Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7742 del 24/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/03/2017, (ud. 27/01/2017, dep.24/03/2017),  n. 7742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25061/2015 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

94, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA FIORE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO BERTELLI

LEONESIO;

– ricorrente –

contro

R.M., rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO ARBOSTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1340/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 12/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente R.S. impugna, articolando un unico motivo di ricorso, la sentenza 26 gennaio 2015, n. 1340/2015, della Corte d’Appello di Brescia che, in parziale riforma della sentenza 26 marzo 2010 del Tribunale di Brescia, pronunciando sulle reciproche domande proposte tra i fratelli R.S. e M. in ordine alla comunione dei mappali (OMISSIS) siti in (OMISSIS), ha condannato R.S. a rimuovere la scala a chiocciola e la superfetazione da questo realizzate sul fondo comune. La sentenza della Corte di Brescia evidenzia che la scala consente l’accesso dalla terrazza dell’edificio di proprietà esclusiva di R.S. e vi è aggiunto un manufatto munito di porta che serve per accedere al ripostiglio dello stesso ricorrente. Tale opere riducono la già ridotta ampiezza dell’area comune, utilizzata anche per il transito degli autoveicoli, secondo i patti intercorsi nell’atto di divisione del 1983, e la Corte d’Appello, accogliendo le rispettive domande, ha perciò ordinato la rimozione di ogni ingombro collocato su di essa.

R.S., col suo unico motivo di ricorso, denuncia violazione dell’art. 1102 c.c. e omesso esame di fatto decisivo per il giudizio. Il ricorrente segnala la contrapposizione delle decisioni di primo e di secondo grado sul punto e deduce l'”errore di fatto” in cui è incorsa la Corte d’Appello, giacchè scala a chiocciola e superfetazione si trovano non nel comune mappale (OMISSIS), ma nel soprastante mappale di proprietà esclusiva (OMISSIS). Quindi il ricorrente nega comunque l’alterazione del bene comune in rapporto all’art. 1102 c.c. e assume l’esistenza di una situazione di condominio.

R.M. si difende con controricorso.

Ritenuto che il ricorso proposto da R.S. potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

La Corte d’Appello di Brescia ha affermato in sentenza che la scala a chiocciola è stata “pacificamente” realizzata sulla parte in comproprietà, anche se dagli allegati alla CTU il dato non risultava chiaro. Ora il ricorrente sostiene che scala e superfetazione si trovano sul mappale (OMISSIS), non comune. Si tratta, come scrive lo stesso ricorrente (che parla appunto di “errore di fatto”) di censura in ordine ad elementi materiali, la quale si risolve non in una critica ad un principio di diritto, ma in un apprezzamento di fatto connotato da elementi di novità, che non può pertanto essere proposto per la prima volta nel giudizio di legittimità, occorrendo altrimenti indicare, proprio a tale fine ed in ossequio all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’atto del giudizio di merito in cui la contestazione – di quel che la Corte di merito ha invece dato per pacifico – fosse stata tempestivamente formulata (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013).

Per il resto, stanti i limiti imposti dall’art. 1102 c.c., al comproprietario, l’alterazione o la modificazione della destinazione del bene comune si ricollegano all’entità ed alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, giacchè l’utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte del condomino è consentita soltanto quando la stessa non alteri l’equilibrio fra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e non determini pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti di costoro. Tale accertamento (che, nella specie, la Corte di Brescia ha sviluppato affermando che la collocazione della scala e della superfetazione avrebbe pregiudicato l’uso per passaggio carrabile dell’area comune) è riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1072 del 19/01/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13874 del 09/06/2010).

Non ha rilievo alcuno la questione dell’esistenza di una situazione di condominio (a sua volta connotata da un carattere di novità), atteso che comunque la disciplina sul pari uso della cosa comune secondo i parametri previsti dall’art. 1102 c.c., in virtù del richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c., è applicabile anche in materia di condominio.

La censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, è infine, inammissibile, alla luce della riformulazione di tale norma introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, rimanendo il ricorrente onerato, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 27 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2017

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