Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7739 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. I, 18/03/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 13357/2019, proposto da:

H.R., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Gilardoni,

giusta procura speciale spillata al ricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che

lo rappresenta e difende;

– resistente-

avverso il decreto del Tribunale di Milano depositato il 2 marzo

2019;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 dicembre

2020 dal Consigliere Dott. Irene Scordamaglia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 2014 del 2 marzo 2019, il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria e, in subordine, di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta da H.R., cittadino del (OMISSIS).

2. Avverso il predetto decreto H. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo a questa Corte, in via preliminare di sollevare questione di illegittimità costituzionale della norma di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, ed articolando un solo motivo.

3. L’Amministrazione intimata ha spiegato difese, depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Come già sopra evidenziato, il ricorrente ha in ricorso prospettato dubbi sulla legittimità costituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3 septies per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2, 7, nella parte in cui stabilisce che il procedimento è definito con decreto non reclamabile, entro sessanta giorni dalla presentazione del ricorso, così eliminandosi il doppio grado di merito e delineandosi: “un procedimento caratterizzato dall’adozione del rito camerale a contraddittorio solo eventuale in cui la formazione della prova è demandata (nella maggior parte dei casi) alla visione di una videoregistrazione, quindi a un mero controllo formale di quanto stabilito dalla commissioni territoriali in sede amministrativa, e la cui decisione è reclamabile solo in Cassazione”.

La questione di costituzionalità prospettata dal ricorrente è manifestamente infondata, come già al riguardo affermato da questa Corte, che ha precisato che: “E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artr. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione” (Sez. 1, n. 27700 del 30/10/2018, Rv. 651122; conf. Sez. 1, n. 22950 del 21/10/2020, Rv. 659116 – 01; Sez. 1 -, n, 28119 del 05/11/2018, Rv. 651799 – 01). Questa stessa Corte, in particolare, con la sentenza 30/10/2018, n. 27700, ha condivisibilmente affermato, in motivazione, che: “il principio del doppio grado non opera affatto, in una pluralità di ipotesi, già nel procedimento di cognizione ordinaria, e ciò non soltanto nel caso delle controversie destinate a svolgersi in unico grado, ma anche in quelle di regola sottoposte a tale principio, come nel caso della nullità della sentenza di primo grado, nelle numerosissime ipotesi estranee alla previsione degli artt. 353-354 c.p.c., in cui il giudice di appello deve, per la prima volta in tale sede, decidere il merito della controversia; nel caso della (fondata) denuncia in appello del vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado; nel caso della domanda correttamente non esaminata dal primo giudice perchè dichiarata assorbita; nel caso del ricorso per cassazione per saltum, eccetera. A maggior ragione il legislatore può sopprimere l’impugnazione in appello al fine di soddisfare specifiche esigenze, massime quella della celerità (basti considerare, a mero titolo di esempio, le diverse ipotesi in cui l’appello è escluso nel giudizio fallimentare), esigenza quest’ultima intuitivamente decisiva per i fini del riconoscimento della protezione internazionale”. Pertanto, neppure può condividersi la tesi del ricorrente, secondo cui, con la normativa in esame, così come novellata, sarebbero stati violati fondamentali principi del nostro ordinamento costituzionale, tra i quali quello di difesa di cui all’art. 24 Cost. e quello di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza.

2. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, censurando il decreto impugnato nella parte in cui avrebbe apoditticamente escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in favore del richiedente, senza attivare i propri doveri di cooperazione istruttoria – magari ascoltando il richiedente – al fine di attingere elementi atti a consentire il giudizio di bilanciamento tra la situazione socio esistenziale conseguita in Italia dal richiedente e la situazione vissuta nel Paese di origine.

Il motivo è generico e, comunque, manifestamente infondato. Le censure in esso articolate sono formulate in astratto, posto che nulla viene dedotto in ordine alla concretezza del giudizio comparativo che è posto alla base del riconoscimento del diritto.

Il Tribunale ha escluso l’esistenza di qualsivoglia specifica allegazione sia in punto di effettiva integrazione socio-lavorativa del richiedente, sia in punto di sua specifica vulnerabilità, senza che in ricorso tale affermazione sia stata efficacemente censurata.

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis dovrà essere versato dal ricorrente se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

 

 

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