Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7739 del 05/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/04/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 05/04/2011), n.7739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.D.E., D.T., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA PRINCIPE AMEDEO 323, presso lo studio dell’avvocato DI

LETIZIA GISELLA, rappresentate e difese dall’avvocato SALVIA

GIOVANNI, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 475/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/11/2006, R.G.N. 531/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2010 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

D.D.E. e D.T., dipendenti del ministero della giustizia, inquadrate come cancellieri, posizione economica C2, con in sede di servizio a Venezia hanno presentato domanda di trasferimento ad altre sedi.

Esse, insieme ad altri dipendenti hanno ottenuto la condanna del ministero, prima in sede cautelare e poi nel giudizio di primo grado, ad indire un interpello straordinario prima di assegnare le sedi ai vincitori della selezione per la copertura di un certo numero di posti di cancelliere C3.

Questa decisione è stata riformata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza n. 20 del 2005, contro la quale è stato proposto ricorso per cassazione.

Il Ministero, preso atto dell’ordinanza cautelare che gli imponeva l’interpello, il 23 novembre 2001 disponeva comunque il trasferimento delle due dipendenti, facendo espressamente salva la diversa determinazione all’esito del giudizio di merito.

Il trasferimento non veniva eseguito.

La D.D. e la D. chiedevano perciò in via d’urgenza che ne fosse ordinata l’esecuzione, stante l’efficacia immediata del menzionato provvedimento del 23 novembre 2001.

La decisione cautelare, favorevole alle ricorrenti, era confermata con sentenza del Tribunale di Venezia.

La Corte d’appello di Venezia, accogliendo in parte l’appello dell’amministriazione, condannava il Ministero a dare esecuzione al provvedimento del 23 novembre 2001 immettendo la D.D. e la D. nelle sedi loro assegnate, salva ed impregiudicata ogni diversa determinazione all’esito del giudizio pendente avverso la menzionata sentenza n. 20 del 2005 della stessa Corte.

La Corte di merito giustificava questa decisione qualificando anzitutto il provvedimento di trasferimento del 23 novembre 2001 come atto di gestione del rapporto e ritenendo contraria alla buona fede e correttezza nonchè lesivo dell’affidamento delle dipendenti la sua mancata esecuzione per il periodo indiscutibilmente assai lungo di 15 mesi.

La Corte riteneva tuttavia che il contenuto della statuizione giudiziale di primo grado andasse “meglio specificato” precisandosi che la disposta immissione delle due dipendenti nella nuova sede fosse sottoposta alla condizione risolutiva indicata nel provvedimento di trasferimento, ossia all’esito del giudizio di merito sulla domanda di prioritaria indizione dell’interpello straordinario rispetto alla procedura di riqualificazione.

D.T. ed D.D.E. chiedono la cassazione di questa sentenza con ricorso per due motivi.

Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo del ricorso denunzia contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.

Si sostiene che dalla premessa secondo cui il Ministero, di propria esclusiva iniziativa, aveva liberamente disposto, con il provvedimento del 23 novembre 2001, il trasferimento delle dipendenti, e dalla ulteriore premessa che il suddetto provvedimento doveva esser qualificato come atto di gestione del rapporto la sentenza aveva contraddittoriamente tratto la conclusione che il provvedimento potesse legittimamente esser sottoposto a condizione risolutiva, mentre la detta condizione, inserita esclusivamente sulla base dell’erroneo presupposto che il trasferimento fosse adottato in esecuzione del provvedimento cautelare, doveva essere considerata come non apposta. In altri termini, visto che dalla predetta decisione cautelare non scaturivano specifici obblighi del Ministero, il trasferimento delle dipendenti doveva essere ritenuto come frutto di autodeterminazione da parte dell’Amministrazione, il che peraltro sarebbe emerso anche dalla testuale formulazione del provvedimento, nel quale si leggeva che le dipendenti erano trasferite, a domanda.

Con il secondo motivo di ricorso la questione proposta nel primo motivo viene riproposta sotto lo specifico profilo della omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.

I due motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondati.

La Corte d’appello ha proceduto all’interpretazione di quello che ha qualificato come atto di gestione del rapporto, ossia come atto negoziale, tenendo presente l’intero contenuto testuale dell’atto, e, pertanto, valorizzando doverosamente la specifica previsione secondo cui il Ministero, nel disporre il trasferimento, faceva salva ogni diversa determinazione all’esito del giudizio di merito. Questa clausola di salvezza è stata interpretata dalla Corte territoriale come espressiva della volontà dell’amministrazione di collegare la decisione definitiva circa il trasferimento all’esito del giudizio sulla legittimità o no della selezione non preceduta dall’ interpello. Si tratta di una interpretazione puntualmente argomentata, alla quale in sostanza le ricorrenti oppongono una propria diversa lettura dello stesso atto, senza però mettere in evidenza alcun effettivo vizio logico, e senza avvedersi che l’interpretazione da esse patrocinata finisce con il sopprimere puramente e semplicemente la riserva apposta dall’amministrazione, la quale, secondo le ricorrenti, dovrebbe considerarsi come non scritta, con evidente violazione del canone interpretativo che vincola l’interprete a tenere conto di ogni parte del testo da interpretare.

In conclusione, il ricorso va rigettato con condanna delle ricorrenti alle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti alle spese in Euro 15,00 oltre e ad Euro 3000 per onorari, nonchè accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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