Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7734 del 06/04/2020

Cassazione civile sez. I, 06/04/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 06/04/2020), n.7734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1507/2019 proposto da:

B.A., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Consuelo Feroci in forza di procura speciale

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale

Ancona, Ministero dell’Interno;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, depositato il 7/6/2018, B.A., cittadino del (OMISSIS) ha adito il Tribunale di Ancona – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato in (OMISSIS) a (OMISSIS), villaggio nei pressi di (OMISSIS) e di essere di religione musulmana; di essere giunto nella città di Berechid e di aver conosciuto una giovane donna con cui aveva iniziato una relazione amorosa; che suo padre” prima di morire, lo aveva promesso in sposo alla figlia di un suo amico; che in virtù di tale accordo il padre della promessa sposa lo aveva aiutato anche economicamente; di aver ricevuto al compimento del 18 anno la visita del padre della promessa sposa che gli aveva chiesto l’adempimento dell’impegno di sposare la figlia; che egli, pur consentendo a parole, non aveva intenzione di onorare l’accordo, a causa della relazione con l’altra ragazza; che allora l’amico del padre lo aveva minacciato e fatto picchiare da parte dei figli; per paura di subire ulteriori minacce si era trasferito in Italia, ove nel frattempo si era trasferita anche sua madre.

Con decreto del 4/12/2018 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso B.A., con atto notificato il 2/1/201.9, svolgendo due motivi. L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia

errores in iudicando e in procedendo, violazione e falsa

interpretazione della Convenzione di Ginevra del 28/7/1951, ratificata con L. n. 722 del 1954, e della Direttiva 2004/83/CE attuata dal D.Lgs. n. 251 del 2007 e in particolare degli artt. 2,7,8 e 14.

1.1. Il Giudice aveva superato i dubbi di credibilità, prospettati dalla Commissione, ma aveva respinto il ricorso sul presupposto del carattere privato dei motivi di persecuzione, cosa assurda perchè il sistema di protezione non è improntato alla tutela di situazioni di origine esclusivamente pubblica.

Il ricorrente aveva fornito le prove necessarie e sufficienti ai fini del conseguimento della protezione richiesta e certamente non poteva, abbandonando il proprio Paese di portare con sè prove complete per documentare le illegittime minacce ricevute dai persecutori.

Il fatto che il (OMISSIS) non abbia perso il controllo su situazioni critiche non significava che sarebbe stato in grado di garantire idonea protezione al ricorrente.

Il Giudice, pur richiesto, si era basato esclusivamente sul racconto della vicenda fatto alla Commissione, senza proporre domande al richiedente asilo, presente e disponibile, come gli era stato richiesto e avrebbe dovuto fare, se intendeva ritenere non credibile il racconto della vicenda personale.

1.2. Le censure svolte appaiono generiche, non pertinenti e anche contraddittorie.

Infatti, sotto quest’ultimo profilo, il ricorrente allega contestualmente nello stesso motivo sia che il Giudice aveva ritenuto credibile il suo racconto, sia che non lo aveva fatto, omettendo però di interrogarlo nuovamente sulla sua vicenda.

Il Tribunale, infatti, non ha bollato come non credibile il racconto, astenendosi da una esplicita valutazione e ritenendo la sussistenza di ragioni più liquide per il rigetto, basato sul carattere privato della vicenda, privo di rilevanza ai fini delle forme di protezione internazionale, e sulla possibilità di chiedere tutela contro il persecutore alle autorità marocchine.

1.2. In secondo luogo, il ricorrente ignora completamente la ratio decidendi esposta a pagina 4, dove, dopo aver rilevato il carattere privato e di giustizia comune della vicenda riferita, il Tribunale ha rimarcato il consistente ritardo nella presentazione della domanda di asilo rispetto all’arrivo in Italia il 30/9/2013, interpretato come sintomo della non concretezza ed attualità del pericolo asseritamente paventato.

1.3. In terzo luogo, il Tribunale ha esaminato alla luce di informazioni attualizzate, debita mente citate, l’istituto del matrimonio in (OMISSIS), sotto il profilo economico-sociale, escludendo la sussistenza di apprezzabili rischi a carico del richiedente e sostenendo che gli poteva ottenere protezione dalle pubbliche autorità, assunto questo contrastato solo genericamente dal ricorrente.

2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia errores in iudicando e in procedendo e violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2.1. Il ricorrente osserva che erano state dimostrate da parte sua la conoscenza ottima della lingua italiana, l’attività lavorativa e la presenza di intensi legami familiari sul territorio nazionale (ove si trovano madre, nonna e zie materne), mentre in (OMISSIS), il richiedente sarebbe stato vulnerabile perchè ormai privo di familiari: quanto sopra avrebbe giustificato la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.2. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che ha avallato l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge.

Inoltre la stessa sentenza n. 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito ha aderito al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 01, in tema di protezione umanitaria, ha affermato il principio secondo cui l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa. Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Nè il livello di integrazione dello straniero in Italia nè il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Da un lato, infatti, il diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’art. 8 CEDU, può subire ingerenze da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, in modo particolare nel caso in cui lo straniero non goda di un titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale. Dall’altro, il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez.1, 23/02/2018, n. 4455).

2.3. Il Tribunale ha motivatamente escluso la sussistenza di una personale condizione di vulnerabilità soggettiva del richiedente

asilo; ha quindi osservato che la presenza in Italia di alcuni familiari (la madre e alcune zie) non era elemento sufficiente alla concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, nel citato regime transitorio, e comunque non risultava che il richiedente avesse intrapreso un serio percorso di integrazione lavorativa.

2.4. Tali considerazioni sono dei tutto corrette.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648 – 01; Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01).

D’altra parte, a prescindere dal livello di integrazione e della presenza di significativi legami familiari e relazioni personali nel nostro Paese, è necessaria e ineludibile una significativa esposizione alla violazione dei diritti umani del richiedente asilo, ove fosse costretto a tornare al proprio Paese, sotto la soglia della tollerabilità: infatti pur sempre si discute di una misura integrativa, di diritto nazionale, di protezione di uno straniero che richiede asilo sulla base dei pericoli corsi nel Paese di origine e non già dei benefici auspicati dal suo inserimento in Italia.

Al proposito le deduzioni critiche del ricorso non superano la soglia della assoluta genericità, al pari di quella relativa all’esistenza di un rapporto di lavoro, solo genericamente affermato.

3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2020

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