Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 774 del 16/01/2014


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Civile Sent. Sez. U Num. 774 Anno 2014
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: VIVALDI ROBERTA

Data pubblicazione: 16/01/2014

SENTENZA

sul ricorso 6225-2013 proposto da:
COMUNE DI CASTENASO, in persona del Sindaco protempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO
PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato GRAZIOSI
BENEDETTO, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

ESSE A S.R.L.

IN LIQUIDAZIONE,

in persona del

liquidatore pro-tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio
– dell’avvocato GIANMARCO GREZ, rappresentata e difesa

del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4449/2012 del CONSIGLIO DI
STATO, depositata il 06/08/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/11/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTA
VIVALDI;
udito l’Avvocato Giancarlo FRANZINI;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
UMBERTO APICE, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

dall’avvocato FANZINI GIANCARLO, per delega a margine

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Castenaso impugnò, davanti al Consiglio di Stato, la
sentenza con la quale il Tribunale Regionale dell’Emilia Romagna, riuniti
tre ricorsi proposti dalla società Esse A srl avverso atti relativi alla
concessione edilizia alla stessa rilasciata, ne accolse due annullando, sia le
modifiche apportate dall’Amministrazione comunale allo schema di viabilità

richiesto alla società concessionaria di eseguire ulteriori opere viarie.
La società Esse A srl propose, a sua volta, appello avverso la stessa
sentenza nella parte relativa al rigetto di un terzo ricorso con il quale era
stato chiesto che fosse stato accertato il diritto della società allo scomputo
totale della quota di contributo commisurata agli oneri di urbanizzazione,
con conseguente condanna del Comune alla restituzione delle somme già
percepite.
I due appelli furono riuniti.
Il Consiglio di Stato, con sentenza del 6.8.2012, accolse in parte l’appello
proposto dal Comune di Castenaso, mentre rigettò quello della società
Esse A srl..
Il Comune di Castenaso ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un
motivo.
Resiste con controricorso la società Esse A srl in liquidazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2 L. 6.12.1971 n.
1034 con riferimento agli artt. 48 R.D. 26.6.1924 n. 1054, e DEGLI ARTT:
7, 5° e 6° c. e 133 e 134 D.Lgs 2.7.2010 n. 104. ECCESSO DI POTERE
GIURISDIZIONALE ( art. 362, 1° c. c.p.c. e art. 111, 3° c. Cost.).
Il motivo non è fondato.
In primo luogo, va ribadito che l’eccesso di potere giurisdizionale,
denunziabile ai sensi dell’art. 111, terzo comma, Cost. sotto il profilo dello
sconfinamento nella sfera del merito, è configurabile solo quando
l’indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del
provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale ad una diretta e
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previsto in progetto, sia la delibera consiliare con la quale era stato

concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero
quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula
dell’annullamento, esprima una volontà dell’organo giudicante che si
sostituisce a quella dell’amministrazione.
Il che vuoi dire che il giudice, procedendo ad un sindacato di merito,
emette una pronunzia autoesecutiva, intendendosi come tale quella che
abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento

amministrativa ( v. per tutte Cass. S.U. 28 aprile 2011 n. 9443).
Si è inoltre precisato che l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione
della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo
qualora il giudice speciale abbia applicato, non la norma
esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di
produzione normativa che non gli compete, e non quando il Consiglio di
Stato si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando
la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia
desunto, non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio
che il loro coordinamento sistematico rivela.
Una tale operazione, infatti, tutt’al più, darebbe luogo ad un error in
iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (
Cass. S.U. 12 dicembre 2012 n.22784).
Ed, ancora, si è chiarito che la violazione o falsa applicazione di norme
processuali può tradursi in eccesso di potere giurisdizionale, denunciabile
con ricorso per cassazione, soltanto nei casi in cui l’error in procedendo
abbia comportato un radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da
implicare un evidente diniego di giustizia (Cass. S.U.14 settembre 2012
n.15428).
Nella specie, i giudici amministrativi, di primo grado e di appello, hanno
fondato la loro decisione applicando le comuni regole di interpretazione ed
esecuzione secondo buona fede della convenzione intercorsa fra il Comune
e la società Esse A srl.
In particolare, hanno esaminato il testo della convenzione e ne hanno
dedotto che la convenzione stessa limitava la scelta del Comune a tre
differenti opzioni di allacciamento e collegamento alla viabilità generale,

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sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità

senza prevedere ulteriori obblighi aggiuntivi eccedenti i collegamenti con la
viabilità generale già esistente.
L’imposizione, quindi, da parte della Amministrazione di allestire un tronco
di un nuovo asse di viabilità sovracomunale, ” extra-comparto”, e non
previsto nella convenzione, è stata ritenuta dal giudice di appello
sproporzionata.
Il Consiglio di Stato, ai fini della valutazione sulla legittimità dell’operato

diritti incombenti alle parti sulla scorta dell’originaria convenzione
urbanistica sottoscritta in data 15 gennaio 1992″ ( così a pag. 7 della
sentenza impugnata”.
Ed in questa ottica, afferma che la convenzione urbanistica ” malgrado la
sua natura di accordo destinato a disciplinare gli obblighi e le facoltà
incombenti alle parti pubblica e privata in connessione con l’esercizio di
potestà autoritative da parte della prima” non si sottrae ” ai comuni
principi di interpretazione ed esecuzione secondo buona fede (art. 1366 e
1375 cod. civ.) che si applicano agli atti di natura contrattuale anche
quando posti in essere da una amministrazione pubblica”.
Ed è su tale base che il giudice amministrativo ritiene illegittima “l’ulteriore
pretesa, esplicitata con la delibera consiliare nr. 69 del 1994, di
considerare ricompreso fra gli obblighi incombenti alla società istante
anche quello afferente alla realizzazione di parte dell’asse Lungo Savena in
territorio del Comune di Bologna”.
Di questa conclusione il giudice di appello dà una coerente spiegazione,
legata proprio all’interpretazione secondo buona fede della convenzione
conclusa fra le parti.
Afferma, infatti, che ” In tale prospettiva, per quanto si voglia intendere
latamente il ricordato obbligo della concessionaria di realizzare a proprie
spese “tutte le opere stradali necessarie per assicurare un razionale
collegamento della rete viabile esistente e/o futura”, questo non può
essere esteso fino al punto di accollare all’impresa anche l’obbligo di
realizzare, almeno in parte, anche la stessa viabilità futura quale prevista
dagli strumenti urbanistici prima e indipendentemente dalla convenzione
de qua “.

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del Comune, prende le mosse “dalla esatta definizione degli obblighi e dei

Sotto quest’ultimo profilo, infatti, l’asse Lungo Savena “… più che essere
assimilabile alla viabilità “di collegamento” alla cui realizzazione essa [la
società concessionaria] era convenzionalmente tenuta, costituiva
un’autonoma e preesistente infrastruttura, autonomamente concepita e
prevista dal Comune di Bologna nei propri strumenti urbanistici: ciò che
del resto è riconosciuto dallo stesso Comune…”.
Si sono riportati ampi stralci della sentenza impugnata al fine di rendere

ai danni della Pubblica Amministrazione, avanzata dal Comune ricorrente
nei confronti del giudice amministrativo che, con la sentenza impugnata, si
sarebbe indebitamente sostituito alle prerogative discrezionali
dell’Amministrazione.
Diversamente, è ormai giurisprudenza consolidata che, all’interno delle
convenzioni di urbanizzazione, prevale ormai il profilo della libera
negoziazione.
Infatti, sebbene sia innegabile che la convenzione di lottizzazione, a causa
dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento
dichiaratamente contrattuale, rappresenti un istituto di complessa
ricostruzione, non può negarsi che in questo si assista all’incontro di
volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale retta
dal codice civile (Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n. 33; Cons. Stato,
sez. IV, 28.7.2005, n. 4015).
Una tale ricostruzione – è stato affermato ( v. per tutte Consiglio di Stato,
sez. V, 1 aprile 2011 n. 2040) – assume una particolare valenza quando
alcuni dei contenuti dell’accordo vengono imposti dalla pubblica
amministrazione in termini non modificabili dal privato.
E ciò perchè, anche in questo caso, è da ritenere che la parte che abbia
sottoscritto la convenzione, conoscendone il contenuto, abbia inteso
aderirvi, restandone vincolata; salvo, comunque, il ricorso agli strumenti
di tutela in caso di invalidità del contratto (v. anche Consiglio di Stato, sez.
IV, 28 luglio 2005 n. 4015).
Di conseguenza, è incontrovertibile che la volontà delle parti si esprima,
così come per il soggetto privato, anche per la Pubblica Amministrazione,
in termini di autonomia negoziale, con la conseguente interpretazione

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evidente l’infondatezza della denuncia di eccesso di potere giurisdizionale

degli atti frutto di una tale autonomia sulla base delle regole civilistiche di
ermeneutica contrattuale.
Ed è soltanto questo che ha fatto il Consiglio di Stato: ha interpretato le
clausole della convenzione alla luce delle regole di buona fede e
correttezza che soprassiedono alle fasi di formazione, conclusione ed
esecuzione della convenzione.
Nessuna indebita invasione è, pertanto, ipotizzabile ( nello stesso senso v.

13.5.2013 n. 11344).
D’altro canto, vai la pena di ricordare che, anche sulla spinta evolutiva
dell’ordinamento comunitario i confini tra limiti della discrezionalità
amministrativa, non sindacabile, e limiti della giurisdizione, si sono ormi
definitivamente aperti ad un cammino improntato al rispetto dei due
principii fondamentali: della pienezza della tutela giurisdizionale (full
jurisdiction . Art. 6 CEDU e 47 dei diritti fondamentali dell’Unione) e dei
limiti di proporzionalità, finalizzati a restringere l’area del merito
amministrativo, insindacabile.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono
poste a carico del Comune ricorrente.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è
rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di
stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 del testo
unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso. Condanna il
ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi C 3.200,00,
di cui C 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
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anche S.U. 20.9.2013 n. 21586; S.U. 5.9.2013 n. 20360; v. anche S.U.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente Comune di
Castenaso, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in data 26 novembre 2013 in Roma, nella camera di consiglio

delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione.

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