prescritte dalla legge abbia un rilievo fondamentale alfine di consentire un’effettiva trasparente consultazione sindacale … l’inadeguatezza di tale comunicazione che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo sindacale determina l’inefficacia dei recessi …”. Si tratta, dunque, di una ragione autonoma e distinta dalle altre indicate in sentenza, singolarmente idonea a sorreggerla sul piano logico e giuridico. Non senza trascurare che si tratta di affermazioni pienamente coerenti con il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui, in tema di procedure di mobilità e di licenziamento collettivo, la comunicazione alle r.s.a.

di inizio della procedura ha sia la finalità di far partecipare le organizzazioni sindacali alla successiva trattativa per la riduzione del personale, sia di rendere trasparente il processo decisionale datoriale nei confronti dei lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi dall’azienda. La mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 – e così della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente e di quello abitualmente impiegato nell’impresa – invalida la procedura e determina l’inefficacia dei licenziamenti; tale vizio non è sanato ex se dalla successiva stipulazione di accordo sindacale di riduzione del personale e dalla indicazione in esso di un criterio di scelta dei dipendenti da licenziare, ed il giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità deve comunque verificare – con valutazione di merito a lui devoluta e non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistita da valutazione sufficiente e non contraddittoria – l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (Cass. 5034/2009, Cass. 15479/2007).

Questa Corte (cfr. Cass. 14679/2000) ha, del resto, già affermato che le eventuali insufficienze della comunicazione di avvio della procedura di mobilità non perdono rilievo per il solo fatto che sia stato poi stipulato un accordo di mobilità, giacchè gli adempimenti imposti dal citato art. 4 sono intesi a garantire la trasparenza delle scelte aziendali e l’effettività del ruolo svolto dal sindacato attraverso una corretta e completa informazione preventiva (così anche Cass. 4228/2000, nonchè Cass. 9743/2001 che ha ribadito che l’inefficacia del licenziamento – che ricorre in caso di omissione della comunicazione per iscritto, alle rappresentanze sindacali aziendali e alle associazioni di categoria nonchè all’Ufficio provinciale del lavoro, contenente l’indicazione dei motivi dell’eccedenza e di tutti gli altri elementi prescritti dalla citata L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, – non è “sanatà dall’accordo sindacale comprensivo dell’individuazione dei lavoratori da licenziare). Così come aveva affermato che, se è vero che la legge affida alle organizzazioni sindacali il potere di rappresentare, nel corso della procedura, gli interessi dei lavoratori che ne vengano coinvolti, è altresì vero che nessuna norma autorizza a ritenere che il singolo lavoratore non possa contestare la legittimità di atti dai quali possa derivargli un pregiudizio, con la conseguenza che deve ritenersi spettante al lavoratore, che pur rimane estraneo allo svolgimento delle procedure di consultazione sindacale e amministrativa, il diritto di far valere omissioni o inesattezze delle comunicazioni del datore di lavoro (L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3) che abbiano determinato una falsa o incompleta rappresentazione della realtà, tale da compromettere il corretto svolgimento dell’esame congiunto con il sindacato, e quindi da incidere sulla correttezza dei provvedimenti finali adottati (Cass. 10961/99). A sua volta, Cass. 9 settembre 2003, n. 13196, condivisa dal Collegio, ha precisato che il lavoratore è legittimato a far valere l’incompletezza della informazione perchè la comunicazione rituale, completa della mancanza di alternative ai licenziamenti, rappresenta, nell’ambito della procedura, una cadenza legale che, se mancante, è ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato. Con la stessa sentenza è stata coerentemente negata validità all’indirizzo che assegna rilievo alla incompletezza della comunicazione solo ove essa si traduca in un comprovato nocumento per il lavoratore (Cass. 4228/2000), osservando, in contrario, che la regolarità della procedura rappresenta un momento ineludibile affinchè il potere risolutorio del datore di lavoro possa legittimamente esercitarsi ed evidenziando che una diversa soluzione, “svalutando la funzione della procedura e di conseguenza il ruolo del sindacato”, finirebbe “per collocare le irregolarità della stessa nell’ambito delle nullità innocue, categoria che contraddice il già evidenziato ruolo del sindacato”.

12.- Con la sentenza in esame, i giudici di appello, oltre a quanto già sopra evidenziato, hanno rilevato anche che, a fronte della incompletezza della comunicazione di avvio della procedura di mobilità, le organizzazioni sindacali avevano richiesto, dapprima, un’ulteriore consultazione con tutti lavoratori e, successivamente, avevano ribadito la richiesta di ritiro della procedura, evidenziando al riguardo l’assoluta carenza delle motivazioni datoriali. A fronte di tale richiesta, l’azienda aveva ugualmente dato corso alla procedura di mobilità. Tale carenza era, quindi, tale “da aver compromesso una seria possibilità di confronto e discussione concreti sull’intera problematica aziendale e di un eventuale consequenziale accordo sulla programmata riduzione di personale”, determinando così una violazione delle prescrizioni stabilite dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, e l’inefficacia dei recessi ai sensi dell’art. 4, comma 12, della stessa legge.

Il giudice d’appello ha, dunque, correttamente verificato – sulla base di una valutazione di merito a lui devoluta e non censurabile nel giudizio di legittimità in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria – l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura. Si tratta, come già detto, di una valutazione di merito che, per essere adeguatamente motivata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici in precedenza enunciati, si pone come una ragione logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione.

L’omessa impugnazione di tale autonoma e distinta ratio decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, e così il secondo motivo nel suo complesso.

13.- Il terzo motivo, con il quale la ricorrente censura le statuizioni rese dalla Corte territoriale relativamente ai motivi di appello concernenti la determinazione del danno, il rigetto della domanda riconvenzionale e il non adeguato esame dell’eccezione di compensazione ai fini dell’aliunde perceptum e dell”aliunde percipiendum, è inammissibile per difetto di interesse della società ad una diversa determinazione del danno risarcibile, una volta che questo è stato definitivamente stabilito nel verbale di conciliazione di cui si è fatto cenno sub 5), con una clausola di irripetibilità delle somme riscosse dai lavoratori in esecuzione della transazione e la rinuncia dei medesimi ad ogni eventuale ulteriore pendenza retributiva relativa al rapporto di lavoro (punto 4 della transazione). E tutto ciò a prescindere dalla considerazione che, a fronte di una sentenza come quella impugnata – che fa corretta applicazione nella fattispecie scrutinata dei principi ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. al riguardo Cass. 9072/2007, Cass. 9898/2005, Cass. 8364/2004, Cass. 6668/2004, Cass. 5532/2003, Cass. 3904/2002, Cass. 5662/99, Cass. 2630/98, Cass. 5993/95, Cass. 7872/91) – non si è fatto in alcun modo riferimento ad elementi probatori idonei a dimostrare l’aliunde perceptum (in misura maggiore di quella già dichiarata dai lavoratori e già detratta dal risarcimento dei danni) o la sussistenza di un fatto colposo dei lavoratori in relazione al danno che gli stessi avrebbero potuto evitare usando la normale diligenza, formulando una serie di quesiti di diritto assolutamente inidonei ad evidenziare il nesso tra la fattispecie e i principi di diritto che si chiede vengano affermati e a far comprendere senza equivoci le violazioni denunciate.

14.- Il ricorso principale, in definitiva, deve essere dichiarato integralmente inammissibile.

15.- Il ricorso incidentale è subordinato all’accoglimento di quello principale e deve comunque dichiararsi inefficace – in conseguenza della dichiarata inammissibilità dell’impugnazione principale – in quanto tardivo, ex art. 334 c.p.c., comma 2, (la sentenza impugnata è stata depositata il 12.2.2007 e il controricorso contenente ricorso incidentale notificato il 20.3.2008).

16.- Il potere di pronunciare il principio di diritto nell’interesse della legge (art. 363 c.p.c., comma 3), il cui esercizio è stato sollecitato dai controricorrenti, è discrezionale e ricorre solo quando il ricorso (nel quale viene trattata la questione ritenuta di particolare importanza) è dichiarato inammissibile. La questione relativa all’ambito del sindacato giurisdizionale in tema di licenziamento collettivo risulta, peraltro, ampiamente trattata e risolta univocamente dalla giurisprudenza della S.C. (cfr. per tutte Cass. 11455/99, Cass. 21541/2006, Cass. 5089/2009) nel senso della esclusione di un sindacato giurisdizionale sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o di trasformazione dell’attività produttiva che prescinda dalla allegazione di specifiche violazioni della procedura o dalla prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle oo.ss. e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori. Non ricorrono pertanto i presupposti per l’esercizio del potere di formulare il principio di diritto ex art. 363, comma 2, c.p.c. 17.- Le spese del giudizio di legittimità, liquidate secondo i criteri previsti dalla vigente tariffa professionale nel caso di difesa di più parti aventi la stessa posizione processuale, seguono la soccombenza e vengono distratte a favore del procuratore antistatario.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale, inefficace l’incidentale; condanna la ricorrente al pagamento in favore dei resistenti delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 88,00 oltre Euro 10.000,00 per onorario unico difensivo, oltre IVA, CPA e spese generali, con distrazione a favore dell’avv. M. Truppi per dichiarata anticipazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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