Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7737 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. I, 30/03/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 30/03/2010), n.7737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Sanpaolo IMI s.p.a., domiciliata in Roma, via Polonia 7, presso

l’avv. Mrabito B., rappresentata e difesa dal’avv. Pirari F., come da

mandato a margine dei ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., domiciliato in Roma, viale B. Buozzi 68, presso

l’avv. Aristei Strippoli F., che lo rappresenta e difende unitamente

al l’avv. MASTIO G. L., come da mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 247/2005 della Corte d’appello di Cagliari

Sezione distaccata di Sassari, depositata il 2 maggio 2005;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. NAPPI Aniello;

Udite le conclusioni del P.M., Dott. RUSSO Rosario, che ha chiesto il

rigetto del ricorso con compensazione delle spese.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Cagliari Sezione distaccata di Sassari, in riforma della decisione di primo grado, ha condannato il Banco di Napoli s.p.a. al pagamento della somma di Euro 5.164,57 in favore di P.G., con gli interessi legali a decorrere dal 19 febbraio 1993. Risulta dalla sentenza impugnata che nel luglio 1992 P.G., titolare di un conto corrente presso la filiale di (OMISSIS) del Banco di Napoli, girò alla banca per l’incasso un assegno per dieci milioni di lire tratto in suo favore da C.A. sulla Banca popolare di Sassari. Peraltro, benchè l’importo dell’assegno fosse stato immediatamente accreditato sul conto del girante e più volte computato negli estratti inviatigli quale correntista, nondimeno il 23 giugno 1993 il Banco di Napoli: comunicò a P.G. che “l’assegno era andato smarrito nel corso dell’incasso” e che pertanto ne era stato stornato l’importo con valuta 19 febbraio 1993, sicchè il suo conto esibiva un debito – di oltre L. cinque milioni. P.G. agì pertanto nei confronti del Banco di Napoli per la restituzione della somma addebitatagli. E la sua domanda, respinta in primo grado, è stata invece accolta in appello con la sentenza ora impugnata per Cassazione.

Hanno ritenuto i giudici di secondo grado:

a) secondo quanto prevede l’art. 1229 c.c., la clausola limitativa di responsabilità inserita nel contratto di conto corrente intercorso tra le parti e invocata dalla banca non può escludere la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave;

b) la banca avrebbe dovuto dunque provare, ma non ha neppure allegato, quali siano state modalità e occasione dei dedotto smarrimento dell’assegno, mai pervenuto alla banca trattaria;

e; la banca non ha provato che P.G., come dedotto, abbia già ricevuto il pagamento direttamente dall’emittente dell’assegno smarrito, C.A., la cui deposizione testimoniale non è stata acquisita, perchè il Banco di Napoli è decadute dalla prova per non avere giustificato la mancala citazione del testimone ammesso. Contro la sentenza d’appello ricorre ora per Cassazione la Sanpaolo IMI s.p.a., subentrata per incorporazione al Banco di Napoli, e propone cinque motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso P.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione degli art. 1829 e 1857 c.c., vizi di motivazione della decisione impugnata.

Rileva che, secondo quanto previsto dall’art. 1829 c.c. richiamato dall’art. 1857 c.c. l’accreditamento sul conto corrente di un assegno girato dal correntista viene sempre effettuatò salvo buon fine.

Sicchè, se l’assegno non può essere incassato per successivo smarrimento, la banca può stornarne l’importo, non essendone debitrice, in quanto mera mandataria per l’incasso del titolo. Con secondo motivo la ricorrente deduce violazione degli art. 1218 e 2697 c.c., vizi di motivazione della decisione impugnata.

Sostiene che la corte d’appello ha erroneamente attribuito fondamento convenzionale alla clausola “salvo incasso” e l’ha perciò ritenuta invalida, in quanto preventivamente limitativa di responsabilità, senza considerare che quella clausola trova fondamento nell’art. 1829 c.c. e non ammette alcuna inversione dell’onere della prova.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 112 e 345 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata.

Lamenta che erroneamente i giudici d’appello abbiano considerato la banca gravata dell’onere di provare lo smarrimento del titolo, peraltro contestato per la prima volta solo in appello da P. G..

Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 112 – 116 c.p.c., degli artt. 2729 e 2697 c.c. vizi di motivazione della decisione impugnata.

Sostiene che la tardiva contestazione di P.G. circa la prova dello smarrimento del titolo era comunque irrilevante, perchè il correntista aveva ricevuto l’importo dell’assegno direttamente dall’emittente C.A., che tanto aveva confermato alla banca. Infatti P.G. era stato informato con lettera del 5 febbraio 1993 di quanto asserito da C. e non aveva opposto alcuna contestazione.

Con il quinto motivo infine la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 184 bis e 294 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata.

Lamenta che i giudici del merito l’abbiano erroneamente dichiarata decaduta dalla prova testimoniale, senza considerare la giustificazione addotta per la mancata citazione del testimone C.A., determinata dal rifiuto opposto dalla Banca popolare di Sassari alla richiesta di informazioni sulla residenza del suo correntista.

2. il ricorso è infondato.

Non v’è dubbio in realtà che, come sostiene la ricorrente, “alle operazioni bancarie in conto corrente si applica il principio contenuto nell’art. 1829 c.c., richiamato dal successivo art. 1857 c.c., secondo cui l’accreditamento, sul conto corrente del cliente, dell’importo di un assegno trasferito alla banca per l’incasso deve ritenersi sempre effettuato salvo incasso (o salvo buon fine, o con riserva di verifica)” (Cass., sez. 1^, 27 novembre 2.003, n. 18118, m. 568499). E altrettanto vero è che il versamento di un assegno su un conto corrente bancario non ne trasferisce alla banca la proprietà, bensì solo la detenzione, funzionale all’adempimento del mandato all’incasso conferitole dal correntista (Cass., sez. 1^, 13 maggio 1991, n. 5325, m. 472123, Cass., sez. 1^, 27 novembre 2003, n. 18118, m. 568500).

Tuttavia il rischio che la clausola “salvo incasso” fa rimanere sul correntista rimettente è il rischio dell’insolvenza del debitore (Cass., sez. T, 16 novembre 1967, n. 2759, m. 330294), non certo quello dello smarrimento del titolo, che grava invece sulla banca appunto quale mandataria (Cass., sez. 1^, 25 agosto 2006, n. 18543, m. 591418), tenuta alla custodia (Cass., sez. 3^, 4 aprile 1969, n. 112 e, m. 339657).

Secondo quanto prevede l’art. 1718 c.c., comma 4 infatti, la banca mandataria per l’incasso, essendo un operatore professionale, assume l’obbligo di custodia anche se non ne abbia specificamente accettato l’incarico. Sicchè, stante il generale obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede, grava sui mandatario l’onere di provare di aver eseguito l’incarico con la dovuta diligenza, dando conto della condotta tenuta (Cass., sez. 1^, 10 luglio 2009, n. 16299, m.

609001).

Non rileva pertanto che non fosse contestalo lo smarrimento del titolo. Ma rileva che la banca non abbia mai neppure allegato che lo smarrimento non fosse a lei imputabile.

Quanto al dedotto pagamento del titolo da parte dell’emittente C., incombeva certamente alla banca provarlo, posto che P. G. lo aveva contestato almeno implicitamente con la domanda proposta nei confronti dei Banco di Napoli. E la censura relativa alla dichiarazione di decadenza della banca dalla prova testimoniale, a tal fine dedotta, è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza.

Infatti la ricorrente non ha indicato m quale atto abbia dedotto e provato, già dinanzi al giudice del merito, la giustificazione della mancata citazione del testimone C.A., ora prospettata nel ricorso.

Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

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