Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7730 del 06/04/2020

Cassazione civile sez. I, 06/04/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 06/04/2020), n.7730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1896/19 proposto da:

-) R.A., elettivamente domiciliato in Roma, v.le delle

Milizie 38 (c/o avv. Stefania Paravani), difeso dall’avvocato Dario

Ciarletta in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 17.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31 gennaio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

RILEVATO

che:

R.A., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza il richiedente dedusse di essere fuggito dal (OMISSIS) perchè omosessuale e sorpreso ad avere rapporti con un minorenne, dei cui parenti teneva la vendetta;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento R.A. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo rigettò con sentenza 15.10.2017;

tale sentenza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza deliberata il 17.12.2018;

la Corte d’appello ritenne che il richiedente asilo non era attendibile; che il (OMISSIS) è un paese stabile; che la integrazione del richiedente asilo nel paese ospitante non fosse di per sè sufficiente a concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari, e che comunque nel caso di specie l’integrazione era stata solo “tentata”; che l’eventuale rientro del richiedente asilo nel suo Paese di origine non avrebbe comportato per lui alcun grave ed ingiustificato pregiudizio;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da R.A. con ricorso fondato su tre motivi;

il ministero dell’interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte della Corte d’appello, del dovere di cooperazione istruttoria;

nell’illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello “non dubita” della condizione di omosessualità del richiedente, nè del fatto che tale condizione nel (OMISSIS) sia considerato un reato; e cionondimeno trascura di considerare il rischio cui l’odierno ricorrente sarebbe esposto nel caso di rientro nel proprio paese di origine;

il motivo è inammissibile per manifesta estraneità alla ratio decidendi;

la Corte d’appello infatti ha espressamente affermato di ritenere lacunoso, generico e non attendibile il racconto dell’odierno ricorrente, “sia relativamente alla scoperta della propria omosessualità”, sia per quanto riguarda le altre circostanze narrate;

il motivo di ricorso si fonda pertanto su un assunto (“la Corte d’appello non dubita della condizione di omosessualità del richiedente”) erroneo; col secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, e cioè il pericolo cui il richiedente asilo sarebbe esposto nel caso di rientro nel proprio paese di origine, a causa della propria condizione di omosessuale;

il motivo è inammissibile per le medesime ragioni indicate con riferimento al primo motivo di ricorso;

col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 5 Testo Unico sull’immigrazione, ed impugna la sentenza nella parte in cui ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

sostiene che la sentenza impugnata avrebbe violato tale norma nella parte in cui “non attribuisce alcun rilievo alla vicenda occorsa al richiedente nel proprio paese d’origine ed al suo orientamento sessuale”;

anche questo motivo è manifestamente inammissibile per totale – estraneità alla ratio decidendi; la Corte d’appello, infatti, ha ritenuto inattendibile il ricorrente anche con riferimento alla propria condizione di omosessuale, e dunque non si vede come si possa imputarle di non aver preso in esame un fatto ritenuto insussistente;

non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata;

il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2020

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