Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7736 del 05/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/04/2011, (ud. 12/10/2010, dep. 05/04/2011), n.7736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P.L.DA

PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato GEREMIA RINALDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE LA FOREST MAURIZIO,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNICREDITO ITALIANO S.P.A. quale società incorporante la FIDA –

FINANZIARIA D’AFFARI SIM S.P.A.;

– intimata –

e sul ricorso 7822-2007 proposto da:

UNICREDITO ITALIANO S.P.A. – quale società incorporante la FIDA –

FINANZIARIA D’AFFARI SIM S.P.A., in persona dei legali rappresentanti

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

21/23, presso lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati DIRUTIGLIANO DIEGO,

BONAMICO FRANCO, giusta delega a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P.L.DA

PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato GEREMIA RINALDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE LA FOREST MAURIZIO,

giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 95/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 30/01/2006 R.G.N. 1888/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito l’Avvocato GEREMIA RINALDO;

udito l’Avvocato LUCIANI VINCENZO per delega RAFFAELE DE LUCA TAMAJO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato in cancelleria il 18.7.02 C.R. conveniva in giudizio di fronte al Tribunale di Torino la FIDA – Finanziaria d’Affari SIM – s.p.a. esponendo: che nel 986 gli era stato proposto di partecipare a una nuova iniziativa nel settore del risparmio gestito; il progetto prevedeva l’aggregazione di un gruppo di dirigenti e il coinvolgimento di partners istituzionali; che il progetto era stato poi realizzato mediante la costituzione della società FIDA, che coordinava operativamente un gruppo di società partecipate, e della società IFIM – che inizialmente deteneva il controllo di FIDA e nel cui capitale dovevano essere presenti i dirigenti; che in data 9.1.87 aveva sottoscritto la lettera di assunzione presso la FTDA a far data dal 15.4.87 nella quale era stata prevista una retribuzione lorda di L. 270.000.000 suddivisa in stipendio, emolumenti per cariche sociali, fringe benefit ed altre eventuali, oltre a un ulteriore compenso in misura pari al 17,50% del premio spettante al management, costituito dal 10% dell’utile lordo consolidato; che aveva poi iniziato a lavorare dal 1.5.87 e da tale data gli era stata messa a disposizione un’autovettura per uso aziendale; che con lettera del 12.5.87 la FIDA aveva provveduto a regolarizzare la data di inizio dell’attività lavorativa, precisandola in quella del 1.5.87; che dal 1987 al 1994 aveva ricoperto varie cariche nelle società partecipate FIDA, con una retribuzione media complessiva di circa L. 58.000.000 lordi annui;

che quando la CRT era diventata socia di maggioranza e poi totalitaria della FIDA, assorbendo anche l’IFIM, aveva ribadito l’impegno ad erogare al management un’incentivazione rapportata all’utile consolidato del gruppo; che, pur avendo tra il 1995 e il 2000 la FIDA e le società partecipate prodotto utili lordi consolidati per L. 137.861.000.000, non gli era stato dato nulla a titolo di incentivazione; che in data 4.11.96 era stato trasferito da Milano a Torino, con diritto all’uso di un alloggio con posto auto e a un assegno di L. 3.250.000 al mese; che nel maggio 2000 erano state assegnate gratuitamente ai dipendenti del gruppo Unicredito, di cui faceva parte anche la FIDA, L. 4.000.000 in azioni ordinarie, ma, avendo la CRT preteso che versasse L. 3.000.000 come corrispettivo dell’assegnazione, non aveva ritirato le azioni; che in data 28.2.01 il rapporto di lavoro era stato risolto consensualmente.

Sulla base di queste premesse, il ricorrente chiedeva: il pagamento di euro 1.245.987 a titolo di incentivazione; il pagamento di euro 127.488 a titolo di indennità di trasferta; l’assegnazione gratuita di azioni Unicredito Italiano per un valore di Euro 2.065; il pagamento di euro 135.792,50 a titolo di incidenza di vari compensi sul T.F.R..

Si costituiva in giudizio la società convenuta contestando il fondamento delle domande. Rilevava in particolare la FIDA, con riferimento alla richiesta di pagamento dell’incentivazione: che la lettera del 9.1.87 era stata superata dalla successiva lettera del 12.5.87 con la quale si era stabilita l’assunzione dal 1.5.87 con una retribuzione lorda annua di L. 130.000.000 come dirigente, mentre non era prevista alcuna retribuzione variabile a titolo di partecipazione all’utile lordo consolidato; che gli accordi stipulati dalla CRT dimostravano che l’incentivazione non era operante, anche perchè era previsto che dovesse essere deliberata dal comitato esecutivo della FIDA; che il ricorrente non aveva mai rivendicato l’incentivazione in corso di rapporto; che comunque il C. non aveva provato l’esistenza di un utile lordo consolidato della società FIDA. Il giudice, interrogate liberamente le parti e assunte le prove testimoniali, con sentenza in data 7.10.03 respingeva il ricorso.

2. Proponeva appello il C. chiedendo la riforma della sentenza soltanto con riferimento alla domanda di pagamento dell’incentivazione e alla sua incidenza sul T.F.R..

Si costituiva l’appellata per resistere all’impugnazione.

Con sentenza del 24-30.1.06 la Corte d’appello di Torino rigettava l’appello compensando le spese di lite.

3 – Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il Clerici con tre motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata che ha proposto anche ricorso incidentale ed ha poi depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il ricorso principale, articolato in tre motivi, il ricorrente deduce che la previsione dell’incentivo nella prima lettera di assunzione era precisa nell’an e nel quantum; non era invece una mera previsione programmatica e comunque soccorreva la valutazione equitativa di cui all’art. 432. Deduceva altresì che la lettera suddetta faceva riferimento all’utile lordo consolidato e non già ad un utile risultante da un bilancio consolidato e che al ricorso era stata allegato il conteggio dell’utile lordo consolidato che non era stato contestato dalla società.

2. Il ricorso incidentale si compone di un unico motivo con cui la società deduce che con la seconda lettera, di cui in narrativa, era stata “revocata” la pattuizione dell’incentivo di cui alla prima lettera.

3. Vanno innanzi tutto riuniti i giudizi promossi con il ricorso principale e con quello incidentale avendo ad oggetto la stessa sentenza.

4. Il ricorso principale – i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente – è infondato.

Il rapporto di lavoro dedotto in giudizio è di natura dirigenziale con partecipazione a cariche sociali ed è stato risolto consensualmente dalle parti.

La questione dibattuta in appello è stata limitata al pagamento dell’incentivazione, che il ricorrente assumeva essergli dovuta dalla società, e alla sua incidenza sul trattamento di fine rapporto.

L “incentivazione di cui è causa era stata prevista dalla lettera di assunzione del 9.1.1987. ma non anche dalla lettera del 12.5.1987 che, a rapporto appena iniziato (il 1.5.1987), specificava il trattamento retributivo del dirigente.

Il giudice di primo grado e la Corte d’appello concordano nel ritenere che l’incentivazione prevista dalla prima lettera non era stata posta nel nulla dalla seconda lettera che non la prevedeva;

ciò perchè – hanno ritenuto i giudici di merito – quest’ultima si limitava a quantificare il “fisso” della retribuzione del dirigente neoassunto.

Il Tribunale, che ha rigettato la domanda, ha ritenuto poi che l’incentivazione era legata alla qualità di socio e quindi il ricorrente (che aveva acquistato la qualità di socio poco dopo – ma comunque dopo – essere stato assunto), quando non ha più avuto la qualità di socio (per vendita delle azioni che possedeva), ha perso anche il diritto all’incentivazione.

La Corte d’appello ha parimenti ritenuto non dovuta l’incentivazione in questione, ma perchè era mancata la prova del presupposto dell’incentivazione, ossia il conseguimento di un utile lordo consolidato.

E’ questa una tipica valutazione di merito incensurabile in cassazione se non per vizio di motivazione.

Ma la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento – con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. n. 21680 del 2008) – dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.

In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

Nella specie, non ravvisandosi nell’iter argomentativo della Corte d’appello violazioni di legge ed incongruenze o deficienze motivazionali, il motivo deve essere disatteso.

5. Il ricorso principale va quindi rigettato, assorbito quello incidentale.

L’oggettiva complessità del testo dei documenti sottoposti all’interpretazione dei giudici di merito può aver indotto il ricorrente principale a tentare, sia pur erroneamente, il ricorso per cassazione e giustifica ora la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2011

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