Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7731 del 30/03/2010

Cassazione civile sez. I, 30/03/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 30/03/2010), n.7731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29287-2007 proposto da:

M.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CHIANA 87, presso l’avvocato MONELLO

NUNZIATA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAGRO

FRANCESCO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositato il

04/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 18.04.2007, M.A. adiva la Corte di appello di Catania chiedendo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze fosse condannato a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 27.06 – 4.07.2007, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore dell’istante, della somma di Euro 3.750,00, quale indennizzo del danno non patrimoniale, e, in considerazione del notevole contenimento della pretesa, compensava per i 2/3 le spese processuali, liquidate per l’intero in complessivi Euro 660,00 (di cui Euro 10,00 per esborsi Euro 150,00 per diritti ed Euro 500,00 per onorario), oltre IVA e CPA, ponendo la residua parte a carico dell’Amministrazione. La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che il M. aveva chiesto l’equa riparazione del danno subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo, ancora pendente, da lui introdotto dinanzi al TAR Sicilia – sezione distaccata di Catania, con ricorso depositato il 10.01.1998, giudizio nel quale, il 11.1.2002, era stata anche presentata istanza di prelievo;

– che la durata ragionevole di detto processo amministrativo, già protrattosi per anni 9 e mesi 3, poteva essere fissata in anni tre, considerate, come prescritto, tutte le circostanze della concreta vicenda processuale, tra cui anche, a fronte di un caso di per sè non complesso, il comportamento delle parti;

– che, dunque, per il periodo d’irragionevole ritardo di definizione, quantificabile in anni 6 e mesi 3, l’indennizzo da limitare al danno morale, poteva essere equitativamente liquidato nella misura di Euro 600,00 ad anno di ritardo, tenuto conto della natura della causa e dell’interesse dedotto in giudizio.

Avverso questo decreto il M. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 13.11.2007 ed affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso notificato il 24.12.2007.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. “Violazione e mancata applicazione dell’art. 6, p.1, artt. 13 e 41 della e CEDU e violazione e mancata applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2”.

2. “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’assenza di complessità del caso e al comportamento del ricorrente e violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art 2, art. 6, par. 1 CEDU ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alla rilevanza della posta in gioco”.

3. “Violazione e mancata applicazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c.”.

Riassuntivamente ed in sintesi, con il ricorso il M. denuncia violazioni di legge e vizi motivazionali e chiede l’annullamento del decreto impugnato, in applicazione delle rubricate disposizioni normative e dei relativi principi giurisprudenziali anche sovranazionali, riferiti sia ai criteri di determinazione del periodo di ragionevole durata, da determinarsi a suo parere in 6 mesi o al massimo in un anno, e sia di liquidazione del danno morale.

Il ricorso va accolto nei limiti delle argomentazioni che seguono.

Infondata si rivela la censura relativa al “tempo ragionevole”, dal momento che i giudici di merito hanno motivatamente fissato in 3 anni la congrua durata del processo presupposto, in ragione delle peculiarità del caso e della relativa complessità, giustamente desunta anche dalla materia controversa e non solo dall’andamento processuale, ed in aderenza pure allo standard CEDU di normale durata di un processo civile, conclusione che di contro il ricorrente avversa prospettando una durata inferiore sulla base di generici rilievi (in tema, cfr. Cass. 200521390; 200501094).

Fondata è, invece, la censura concernente l’inadeguatezza dell’indennizzo liquidato per il sofferto danno non patrimoniale, come detto correttamente rapportato al solo periodo di ritardo irragionevole. Secondo la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito. Pertanto, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata (cfr Cass. 299916086).

Nella specie, dunque, la determinazione del ristoro del danno non patrimoniale nella ridotta somma di Euro 600, 00 ad anno di ritardo irragionevole, per quanto argomentata, non si pone in relazione ragionevole con quella – tra i 1.000.00 e i 1.500,00 Euro – accordata in sede sovranazionale negli affari consimili.

Accolta, dunque, la censura in questione ben può procedersi sulle esposte premesse, alla cassazione in parte qua dell’impugnato decreto ed alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c, nessun accertamento di fatti essendo residuato alla cognizione di questa Corte.

Quindi, considerato il periodo d’irragionevole durata del giudizio presupposto, pari ad anni 6 e mesi 3, nonchè recepite le ragioni del discostamento peggiorativo dallo standard minimo CEDU ed individuato nella somma di Euro 750,00 ad anno per il primo triennio ed in Euro 1.000,00 ad anno per il periodo successivo, il parametro indennitario per la riparazione del danno non patrimoniale, devesi riconoscere all’istante l’indennizzo complessivo di Euro 5.500,00 oltre agli interessi legali con decorrenza dalla domanda (Cass. 200608712). Quanto alla regolamentazione delle spese, a carico della medesima Amministrazione della Giustizia soccombente va posto il pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, adottando la tariffa per processo svoltosi innanzi alla Corte di appello.

L’esito del ricorso giustifica la compensazione nella misura di 1/2 delle spese del giudizio di legittimità, e la condanna dell’Amministrazione intimata al pagamento della residua parte, liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso del M., cassa in parte qua il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 5.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 1.500,00 (di cui Euro 850,00, per onorari ed Euro 50,00 per esborsi), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Compensa per la metà le spese del giudizio di cassazione e condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente, della residua parte, liquidandola in complessivi Euro 550,00, di cui Euro 50,00, per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2009.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010

 

 

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