Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7732 del 18/03/2021

Cassazione civile sez. I, 18/03/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 18/03/2021), n.7732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8708/2019 proposto da:

A.R., elettivamente domiciliato in Milano, alla Via

Raffaello Bertieri n. 1, presso lo studio dell’Avvocato Leonardo

Bardi, del Foro di Milano, che lo rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in Roma Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 09/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. Irene Scordamaglia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, con decreto n. 1361/2019, depositato in data 9/2/2019, ha respinto la richiesta di A.R., cittadino del (OMISSIS) di riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie, richiesta già disattesa dalla competente Commissione territoriale.

In particolare, il Tribunale ha rilevato che: I. la vicenda personale narrata dal richiedente (l’essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per il timore di essere ucciso dallo zio paterno, che si era appropriato dei terreni di famiglia ed era oltretutto in contrasto con il padre per ragioni di diversa militanza politica – segnatamente lo zio nelle fila del partito (OMISSIS) e il padre in quello del (OMISSIS) -) oltre ad essere non credibile, per illogicità intrinseca, non integrava i presupposti richiesti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. a) e b); II. il Bangladesh non risultava interessato da situazioni di violenza indiscriminata o generalizzata o da conflitti interni (come risultava dai reports EASO 2017 e 2018), di modo che non sussistevano i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); III. non ricorrevano, neppure, le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero o situazioni di significativo inserimento socio-lavorativo nel territorio italiano.

2. Avverso il suddetto decreto, A.R. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

3. Il Ministero dell’Interno si è difeso con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta:

1.1. con il primo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1990, art. 20-bis;

1.2. l’omesso esame di un fatto decisivo;

adduce, a sostegno delle enunciate doglianze, che il Tribunale, avendo “dimostrato di ritenere credibile il racconto del richiedente”, avrebbe dovuto riconoscere i presupposti della protezione sussidiaria, dal momento che questi, se rimpatriato, sarebbe stato nuovamente esposto al rischio di subire un danno grave per la propria incolumità sia per effetto della minaccia endofamiliare, rappresentata dall’iniziative aggressive dello zio, sia per effetto della situazione interna del Bangladesh, ancora interessato da una condizione di grave instabilità politica e sociale; avrebbe dovuto concedergli, in ogni caso, il permesso di soggiorno per rilevanti esigenze umanitarie, in ragione del rischio di persecuzione per mano degli avversari politici e in ragione delle allegate situazioni di malattia e di indigenza.

2. Tutte le spiegate censure sono inammissibili. Il tratto che le accomuna è l’assoluta genericità.

2.1. Quanto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il Tribunale ha escluso che questa potesse essere concessa al richiedente, vuoi perchè il racconto della vicenda narrata non era credibile, vuoi perchè essa (una controversia familiare per ragioni di proprietà di alcuni terreni) non presentava i requisiti della tutela richiesta. Il ricorrente, invero, sostenendo che il Tribunale aveva ritenuto credibile il suo racconto delle vicissitudini subite, ha mostrato di non cogliere una delle due rationes decidendi della statuizione sul punto: ratio decidendi, quella sulla credibilità della sua vicenda personale, invece decisiva ai fini del riconoscimento della detta forma di protezione, posto questa presuppone una personalizzazione del rischio di danno grave (Sez. 1, n. 16122 del 28/07/2020, Rv. 658561; Sez. 1, n. 10286 del 29/05/2020, Rv. 657711), la cui prova non può prescindere dall’apprezzamento delle dichiarazioni del richiedente in termini di credibilità.

2.2. Quanto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale, facendo riferimento a specifiche e qualificate fonti internazionali, ha escluso che il Bangladesh sia caratterizzato dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. Si tratta di accertamento che implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 2, n. 23942 del 29/10/2020, Rv. 659606), vale a dire indicando il fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, il cui esame sia stato omesso dal giudice censurato (Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831-01): onere cui il ricorrente non ha adempiuto. Ne viene che la censura sul punto, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U., n. 34476 del 27/12/2019, Rv. 656492).

2.3. Quanto alla richiesta di protezione umanitaria, il Tribunale ha escluso l’esistenza di qualsivoglia specifica allegazione in punto di vulnerabilità, senza che il ricorrente abbia efficacemente censurato tale statuizione, dovendosi, pertanto ed ancora una volta, evidenziare che l’omesso esame ivi denunciato, oltre a non rispettare i canoni di prospettazione di tale vizio sanciti da questa Corte (Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), investe circostanze (malattia ed indigenza del richiedente) prospettate del tutto genericamente ed in via astratta, così da renderne impossibile una valutazione in termini di necessaria decisività. Va soggiunto che questa Corte ha affermato (Sez. U., n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062) che, ai fini del riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, assume rilievo centrale la valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, onde verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale. Si tratta di valutazione che deve essere svolta in concreto sulla base delle allegazioni, quanto meno in relazione ai profili connessi all’integrazione ed al radicamento, della parte richiedente.

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, dovrà essere versato dal ricorrente se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2021

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