Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7738 del 07/04/2020

Cassazione civile sez. un., 07/04/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 07/04/2020), n.7738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36556/2018 proposto da:

COMUNE DI CAVALLINO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SAN LORENZO IN LUCINA 26,

presso lo STUDIO LEGALE STICCHI DAMIANI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ERNESTO STICCHI DAMIANI;

– ricorrente –

contro

REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore della Giunta

Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 36,

presso gli uffici della Delegazione romana della Regione,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARINA ALTAMURA;

COMUNE DI UGENTO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso ALFREDO

PLACIDI, rappresentato e difeso dagli avvocati PIETRO QUINTO e LUIGI

QUINTO;

– controricorrenti –

e contro

COMUNE DI ASCOLI SATRIANO, COMUNE DI TORRE SANTA SUSANNA, COMUNE DI

PATU’, COMUNE DI CORIGLIANO D’OTRANTO, COMUNE DI TERLIZZI, COMUNE DI

MODUGNO, COMUNE DI BARI, COMUNE DI TRANI, COMUNE DI ALBEROBELLO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5707/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 05/10/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale Dott. LUIGI

SALVATO, il quale chiede che la Corte dichiari inammissibile il

ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

p. 1.1 Il Comune di Cavallino (LE) propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 5707 del 5 ottobre 2018, con la quale il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile il ricorso da esso proposto per l’ottemperanza della sentenza n. 5805 dell’11 dicembre 2017 con cui lo stesso giudice – in parziale accoglimento del gravame dal Comune introdotto avverso la sentenza del TAR Puglia n. 684/2017 – aveva annullato la Det. Dirig. n. 244 del 2015.

Con tale determina la Regione Puglia concludeva la procedura avviata per l’assegnazione ai Comuni concorrenti di risorse residue del FSC (Fondo per lo Sviluppo e la Coesione) 2000/2006 e 2007/2013, in relazione ad “Interventi e completamenti dei sistemi dei beni culturali ed interventi materiali ed immateriali di valorizzazione” da individuare attraverso procedure ad evidenza pubblica.

Con la determina in questione, in particolare, la Regione approvava la graduatoria delle istanze di contributo, dalla quale risultava come il progetto presentato dal Comune di Cavallino, per quanto ritenuto ammissibile al finanziamento, si collocasse purtuttavia in posizione (n. 57) non utile ai fini della percezione del contributo: “ammissibile ma non finanziato per esaurimento della dotazione finanziaria”.

Il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 5805/17, aveva ritenuto illegittima questa determina per violazione del privilegio accordato dall’avviso pubblico di finanziamento al requisito del “completamento” di lavori già iniziati (sussistente nel progetto presentato dal Comune); sicchè, fermo restando che “non spetta a questo giudice di indicare alla commissione la scelta del metodo più adatto, in sede di riemanazione, a dare piena ed idonea soddisfazione a tale priorità”, si suggeriva “una riformulazione degli elenchi delle istanze, annessi alla Det. n. 244 del 2015, affinchè la priorità si inveri in una riserva separata per le istanze con interventi di completamento, secondo i noti principi sulle graduatorie delle procedure competitive con posti riservati da soddisfare prioritariamente”.

In sede di dichiarato adempimento del giudicato amministrativo così formatosi, la Regione Puglia adottava la Det. Dirig. 22 febbraio 2018, n. 114, con la quale, in approvazione della relazione istruttoria redatta dal funzionario tecnico delegato, si confermava “la collocazione della proposta progettuale del Comune di Cavallino, così come definita nella Det. Dirig. n. 244 del 2015 (…) quale proposta ammissibile ma non ammessa a finanziamento per esaurimento della dotazione finanziaria”; e ciò sul verificato presupposto che “per tutti i n. 28 progetti collocatisi nell’elenco allegato 8 alla Det. Dirig. n. 244 del 2015, in posizione che precede quella assunta dal progetto candidato dal Comune di Cavallino, è individuabile il requisito del completamento così come inteso dal giudice del Consiglio di Stato quale elemento idoneo a qualificare il contesto culturale in cui il progetto si colloca”; con conseguente “impossibilità di differenziare e, pertanto, stilare separati elenchi di istanze di candidature (…) qualificabili, rispettivamente, come completamento ed istanze prive di tale caratteristica”.

p. 1.2 Ritenuto che quest’ultima Det. n. 114 del 2018 – puramente reiterativa del precedente esito della procedura di assegnazione dei finanziamenti – fosse elusiva del giudicato amministrativo, perchè basata sull’indistinta attribuzione della priorità di “completamento” anche a progetti che tale requisito, correttamente inteso, non presentavano, il Comune di Cavallino chiedeva che il Consiglio di Stato, dichiarata la nullità di questa determina, ordinasse alla Regione Puglia l’ottemperanza alla suddetta sentenza n. 5805/17 prescrivendo le relative modalità e determinando, ove necessario, il contenuto del provvedimento amministrativo di adempimento; il tutto previa nomina di un commissario ad acta.

Con la sentenza qui impugnata il Consiglio di Stato – pronunciando nel contraddittorio con la Regione Puglia e varie amministrazioni comunali ha, come detto, ritenuto inammissibile il ricorso in ottemperanza così proposto dal Comune di Cavallino, osservando che:

– il giudizio di ottemperanza, in quanto volto ad attuare le prescrizioni ricavabili dalla sentenza inadempiuta, presuppone l’emersione di una “specifica difformità” dell’atto amministrativo adottato rispetto al giudicato, “mentre eventuali altri vizi di legittimità dell’atto stesso devono essere fatti valere nell’ordinario giudizio impugnatorio di cognizione”;

– nel caso di specie non sussisteva alcuna “specifica difformità”, posto che la sentenza ottemperanda (emessa nel contraddittorio tra il Comune ricorrente, la Regione Puglia e due soltanto dei molti Comuni partecipanti alla procedura di assegnazione) aveva sì individuato quale prioritario il requisito di “completamento” dell’intervento, aggiungendo tuttavia come non spettasse ad essa “di indicare alla commissione la scelta del metodo più adatto a dare piena ed idonea soddisfazione a tale priorità”;

– in tale contesto, la Det. n. 114 del 2018, asseritamente elusiva, “va oltre la regola che il giudicato stesso contiene, perchè compie proprio l’operazione sulla quale esso ha escluso di poter dare criteri, ovvero una riformulazione di tutta la graduatoria nei confronti di tutti i partecipanti, e non solo dei tre nei cui confronti si era svolto il processo originario”;

– tutto ciò deponeva per l’estraneità del presente giudizio a questioni di ottemperanza del giudicato dedotto.

Nel presente giudizio di cassazione resistono con controricorso la Regione Puglia ed il Comune di Ugento (LE).

Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

p. 2. Con l’unico motivo di ricorso il Comune di Cavallino lamenta – ex art. 360 c.p.c, comma 1, n. 1, in relazione all’art. 105 cpa violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nonchè diniego di giustizia; ciò perchè il Consiglio di Stato, una volta ravvisata l’insussistenza dei presupposti dell’ottemperanza stante l’affermata riferibilità della Det. Regionale n. 114 del 2018, all’esercizio di nuova attività amministrativa esulante i limiti del giudicato di annullamento (valutazione definita controvertibile, ma della cui “opinabilità non è possibile dare conto in questa sede”: ric. pag. 15), non aveva poi disposto la conversione dell’azione di ottemperanza in azione di nullità, con conseguente rimessione delle parti, ex art. 105 cit., innanzi al giudice della cognizione (TAR Puglia), competente a conoscere della illegittimità della determina regionale medesima.

E ciò nonostante che:

– il giudizio di ottemperanza fosse stato introdotto nel rispetto del termine decadenziale di 60 giorni dalla notifica del provvedimento, come previsto per l’azione generale di annullamento dall’art. 29 cpa;

– spettasse al giudice di ottemperanza ex art. 32, comma 2 cpa, per le relative conseguenze in rito, qualificare le domande proposte dalla parte, distinguendo quelle di ottemperanza da quelle invece concernenti l’ulteriore esercizio dell’azione amministrativa;

– tale opera di riqualificazione della domanda spettasse anche al Consiglio di Stato qualora quest’ultimo, come nella specie, fosse funzionalmente individuabile quale giudice di ottemperanza;

– avanti al Consiglio di Stato, appunto in quanto giudice di ottemperanza, “non apparisse possibile formulare, sia pure in via subordinata, censure di illegittimità avverso il provvedimento adottato dall’amministrazione regionale in esecuzione del giudicato, considerato che l’unica ipotesi consentita dall’ordinamento di proposizione di censure direttamente al Consiglio di Stato è quella prevista dall’art. 104, comma 3 cpa (…) manifestamente esulante dal caso di specie” (ric. pag. 16).

La dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la mancata conversione dell’azione, con rimessione delle parti al TAR Puglia, concretava – come anche desumibile dai principi sanciti dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione n. 2 del 15 gennaio 2013 e da altra giurisprudenza del Consiglio di Stato – diniego di giurisdizione e di giustizia; ciò “sul presupposto che, ai sensi dell’art. 111 Cost. e del principio del giusto processo ivi codificato, rientra tra i “motivi inerenti alla giurisdizione” anche la questione di un non corretto esercizio della funzione giurisdizionale che conduca a vanificare la stessa attribuzione della giurisdizione, ovvero quella in cui il giudice adito ritenga non essergli consentito di somministrare una certa forma di tutela o di entrare nel merito delle questioni controverse sul presupposto di una questione pregiudiziale” (ric. pag. 15).

p. 3. Il ricorso è inammissibile.

Va premesso – quale dato fondamentale di causa – che il Comune ricorrente non censura l’affermazione del Consiglio di Stato circa l’inammissibilità della domanda di ottemperanza stante, come detto, la ravvisata mancanza di una “specifica difformità” della determina regionale successiva al giudicato rispetto a quanto in quest’ultimo stabilito ed indicato.

La mancata doglianza sul punto specifico fa sì che sia estranea al contendere la distinzione, in materia di giudizio di ottemperanza proposto avanti al Consiglio di Stato, tra i limiti interni alla giurisdizione a quest’ultimo devoluta (attinenti al “modo” in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza sia stato in concreto esercitato dal giudice amministrativo), ed i limiti esterni (relativi alla “possibilità” stessa, nella specificità del caso, di esperire il giudizio di ottemperanza); questi ultimi soltanto suscettibili di essere fatti oggetto di controllo da parte della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. nn. 413/20; 16016/18; 13699/18; 736/12; 10060/13 e molte altre).

Vero è invece che il ricorso, sebbene sotto l’apparente aspetto di difetto di giurisdizione inteso quale diniego di giustizia, prospetta in sostanza una violazione di legge commessa dal Consiglio di Stato nell’esercizio del potere giurisdizionale, in quanto non sarebbe stato da esso rilevato che – una volta ritenuta inammissibile la domanda di ottemperanza per mancanza, nella Det. Regionale n. 114 del 2018, di reale difformità dal giudicato sussistevano purtuttavia i presupposti sostanziali e processuali per la conversione dell’azione e la rimessione delle parti avanti al TAR territorialmente competente.

Ora, indipendentemente dalla correttezza della decisione con la quale il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile il ricorso in ottemperanza senza disporre tale conversione, è dirimente osservare come la questione così posta riguardi comunque un’attività di giudizio certamente inerente i limiti interni della giurisdizione: vuoi come interpretazione e qualificazione della domanda proposta dal Comune (se di sola ottemperanza ovvero anche di annullamento della determina regionale per vizio di legittimità diverso ed ulteriore rispetto alla violazione del giudicato), vuoi come sussistenza, o meno, dei presupposti processuali della conversione stessa e della rimessione delle parti avanti al giudice della cognizione, ex art. 32, comma 2 e art. 105 cpa.

In entrambi i casi, si tratta dunque di errores in judicando ovvero in procedendo non concretanti, in quanto tali, materia di controllo in questa sede.

Queste Sezioni Unite hanno innumerevoli volte affermato che il ricorso per cassazione avverso le pronunce del Consiglio di Stato è consentito solo per motivi inerenti alla giurisdizione, secondo quanto previsto dall’art. 111 Cost., comma 8 (disposizione recepita dall’art. 362 c.p.c. e art. 110 cpa) e, quindi: “a) nell’ipotesi in cui la sentenza abbia violato l’ambito della giurisdizione in generale (esercitando la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa oppure negando la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non potesse costituire in modo assoluto oggetto di esame giurisdizionale); b) nell’ipotesi di violazione dei cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione (giudicando in materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure negando la propria giurisdizione sull’erroneo presupposto che questa spetti ad altro giudice, oppure esercitando un sindacato di merito in materia attribuita esclusivamente alla propria giurisdizione di legittimità degli atti amministrativi)”.

Questo indirizzo (tra le molte, Cass. SSUU n. 956/17, con ulteriori richiami) vale ad escludere l’ammissibilità del ricorso per cassazione finalizzato, nella sua portata sostanziale, a lamentare “solo un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione, cioè un vizio che attiene all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge a detto giudice” (SSUU cit.).

Sulla questione è anche intervenuta la Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 6/2018, dalla quale si trae conferma del fatto che il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti – previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, per i “soli” motivi inerenti alla giurisdizione – non possa riguardare anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando, in quanto una siffatta opzione interpretativa, basata su un adattamento dinamico-evolutivo del concetto stesso di giurisdizione, si porrebbe senz’altro in contrasto con la lettera e lo spirito della norma costituzionale.

Sicchè “l’eccesso di potere giudiziario, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei Conti affermino la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghino sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonchè a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici” (C. Cost. sent. cit.).

Cass. SS.UU. n. 8311/19 ha osservato che: “alla luce della sentenza n. 6 del 2018 della Corte Costituzionale – la quale ha carattere vincolante perchè volta ad identificare gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni dalla Costituzione, nonchè i presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8 – il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonchè le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione. L’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è configurabile solo allorchè il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento “abnorme o anomalo” ovvero abbia comportato uno “stravolgimento” delle “norme di riferimento, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione” (tra le molte, anche Cass. SS.UU. nn. 30653/18; 7926/19; 29082/19; 413/20).

Alla luce di tali principi è dunque evidente come il ricorso in esame non colga l’aspetto essenziale costituito dal fatto che – una volta tralasciato di censurare, seppure nei ristretti ambiti in cui ciò, come detto, era consentito, la pronuncia di inammissibilità della domanda di ottemperanza ogni altro aspetto esulava dalla giurisdizione per attingere, a tutto concedere, alla violazione di legge.

Nè, tanto meno, potrebbe qui configurarsi un diniego di giustizia, posto che – da un lato – il Consiglio di Stato ha deciso sulla domanda propostagli (qualificata come di sola ottemperanza) nel pieno rispetto della correlazione tra chiesto e pronunciato, e che – dall’altro – sulla base dei principi poc’anzi indicati neppure questa ipotesi potrebbe comunque rientrare tra i motivi qui sindacabili perchè inerenti alla giurisdizione.

Ne segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna del Comune ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore delle due parti controricorrenti; la liquidazione avviene come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida, per ciascuna parte controricorrente Regione Puglia e Comune di Ugento, in Euro 3500,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2020

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