Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7734 del 24/03/2017
Cassazione civile, sez. VI, 24/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.24/03/2017), n. 7734
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3468/2016 proposto da:
T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE DELLE
MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato ROCCO LUIGI GIROLAMO, che
la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato
MENA CHIRONNA;
– ricorrente –
R.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI TRASONE
8/12, presso lo studio dell’avvocato ERCOLE FORGIONE, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIO ROMANO e
PIETRO ROMANO;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2733/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositata il 24/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. LINA
RUBINO.
Fatto
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
R.C., proprietaria dell’appartamento sovrastante, conveniva in giudizio la conduttrice dell’appartamento sottostante T.R. chiedendo che fosse condannata a restituirle l’importo speso per lavori dei quali le era stato fatto credere la necessità; in via riconvenzionale, la T. chiedeva la condanna della R. alla rifusione di tutte le spese sostenute per il ripristino dei locali ammalorati dalle perdite provenienti dall’appartamento sovrastante.
In primo grado veniva rigettata la domanda dell’attrice ed accolta la riconvenzionale della convenuta.
La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 2733 del 2015 qui impugnata, accoglieva in parte l’appello della R. riducendo la somma che questa era stata condannata a pagare, ritenuto non provato il pagamento di una delle fatture prodotte dalla T.. T.R. propone un motivo di ricorso per cassazione con cui denuncia la violazione dell’art. 360, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla fattura n. (OMISSIS), il cui pagamento non è stato ritenuto provato.
Resiste la R. con controricorso contenente anche ricorso incidentale.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., su proposta del relatore, in quanto ritenuto manifestamente infondato.
Il Collegio, all’esito della Camera di consiglio, ritiene di condividere la soluzione proposta dal relatore.
Tanto perchè il ricorso non contiene una segnalazione degli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, e neppure segnala l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio.
Nel ricorso piuttosto si lamenta che la corte d’appello non avrebbe ritenuto che essa ricorrente avesse idoneamente provato di aver effettuato direttamente il pagamento della fattura: esso contrappone quindi all’apprezzamento in fatto delle risultanze probatorie un diverso apprezzamento in fatto.
Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e neppure in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016).
Il ricorso principale va pertanto dichiarato inammissibile.
Anche il ricorso incidentale della R., con il quale si lamenta la presenza di un omesso esame circa la mancanza di prova della provenienza delle infiltrazioni dal suo appartamento e la violazione dell’art. 2697 c.c., non avendo la T. dimostrato l’ammontare delle spese sostenute, integrano in realtà censure in fatto non ammissibili in questa sede.
In ragione della reciproca soccombenza, le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate.
Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza della ricorrente, la Corte, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibili sia il ricorso principale che il ricorso incidentale. Spese compensate.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 24 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2017