Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7732 del 02/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 2 Num. 7732 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

Impugnazione di
testamento per
incapacità naturale

sul ricorso proposto da:
GENTILI Nadia (GNT NDA 71B66 H501R), già rappresentata e
difesa, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Giulio Donzelli, e poi dall’Avvocato
Ildegarda Barg, per procura speciale notarile in atti,
elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima
in Roma, via Pietro Della Valle n. 4;
– ricorrente contro
MANCINI Giuseppina (MNC GPP 37C59 B649Q), già rappresentata
e difesa, per procura speciale a margine del controricorso,
dall’Avvocato Gianpaolo Maffei, e poi dagli Avvocati Pietro
Di Tosto e Eleonora Marà, per procura speciale notarile in

2 1 3 30

6

– 1 –

Data pubblicazione: 02/04/2014

atti,

elettivamente

domiciliato presso

lo

studio

dell’Avvocato Di Tosto in Roma, via Prospero Alpino n. 74;
– controricorrente e contro

– intimato e sul ricorso iscritto al R.G. n. 1969 del 2008 proposto
da:
VIGNOLA Mario (VGN MRA 33P07 C784S), già rappresentato e
difeso, per procura speciale a margine del controricorso,
dall’Avvocato Gianpaolo Maffei, e poi dagli Avvocati Pietro
Di Tosto e Eleonora Marà, per procura speciale notarile in
atti, elettivamente domiciliato presso lo studio
dell’Avvocato Di Tosto in Roma, via Prospero Alpino n. 74;
– ricorrente incidentale contro
GENTILI Nadia;
– intimata avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3674
del 2007, depositata il 18 settembre 2007.
Udita

la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 22 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentiti gli Avvocati Ildegarda Barg e Pietro Di Tosto;

VIGNOLA Mario;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso, che ha chiesto il
rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1997, Gentili Nadia conveniva in giudizio, dinnanzi al
Tribunale di Roma, Mancini Giuseppina e Vignola Mario ed
esponeva che era erede legittima, per rappresentazione del
padre premorto, Gentili Mario, della nonna paterna Mancini
Leonilde, deceduta il 14 aprile 1996; che negli ultimi anni
di vita Leonilde Mancini, affetta da una grave forma di
malattia mentale, si era trasferita presso la sorella
Giuseppina e il cognato Mario Vignola, i quali le avevano
impedito di avere contatti con altri parenti; che il
Vignola si era ingerito nella gestione del patrimonio della
cognata; che dopo la morte della nonna il Vignola si era
rifiutato di rendere il conto della gestione e Mancini
Giuseppina aveva fatto pubblicare un testamento olografo
datato 9 novembre 1993, che attribuiva la disponibile alla
Mancini e la legittima ad essa attrice. Tanto premesso
Nadia Gentili chiedeva che fossero trasferiti in sua
proprietà esclusiva i beni caduti in successione, previa
declaratoria di inesistenza del testamento disconosciuto,
e, in subordine, di nullità del testamento stesso per vizio
di mente della testatrice, con conseguente condanna dei

l. – Con atto di citazione notificato il 22 aprile

convenuti al rilascio degli immobili indebitamente occupati
e ordine al Vignola di rendere il conto e di corrispondere
il conguaglio attivo.
2.

– I convenuti si costituivano e contestavano la

venisse accertata l’usucapione, in suo favore, del terreno
ubicato in località Castagnano e che gli venisse restituita
la somma di lire 30.000.000 mutuata alla de cuius, come da
scrittura del 25 agosto 1993, con conseguente condanna
dell’attrice al pagamento del detto importo nonché al
rimborso delle somme anticipate per imposte, tasse,
manutenzione e utenze, quantificate in lire 60.000.000.
3. – Istruita la causa anche a mezzo di c.t.u., l’adito
Tribunale, con sentenza del 2001, dichiarava l’autenticità
del testamento olografo di Mancini Leonilde; annullava
detto testamento per incapacità di intendere e di volere
della testatrice, dichiarando, per l’effetto, l’attrice
Nadia Gentili unica erede, per legge, della Mancini;
rigettava la domanda riconvenzionale di usucapione;
condannava i convenuti al rilascio degli immobili facenti
parte del compendio ereditario; previa compensazione delle
reciproche ragioni creditorie, condannava l’attrice al
pagamento della somma di lire 22.000.000, oltre interessi
legali dalla domanda al saldo; compensava le spese

domanda; il Vignola, in via riconvenzionale, chiedeva che

processuali, ponendo le spese di c.t.u. a carico delle
parti in misura uguale.
4.

– Avverso questa sentenza proponevano appello

Mancini

Giuseppina

e

Vignola

Mario,

chiedendo

le domande riconvenzionali; resisteva Nadia Gentili e, in
via di appello incidentale, chiedeva il rigetto della
pretesa creditoria avanzata dal Vignola ed accolta dal
Tribunale.
5.

– La Corte d’appello di Roma, con sentenza

depositata il 18 settembre 2007, in riforma della sentenza
impugnata, rigettava la domanda di annullamento del
testamento olografo di Leonilde Mancini; dichiarava, per
l’effetto, Giuseppina Mancini e Nadia Gentili eredi di
Leonilde Mancini; dichiarava compensate le ragioni
creditorie tra Nadia Gentili e Vignola Mario; confermava la
sentenza nel resto e compensava le spese.
La Corte d’appello, richiamata la giurisprudenza di
legittimità in tema di art. 591 cod. civ., riteneva che il
Tribunale avesse creato un collegamento inesistente tra i
ricoveri della Mancini avvenuti nel febbraio-marzo 1993 e
quelli verificatisi nel gennaio-febbraio 1994, atteso che
in occasione del primo ricovero nulla era emerso di
patologico sul piano psichico e in occasione del secondo
(marzo 1993), venne effettuata una consulenza psicologica,

l’accertamento della validità del testamento e riproponendo

da cui era emerso un atteggiamento collaborativo e una
comune disponibilità al colloquio; con la precisazione che
non poteva ritenersi significativa la diagnosi di
orientamento depressivo, che trovava adeguata

In questo contesto, ad avviso della Corte territoriale,
la diagnosi formulata nel gennaio 1994 di demenza
multinfartuale non poteva ritenersi una evoluzione
peggiorativa della situazione pregressa, integrando
piuttosto un radicale mutamento del contesto sintomatico e
diagnostico. Pertanto, essendo la diagnosi di demenza
multinfartuale successiva di oltre due mesi alla redazione
del testamento, non poteva ritenersi, in mancanza di altre
prove, che la testatrice fosse al momento della redazione
del testamento incapace di intendere e di volere. A riprova
di questa conclusione la Corte d’appello adduceva anche le
risultanze della consulenza grafologica, la quale aveva
consentito di fugare ogni dubbio in ordine alla
riferibilità alla Mancini del testamento olografo.
Accertata, dunque, la validità del testamento e
rigettata la domanda di annullamento del medesimo, la Corte
d’appello riformava altresì la sentenza impugnata nella
parte in cui aveva condannato l’erede testamentaria al
rilascio del compendio ereditario, dovendo i diritti di

giustificazione nel vissuto della donna.

godimento su detti beni essere disciplinati dalle norme
sulla comunione ereditaria.
5.1. – Con riferimento al primo motivo dell’appello
incidentale del Vignola, avente ad oggetto la domanda di

Tribunale, secondo cui la stessa asserita qualità, da parte
del Vignola, di amministratore dei beni della defunta
qualificava il rapporto materiale con il bene in termini di
detenzione, con conseguente non configurabilità della
usucapione. Né risultava provato alcun atto di
interversione del possesso, mentre la prova testimoniale
articolata risultava irrilevante atteso che la mera
coltivazione del fondo e la mera utilizzazione di una
cantina dovevano ritenersi inidonei a provare il possesso,
trovando tali accadimenti nel rapporto di gestione del
patrimonio della de culus.
La Corte prendeva poi in esame le questioni concernenti
la scrittura del 1993 con cui la

de culus

aveva

riconosciuto di dover restituire lire 30.000.000 al
Vignola. In proposito, la Corte rigettava l’appello
incidentale concernente la validità della scrittura,
rilevando che correttamente il Tribunale aveva valorizzato
il mancato disconoscimento da parte della erede Gentili
Nadia, mentre era rimasto sfornito di prova l’assunto di

usucapione, la Corte condivideva la motivazione offerta dal

quest’ultima circa l’avvenuta captazione e la invalidità
della scrittura stessa per dolo.
Accertata la validità della scrittura, la Corte
d’appello rigettava il motivo di appello del Vignola, il

somma recata dalla scrittura. In particolare, la Corte
rilevava come il Vignola, tenuto a rendere il conto, non
avesse adempiuto a tale obbligo, il che aveva indotto il
Tribunale ad operare una valutazione presuntiva ed
equitativa dell’attivo della gestione per il periodo
successivo al decesso della Mancini. La Corte riformava
però la statuizione del Tribunale in quanto, stante la
validità del testamento e la conseguente apertura della
successione in favore sia di Nadia Gentili che di
Giuseppina Mancini, trovava applicazione l’art. 752 cod.
civ., in forza del quale ciascun erede è tenuto a
soddisfare il debito ereditario esclusivamente in
proporzione della quota attiva in cui succede, senza
vincolo di solidarietà con gli altri eredi. Gentili Nadia
era quindi tenuta al pagamento del 50% della somma di
30.000.000. Peraltro, poiché la stessa era già titolare dei
beni ereditari gestiti dal Vignola, in quanto coerede
unitamente alla

de cuius

per averli ereditati dal nonno

Gentile Nunzio, la Gentili aveva diritto a percepire gli
utili pro quota anche nel periodo in cui era in vita la

de

quale si doleva del mancato riconoscimento per intero della

culus,

sicché

dovevano

ragionevolmente

ritenersi

equivalenti le ragioni creditorie tra Vignola e Gentili,
con conseguente loro integrale compensazione e con rigetto
di ogni domanda di pagamento.

ricorso Nadia Gentili sulla base di cinque motivi; ha
resistito con controricorso Mario Vignola, il quale ha a
sua volta proposto ricorso incidentale affidato a due
motivi; ha resistito altresì con distinto controricorso
Giuseppina Mancini.
In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato
memoria difensiva con costituzione di nuovo difensore.
Analogamente, il controricorrente e ricorrente
incidentale Vignola Mario e la controricorrente Mancini
Giuseppina hanno depositato procura speciale contenente la
nomina di un nuovo difensore.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. – Deve essere preliminarmente disposta la riunione
del ricorso principale e di quello incidentale, in quanto
rivolti avverso la medesima sentenza (art. 335 cod. proc.
civ.).
2. – Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente
principale deduce, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, cod.
proc. civ., violazione dell’art. 591 cod. civ. in relazione
alla perizia svolta in primo grado.

6. – Per la cassazione di questa sentenza ha proposto

La ricorrente ricorda che la c.t.u. svolta in primo
grado conteneva un’accurata disamina dei ricoveri subiti
dalla de culus e aveva concluso nel senso della incapacità
di intendere e di volere della testatrice alla data della

patologie degenerative, con conseguente progressivo degrado
delle facoltà intellettive. Ad avviso della ricorrente, i
giudici di appello, sminuendo la portata della c.t.u., si
sarebbero sostituiti ai tecnici, peraltro con
argomentazioni non convincenti e riduttive del quadro
patologico accertato dal c.t.u.
A conclusione del motivo la ricorrente chiede a questa
Corte di affermare che: «La c.t.u. ha la funzione di
fornire all’attività valutativa del giudice quelle
cognizioni tecniche di cui quest’ultimo non dispone, e può
costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva in
uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo
con il concorso di determinate cognizioni tecniche quali
quelle in possesso del consulente tecnico. Accertata la
totale incapacità di un soggetto in due determinati
periodi, prossimi nel tempo, per il periodo intermedio la
sussistenza dell’incapacità è assistita da presunzione
iuris tantum

con conseguente inversione dell’onere

probatorio, nel senso che deve essere colui che vi ha
interesse a dimostrare che il soggetto ha agito in una fase

redazione del testamento, essendo la stessa affetta da

di lucido intervallo. In tema di prova per presunzioni, non
occorre che i fatti su cui si fonda la presunzione siano
tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come
l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati in

alla stregua di un canone di probabilità».
3. – Con il secondo motivo la ricorrente principale
deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 624 cod.
civ. in relazione all’art. 2697 cod. civ., dolendosi del
fatto che la Corte d’appello non abbia ammesso le prove
volte a dimostrare l’attività captatoria posta in essere
dal Vignola e dalla Mancini ai danni di Mancini Leonilde.
Chiede quindi alla Corte di affermare che: «L’attività
captatoria può, in assenza di prova testimoniale,
presumersi sulla base di alcuni elementi oggettivi che
debbono essere necessariamente presenti quali lo stato di
incapacità di intendere e volere del soggetto,
l’allontanamento graduale dai rapporti con i propri
familiari fino al totale isolamento, il mutare improvviso,
immotivato e illogico dei rapporti con i propri familiari.
Gli elementi di giudizio acquisiti (indizi) possono non
aver alcun valore se considerati individualmente, mentre
possono acquisirlo se considerati tutti insieme, nel loro
complesso, alla luce del loro vicendevole completamento».

giudizio, è sufficiente che il fatto ignoto sia desunto

4.

Con il terzo motivo la ricorrente principale

denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2729
cod. civ. in relazione alle risultanze delle cartelle
cliniche relative ai ricoveri ospedalieri della signora

La Corte d’appello avrebbe errato nel non riconoscere
che sin dal febbraio 1993 esisteva documentazione sanitaria
idonea a dimostrare che la Mancini era affetta da patologie
invalidanti che incidevano gravemente sulle sue capacità
intellettive.
Chiede quindi alla Corte di affermare che: «Gli
elementi di giudizio acquisiti (indizi), possono non aver
alcun valore se considerati individualmente, mentre possono
acquisirlo se considerati tutti insieme, nel loro
complesso, alla luce del loro vicendevole completamento. In
tema di prova per presunzioni, non occorre che i fatti su
cui si fonda la presunzione siano tali da far apparire
l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza
possibile dei fatti accertati in giudizio, è sufficiente
che il fatto ignoto sia desunto alla stregua di un canone
di probabilità».
5.

– Con il quarto motivo la ricorrente lamenta

insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione della
sentenza di secondo grado in relazione al quadro clinico e
alla c.t.u. sullo stato di capacità di intendere e di

Mancini Leonilde.

volere della

de cuius,

e violazione dell’art. 2729 cod.

civ. sotto altro profilo. Rilevato che la decisione
impugnata si basa su documentazione relativa ad un momento
antecedente e ad un periodo successivo alla redazione del

sentenza impugnata non sia sorretta da un apparato
argomentativo logicamente adeguato, in particolare nella
parte in cui ha utilizzato dichiarazioni di Mancini
Giuseppina che non sono state in alcun modo provate.
Chiede quindi alla Corte di affermare che: «Gli
elementi di giudizio acquisiti (indizi) possono non aver
alcun valore se considerati individualmente, mentre possono
acquisirlo se considerati tutti insieme, nel loro
complesso, alla luce del loro vicendevole completamento. In
tema di prova per presunzioni, non occorre che i fatti su
cui si fonda la presunzione siano tali da far apparire
l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza
possibile dei fatti accertati in giudizio, è sufficiente
che il fatto ignoto sia desunto alla stregua di un canone
di probabilità».
6. – Con il quinto motivo la ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 1243 cod. civ.
La ricorrente rileva che il Vignola aveva sempre
amministrato il patrimonio di Mancini Leonilde e aveva così
gestito anche la parte di patrimonio ad essa spettante in

testamento, la ricorrente ritiene che la motivazione della

quanto legittima erede del nonno Nunzio Gentili, senza mai
rispondere alle richieste di documentare il risultato della
gestione, e che la scrittura del 25 agosto 1993, da lei
disconosciuta, non poteva fornire prova del credito del

potuto operare alcuna compensazione non essendosi in
presenza di un credito liquido ed esigibile.
Chiede quindi alla Corte di affermare che: «Non può
operare la compensazione, qualora il credito addotto in
compensazione sia contestato nell’esistenza e
nell’ammontare, in quanto la contestazione esclude la
liquidità del credito. Ai fini dell’operatività della
compensazione, i rispettivi crediti debbono essere
preventivamente determinati nel loro ammontare, altrimenti
un credito non liquido, non può considerarsi esigibile e
conseguentemente non può essere soggetto a compensazione».
7. – Con il primo motivo del ricorso incidentale il
Vignola denuncia violazione dell’art. 1243 cod. civ., in
relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.,
dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto
compensato il proprio credito derivante dalla scrittura del
25 agosto 1993 nei confronti della Gentili con un presunto
debito derivante dall’amministrazione del patrimonio di
Mancini Leonilde e della stessa Gentili Nadia, pur se il

Vignola. In tale contesto, la Corte d’appello non avrebbe

credito della Gentili non era né certo, né liquido né
esigibile.
A conclusione del motivo chiede alla Corte di affermare
che: «Ai fini del verificarsi della compensazione, sia essa

destinata dovrà essere determinato per la sua liquidità ed
esigibilità, nonché facile e pronta liquidazione, sulla
base ed effettivo riscontro di un calcolo contabile e non
invece basato in via presuntiva e liquidato
equitativamente».
8. – Con il secondo motivo il Vignola denuncia
violazione degli artt. 1158 e 1159-bis cod. civ., in
relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.,
sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel non
considerare che egli aveva cominciato a svolgere attività
di amministrazione del patrimonio di Mancini Leonilde solo
nel 1993, mentre egli aveva chiesto di provare di aver
posseduto il terreno, coltivandolo, sin dal 1960.
A conclusione del motivo chiede alla Corte di affermare
che: «Chi sia nominato amministratore di beni immobili può
dimostrare con prova di aver posseduto di fatto,
univocamente ed uti dominus tali beni od alcuni di essi per
un periodo temporale che abbia fatto maturare l’usucapione
sui predetti».

legale che giudiziale, il computo della somma a ciò

9. – Il primo, il secondo il terzo e il quarto motivo
del ricorso principale sono inammissibili per inidoneità
dei quesiti di diritto con i quali i motivi stessi si
concludono.

il 18 settembre 2007 ed è quindi soggetta,
temporís,

ratione

all’applicazione dell’art. 366-bis cod. proc.

civ., nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito
che «il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis cod.
proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare
l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite
diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed
al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare,
collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di
cassazione, il principio di diritto applicabile alla
fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la
risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
principio generale, e non può consistere in una mera
richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello
della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della
censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso
motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle
ragioni esposte e porre la Corte in condizione di
rispondere ad esso con l’enunciazione di una

regola juris

che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere

Premesso che la sentenza impugnata è stata depositata

applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto
all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza
impugnata» (Cass., n. 11535 del 2008).
In particolare, il quesito di diritto di cui all’art.

riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti
al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della
regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa
regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe
dovuta applicare al caso di specie» (Cass. n. 19769 del
2008) e «non può essere desunto dal contenuto del motivo,
poiché in un sistema processuale, che già prevedeva la
redazione del motivo con l’indicazione della violazione
denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art.
366-bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6 del d.lgs.
2 febbraio 2006, n. 40, consiste proprio nell’imposizione,
al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi
originale ed autosufficiente della violazione stessa,
funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del
principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della
funzione nomofilattica della Corte di legittimità» (Cass.,
ord. n. 20409 del 2008).
Nella giurisprudenza di questa Corte si è altresì
precisato, con riferimento, in particolare, ai motivi di
ricorso con i quali – come nella specie – si denuncia vizio

366-bis cod. proc. civ. deve compendiare: «a) la

di motivazione, che l’illustrazione di ciascun motivo deve
contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione
si assume omessa o contraddittoria, ovvero le

ragioni per

renda inidonea a giustificare la decisione, e che la
relativa censura deve contenere, un momento di sintesi
(omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare
incertezze in sede di formulazione del ricorso e di
valutazione della sua ammissibilità” (Cass., S.U., n. 20603
del 2007). In particolare, la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del
motivo che si presenti a ciò specificamente e
riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile
ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura
della complessiva illustrazione del motivo riveli,
all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal
lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente,
deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366bis,

che il motivo stesso concerne un determinato fatto

controverso, riguardo al quale si assuma omessa,
contraddittoria od insufficiente la motivazione e si
indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è

le quali la dedotta insufficienza della motivazione la

conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass.,
n. 16002 del 2007).
Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il
quale si denunzino vizi di violazione di legge e di

concludersi «con una pluralità di quesiti, ciascuno dei
quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare
su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un
difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione
giuridica del fatto». (Cass., S.U., n. 7770 del 2009).
Ciò comporta che la relativa censura deve contenere un
momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne
circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e
di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio,
Cass., sez. un., n. 20603 del 2007).
Si deve poi rilevare che è del tutto irrilevante la
circostanza che l’art. 366-bis cod. proc. civ., alla data
di proposizione del ricorso, fosse stato abrogato dalla
legge n. 69 del 2009. In proposito, questa Corte ha
chiarito che alla stregua del disposto del quinto comma
dell’art. 58 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in base al
quale le norme previste da detta legge si applicano ai
ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti
pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore

motivazione in fatto, è poi bensì ammissibile, ma esso deve

della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione
dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi
dell’art. 47 della citata legge n. 69 del 2009) è efficace
per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti

conseguenza che per quelli proposti antecedentemente,
purché dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006,
come nel caso di specie, tale norma è da ritenersi ancora
applicabile (Cass. n. 7119 del 2010; Cass. n. 26364 del
2009).
9.1. – Nel caso di specie, dalla lettura dei quesiti di
diritto formulati dalla ricorrente a conclusione dei motivi
di ricorso in esame, appare del tutto evidente la non
rispondenza di detti quesiti alle indicazioni offerte dalla
giurisprudenza di questa Corte. Da un lato, infatti, i
quesiti si risolvono in generiche affermazioni di
principio, del tutto avulse dal contenuto della sentenza
impugnata e dalla fattispecie oggetto della decisione;
dall’altro, e segnatamente nel primo motivo, si assume un
dato di fatto – l’accertamento della situazione di
incapacità di intendere e di volere del testatore in epoca
anteriore alla redazione del testamento che è
positivamente escluso dalla sentenza impugnata; dall’altro
ancora, e sempre con riferimento al primo motivo, vengono
dedotti sia la violazione di

legge

che il vizio di

pubblicati successivamente alla suddetta data, con la

motivazione, senza tuttavia che dall’articolazione del
motivo e dalla formulazione del relativo quesito sia dato
evincere quale sia il vizio di violazione di legge
denunciato e quale il fatto controverso e decisivo per il

motivazione della sentenza impugnata sia carente o
contraddittoria.
9.2. – Con specifico riferimento al secondo motivo deve
poi rilevarsi una ulteriore ed autonoma ragione di
inammissibilità, atteso che la ricorrente si duole, sia
pure con riferimento alla violazione dell’art. 624 cod.
civ. e dell’art. 2697 cod. civ., della mancata ammissione
dei mezzi istruttori che avrebbero dovuto fornire la prova
dell’attività di captazione posta in essere dai
controricorrenti, ma non risulta indicato il contenuto dei
capitoli di prova testimoniale dei quali si lamenta la
mancata ammissione. In proposito, la giurisprudenza di
questa Corte è consolidata nel senso che «il ricorrente
che, in sede di legittimità, denunci il difetto di
motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo
istruttorio o sulla valutazione di un documento o di
risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare
specificamente le circostanze oggetto della prova o il
contenuto del documento trascurato od erroneamente
interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro

giudizio, in relazione al quale si assume che la

trascrizione, al fine di consentire al giudice di
legittimità il controllo della decisività dei fatti da
provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il
principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione,

deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è
consentito sopperire con indagini integrative» (tra le più
recenti, Cass. n. 17915 del 2010; n. 13677 del 2012).
9.3. – Quanto al terzo e al quarto motivo, i quesiti di
diritto – identici e consistenti in principi di diritto
affermati da questa Corte – sono del tutto astratti e
generici e viene sollecitata una valutazione delle
risultanze istruttorie diversa da quella affermata dal
giudice del merito. Ed è noto che «il vizio di omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile
con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod.
proc. civ., comma l, n. 5, si configura solo quando nel
ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il
mancato o insufficiente esame di punti decisivi della
controversia, prospettati dalle parti o rilevabili
d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le
argomentazioni adottate tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a
base della decisione; tali vizi non possono consistere
nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove

la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle

dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla
parte, spettando solo al giudice di merito individuare le
fonti del proprio convincimento, valutare le prove,
controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere

dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno
o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione
non è conferito il potere di riesaminare e valutare
autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di
controllare, sotto il profilo logico e formale e della
correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti
dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei
fatti» (Cass. n. 15489 del 2007; Cass. n. 18119 del 2008).
Nel quarto motivo, inoltre, vengono denunciati
congiuntamente vizio di violazione di legge e vizio di
motivazione.
10. – Il quinto motivo del ricorso principale
ammissibile in considerazione della idoneità del secondo
quesito formulato in conclusione – deve essere esaminato
congiuntamente al primo motivo del ricorso incidentale,
attenendo entrambi al capo della sentenza impugnata
concernente la regolamentazione delle ragioni di dare e
avere tra le parti.
10.1. – Entrambi i motivi sono infondati.

tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a

La Corte d’appello, accertata la validità della
scrittura privata in data 25 agosto 1993 contenente il
riconoscimento, da parte della

de culus,

di un debito di

lire 30.000.000 nei confronti del Vignola validità,

atteso che la stessa aveva assunto che la detta scrittura
privata potesse essere affetta da captazione resa possibile
dalle condizioni di patologia mentale della

de culus -,

e

dopo avere ricordato quanto affermato dal Tribunale in
ordine alle modalità di determinazione delle risultanze
della gestione, della quale il medesimo Vignola si era
sempre rifiutato di rendere il conto, ha ritenuto di dover
riformare la decisione del Tribunale concernente la
condanna della Gentili al pagamento, in favore del Vignola,
della somma di lire 22.000.000, dovendosi integralmente
compensare le ragioni di credito esistenti tra il Vignola e
la Gentili (quelle di quest’ultima relative non solo ai
proventi derivanti dalla gestione dei beni ereditari a
seguito del decesso di Leonilde Mancini, ma anche alla
gestione antecedente, atteso che Gentili Nadia era già
titolare di una quota dei beni stessi, per averli ereditati
dal nonno Gentili Nunzio).
La statuizione della Corte d’appello resiste alle
critiche formulate sia dalla ricorrente principale, che dal
ricorrente incidentale.

peraltro, sostanzialmente ammessa dalla stessa Gentili,

Il motivo del ricorso principale, invero, muove dalla
premessa che il credito del Vignola non sarebbe stato
provato, sicché, nella prospettiva della ricorrente
principale, la compensazione non avrebbe potuto operare

perché questi, non avendo adempiuto all’obbligo di rendere
il conto, avrebbe dovuto mettere a disposizione tutto
quanto riscosso per somme e frutti civili. Ma la Corte
d’appello, al contrario, con motivazione congrua e logica,
ha ritenuto la scrittura del 25 agosto 1993 idonea a
fornire la prova del credito azionato in via
riconvenzionale dal Vignola, pur se, avendo riconosciuto la
validità della scheda testamentaria, ha poi ridotto il
credito del Vignola nei confronti della ricorrente
principale della metà, gravando l’altra metà sull’altra
erede di Leonilde Mancini. Quanto ai frutti della gestione
dei beni, la Corte d’appello, alla luce delle valutazioni
effettuate dal Tribunale e degli elementi di valutazione
desumibili dagli atti, ne ha stimato l’entità in misura
pari a quella del credito del Vignola nei confronti della
Gentili, pur ridotto della metà.
Quanto al ricorso incidentale, occorre rilevare che il
Vignola – come sottolineato dalla Corte d’appello – ha
rifiutato di rendere il conto della complessiva gestione
dei beni della de culus,
4

sia per il periodo anteriore al

poiché era del tutto insussistente il credito del Vignola e

decesso che per il periodo successivo, sino all’affidamento
della custodia degli stessi alla Gentili. Non può quindi
dolersi della valutazione compiuta in proposito dalla Corte
d’appello, avendo

egli

dato causa, con il proprio

sentenza impugnata. La censura appare peraltro sfornita di
ogni elemento valutativo, essendosi il ricorrente limitato
ad affermare la inoperatività della compensazione legale,
omettendo tuttavia di indicare quali fossero gli elementi
dai quali la Corte d’appello avrebbe potuto trarre una
diversa valutazione in ordine ai risultati della gestione,
in misura inferiore a quella stimata sulla base delle
considerazioni svolte nella sentenza di primo grado.
11. – Il secondo motivo del ricorso incidentale è
infondato.
Del tutto linearmente la Corte d’appello ha rilevato
\’
che, avendo il Vignola assunto la gestione dei beni di
Gentili Leonilde in qualità di amministratore degli stessi,
il rapporto tra il medesimo Vignola e i beni non poteva
essere altro che di detenzione. La deduzione del Vignola,
secondo cui egli avrebbe richiesto di provare il possesso
dei beni a far data dal 1960, sicché, al momento in cui
aveva assunto l’amministrazione per conto della cognata
Leonilde Gentili, egli li aveva già usucapiti, da un lato,
non tiene conto del rilievo che la stessa qualificazione di

– 26 –

comportamento, alla valutazione in concreto svolta nella

amministratore di quei beni si pone in contraddizione
logica con la pretesa dell’avvenuto acquisto per
usucapione; dall’altro, non è idonea a censurare la
sentenza impugnata, atteso che la Corte d’appello ha

articolata in relazione alla pretesa esistenza di un
possesso utile ai fini dell’usucapione. Il ricorrente
incidentale, invece, si limita a rilevare di avere
formulato una richiesta istruttoria, peraltro non
integralmente riportata, che, a suo dire, avrebbe dovuto
trovare accoglimento, senza però minimamente confrontarsi
con le ragioni in base alle quali la Corte d’appello ha
ritenuto la prova testimoniale irrilevante.
12. – In conclusione, sia il ricorso principale che

quello incidentale devono essere rigettati.
In considerazione della reciproca soccombenza, le spese
del presente giudizio di legittimità devono essere
compensate tra le parti.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le
spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione,
il 22 ottobre 2013.

espressamente ritenuto irrilevante la prova testimoniale

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA