Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7737 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/04/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 05/04/2011), n.7737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI

128, presso lo studio dell’avvocato DE ANGELIS ISABELLA MARIA

CESARINA, rappresentato e difeso dagli avvocati VANNETTI MAURIZIO,

DOMENICO TAMBASCO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.S.A. INDUSTRIA SERIGRAFICA AFFINI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

DELLA GANCIA 5, presso lo studio dell’avvocato RUECA GUALTIERO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIANA ANTONELLO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 757/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/10/2006 r.g.n. 63/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato DE ANGELIS ISABELLA per delega VANNETTI MAURIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

N.L. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 19 ottobre 2006.

Il ricorrente convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio la I.S.A. (Industria Serigrafia Affini) spa, impugnando quattro sanzioni disciplinari inflittegli nel corso del 2002 e del 2003 e il licenziamento irrogatogli il 22 gennaio 2003.

Il Tribunale dichiarò illegittima la sanzione del 12 giugno 2002 e rigettò il resto del ricorso.

Il ricorrente propose appello, limitando l’impugnazione alla sanzione disciplinare del 21 gennaio 2003 ed alla impugnazione del licenziamento.

Su questi temi si è discusso in appello. Il giudizio si è concluso con il rigetto dell’impugnazione e la compensazione delle spese.

Il ricorso per cassazione è articolato in nove motivi.

La società si difende con controricorso, eccependo preliminarmente la tardività del ricorso perchè la sentenza è stata notificata il 15 novembre 2006 e il ricorso è stato notificato il 15 gennaio 2007.

L’eccezione non è fondata perchè il termine scadeva il 14 che però era domenica.

Con i primi due motivi si assume che la Corte avrebbe violato l’art. 421 c.p.c. e la della L. n. 604 del 1966, art. 5, ammettendo d’ufficio la prova testimoniale della convenuta e la relativa prova contraria, quando le parti avevano chiesto la decisione della causa.

Il terzo motivo censura la sentenza per vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione laddove ha ritenuto attendibile il teste C. e quindi provata la insubordinazione del L. nei confronti del C..

Il quarto denunzia identico tipo di vizio in ordine al fatto della assenza di prova di quanto accaduto nell’incontro svoltosi tra il C., il R. ed il M. e le parti in causa.

Il quinto motivo denunzia ancora omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento all’incontro svoltosi tra il R. e tale signora C..

Con il sesto motivo (rubricato come quinto) si denunzia violazione dell’art. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5, art. 116 c.p.c., per aver considerato come fatto della cui prova era onerato il ricorrente il modo in cui la lite con il C. fu ricostruita nell’incontro avvenuto nell’ufficio di quest’ultimo alla presenza del C., del M. e del R..

Con il settimo, ottavo e nono motivo (erroneamente indicati come sesto, settimo e ottavo) si denunzia violazione degli artt. 183, 244 e 420 c.p.c., nullità della sentenza e ancora una volta vizio di omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione in ordine al fatto decisivo costituito dalla ricostruzione degli eventi operata nel rincontro avvenuto nell’ufficio del C. alla presenza del C., del M. e del R..

Le censure sono infondate.

Il giudice di primo grado non aveva ammesso le prove ritenendo che il ricorrente con l’atto introduttivo del giudizio non avesse contestato i fatti posti a fondamento del licenziamento. La Corte non si è accontentata di tale soluzione ed ha voluto comprendere come si erano svolti i fatti: ha ammesso la prova per testi richiesta dalla convenuta sui fatti che hanno dato luogo al licenziamento, abilitando il ricorrente alla prova contraria. Tale intervento d’ufficio della Corte non è in contrasto con la disciplina del codice di rito, anzi costituisce fisiologico esercizio dei poteri d’ufficio conferiti al giudice del lavoro, anche in grado di appello.

Le censure riguardanti l’esercizio dei poteri istruttori sono infondate, come infondate sono anche le censure sull’onere della prova, perchè la Corte non ha deciso applicando i criteri sull’onere della prova in assenza di prova dei fatti, ma ha deciso considerando che i fatti sono stati provati con la testimonianza del C., mentre il ricorrente, che era stato abilitato a citare come testimoni gli altri soggetti presenti, non ha ritenuto di citarli.

Neanche la censura sull’attendibilità del teste C. può essere accolta poichè la valutazione di attendibilità delle prove è riservata all’apprezzamento dei giudici di merito. Deve, pertanto, concludersi nel senso che nessuna delle norme di cui si assume la violazione è stata violata, mentre i fatti oggetto delle censure di vizio di motivazione sono stati ritenuti provati con argomentazioni adeguate e prive di contraddizioni.

Il ricorso è infondato e comporta il pagamento delle spese a carico del ricorrente che perde la causa, ma non sussistono gli estremi della temerarietà del giudizio invocata dalla controparte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione alla controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 18,00, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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